venerdì 1 aprile 2011

arrossire

di lo Scorfano


Nel frattempo, si badi bene, la mia scuola si sta internazionalizzando: e ciò significa tante cose, talmente tante cose che ve ne posso fare soltanto una breve, imprecisa e frettolosa sintesi.

Il primo aspetto rilevante di questo processo di internazionalizzazione della mia scuola è che nelle riunioni tra insegnanti si pronunciano ormai soltanto il sostantivo «internazionalizzazione» e il verbo «internazionalizzarsi»; e non si parla d’altro. E quindi io torno spesso a casa con i crampi alla lingua sanguinante per i morsi involontariamente autoinflitti. Il secondo aspetto, più rilevante, è che sulla homepage del sito della scuola brillano incontrastati e fulgidi un paio di bollini (di internazionalizzazione) assegnati alla mia scuola dal ministero e dalla regione: si definiscono «garanzia di qualità». Il terzo aspetto è che questi bollini mi consentiranno (forse) di ricevere un piccolo aumento dello stipendio, se è vero (come è vero) che il ministero ha intenzione di premiare nei prossimi anni gli insegnanti delle scuole migliori: e l’internazionalizzazione è «migliore» rispetto alla non internazionalizzazione, questo lo capite da soli. Il quarto aspetto è che le nostre aule e i nostri corridoi pullulano, da un po’ di tempo in qua, di ragazzi stranieri, che ogni tanto ascoltano lezioni, che a volte si aggirano un po’ sperduti nei corridoi, che nel frattempo imparano le parolacce italiane: straordinario il favore di cui gode il termine «culo», per esempio. Viceversa, altra conseguenza dell’internazionalizzazione è che diversi dei nostri alunni vanno nelle scuole straniere, a volte per pochi giorni, altre volte per diversi mesi: e lì ogni tanto ascoltano lezioni straniere, si aggirano nei corridoi stranieri e naturalmente imparano (o almeno spero) le parolacce straniere.

E mi fermo qui:         
            che mi pare già molto e mi pare molto bello risparmiarvi tante cose, come sintesi delle conseguenze dell’internazionalizzazione.

Ma, siccome io non voglio fare la figura dello scroccone e siccome credo nei roboanti valori della gelminiana meritocrazia e del giusto premio stipendiale che tra qualche anno mi spetterà, ho chiesto alla mia collega di inglese se potessi fare qualcosa per favorire questo processo di internazionalizzazione dei ragazzi di prima: qualcosa che andasse oltre il morsicarmi la lingua ogni volta che sono costretto a pronunciare il terribile sostantivo.

La mia collega di inglese è stata entusiasta della mia richiesta di collaborazione, e mi ha detto: «Càpiti proprio nel momento giusto! Guarda, i ragazzi di prima stanno preparando un progetto per accogliere i loro coetanei stranieri che arrivano. Se tu potessi seguirli, in una delle tue ore, in questo progetto, toglieresti un po’ di peso dalle mie spalle». Io ho acconsentito con benevolenza e ho concesso una mia ora di storia con volenteroso entusiasmo, pronto ad entrare con il sorriso nella macchina meritocratica del nuovo millennio.

Ma.

Ma ho fatto l’errore di non chiedere in cosa consistesse il “progetto” a cui si dedicavano i ragazzi di prima. E quindi mi sono trovato in classe con i miei ventotto primini che, per internazionalizzarsi, ritagliavano fogli e disegnavano bandiere con i pennarelli: le bandiere delle nazioni europee  da cui provengono i nostri ospiti. Io li ho guardati per un po’, abbastanza immobile, e poi, dopo qualche secondo di perplessità, ho chiesto loro: «Ma è questo il progetto? Colorare bandiere?» «No!!!!» mi hanno urlato loro «abbiamo dovuto anche ritagliarle!» «Ah!», ho detto io.

E poi basta, poi ho aspettato che finisse l’ora di internazionalizzazione, mentre i ragazzi si litigavano il pennarello rosso, imparando che proprio il rosso è il più gettonato tra i colori degli stendardi nazionali. Avrei dovuto lavorare con loro sulle caratteristiche della democrazia di Atene, ma pazienza: oggi abbiamo colorato fogli e imparato che pennarelli rossi, nella vita, non ce ne sono mai abbastanza, e va bene lo stesso. Anzi, va pure meglio: si chiama merito, questo; si chiama qualità e internazionalizzazione e scuola che prepara a un radioso futuro europeo.

Se state per chiedermi come possa avere tutti questi nomi un’ora di liceo (non scuola media, non scuola elementare: liceo) passata a ritagliare e colorare bandiere (liceo), be’, meglio che non me lo chiediate, perché (liceo) non so la risposta.

10 commenti:

  1. State facendo la stessa fine di noi docenti universitari. Internazionalizzazione. Ecco l'ho detto, noi ormai lo diciamo da anni. In bocca al lupo con le bandiere.

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  2. A me preoccupa molto che questa fine la facciate anche voi universitari, mammamia...

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  3. Si dice i20n (per gli anglofoni, "internationalization" è una parola troppo lunga e probabilmente inutile, così la scrivono in questo modo.
    Quanto al pennarello rosso, è notoriamente Komunista.

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  4. Ah ah ah non posso crederci!(liceo) colorare bendiere(liceo) rosso ah ah ah

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  5. Credeteci, credeteci... Non è un pesce (rosso) d'aprile.

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  6. @.mau. in realtà sarebbe i18n (non si contano le lettere totali della parola ma quelle tra la prima e l'ultima)

    http://en.wiktionary.org/wiki/i18n

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  7. Così si dice in giro: che sia il mio allonomastico...

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  8. Auguri, allora.
    Qualsiasi cosa voglia dire ;-)

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  9. E vabbè, dai, fatela un po' meglio sta internazzazzizizione, in maniera un poco meno infantile, e divertitevi tutti quanti, no?

    Tipo (posso?): se guardi lo stile architettonico dei palazzi del potere in Europa, e non solo, puoi vedere quanto ha (o non ha) viaggiato la democrazia Ateniese, il Repubblicanesimo Romano, l'idea di Impero, ecc. ecc....oppure il viaggio delle parole, dei concetti...uff, a inventare!

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)