lunedì 11 aprile 2011

nonnulli rus mittendi

di lo Scorfano

Leggiamo un po’ di Quintiliano, è l’ultima ora, sono in quinta. Leggiamo e ci misuriamo con un latino facile e con una pedagogia lineare, nitida, quasi scontata. Io faccio notare ai ragazzi quanto ci sia in Quintiliano che funzioni perfettamente ancora oggi: l’idea di un rapporto sincero tra maestro e allievo, la misura e l’equilibrio del docente, la maieutica e la fatica. E poi, in particolare, mi piacciono i brani in cui si dice che le passioni dell’insegnante devono restare fuori dall’aula; e che l’ira è vizio peggiore di cui un professore può macchiarsi.

Sorridiamo anche un po’: per esempio sulle punizioni corporali (assegnate senza ira, naturalmente), che ci mettono di fronte a un universo scolastico che è invece molto lontano dal nostro. E poi, a un certo punto, leggiamo una frase che fa ridere solo me: «Nonnulli rus fortasse mittendi». Traduciamo: ‘Alcuni è meglio forse mandarli nei campi’. Io dico loro che è un po’ il corrispondente del proverbiale: «Faresti meglio ad andare a zappare la terra»; e che tutto sommato anche questo è un concetto che segna la lontananza tra Quintiliano e noi. Mi pare ovvio.

Ma l'alunno Bruno interviene. E dice: «Be’, ha ragione anche lui però [lui è Quintiliano]. Alcuni farebbero meglio ad andare nei campi».          
           Ora, l’aspetto interessante di questa osservazione sta in chi la fa. Bruno è un ragazzo in gamba, anche a scuola, ma non sempre lo ha dimostrato; ed è molto lontano da essere il “primo della classe”, come la sua dichiarazione potrebbe far pensare. Usando un’altra immagine da scuola anni ’50, potremmo dire che Bruno porta ancora sul didietro i segni delle pedate con cui è stato promosso in un indimenticato scrutinio, quando era in seconda. Cioè, in buona sostanza, è uno di quelli che con Quintiliano avrebbe rischiato di andare a zappare la terra, giovanissimo. Oggi invece ha diciannove anni ed è molto capace e preparato e vuole fare lo studioso di storia.

E comunque Bruno insiste: «I miei genitori non hanno studiato. Mio padre ha la quinta elementare e mia madre la terza media. Sono persone che fanno il loro lavoro e stanno bene. Perché avrebbero dovuto studiare? A loro va bene così. Io invece voglio studiare e infatti mi impegno». E io gli dico: «Un attimo, Bruno… tu non sempre ti sei impegnato, però. A sedici anni hai rischiato di perdere l’anno e magari la tua vita sarebbe cambiata e forse adesso non avresti capito che hai la passione per la storia. Magari saresti a zappare…»

Ma lui non molla: «Io non sarei andato a zappare, prof: avrei solo ripetuto l’anno, come era giusto e come mi avrebbe fatto bene. Perché  mi meritavo di essere bocciato e sarebbe stato giusto che voi lo faceste. La scuola funziona male proprio per questo motivo: perché non avete il coraggio di bocciare quelli come ero io, quelli che non studiano». Io mi àltero un po’ (le passioni, prof, bando alle passioni: ricordati di Quintiliano!): «Guarda, Bruno, che se tu fossi stato bocciato in seconda, avresti gridato ai quattro venti che non era giusto e che ti era stato fatto un torto… È vero o no?» «Sì» mi dice lui «è vero. Ma questo non conta; per voi professori questo non deve contare. Quello che conta è che non mi meritavo la promozione e ora lo so benissimo». «E forse ora lo sai perché sei arrivato fin qui; altrimenti magari non l’avresti mai saputo.» «Lo sapevo da sempre, prof. Lei non lo sapeva?» «Io, Bruno, non c’ero quando tu eri in seconda, io non ero un tuo insegnante. Io ti ho conosciuto dopo e so solo quello che mi hanno raccontato i miei colleghi». «Infatti, prof. Lei non c’era. Altrimenti mi avrebbe bocciato.»

E tutti a questo punto ridono. E io invece sono un po’ nervoso, nonostante Quintiliano e la sua condanna delle passioni. E chiedo agli altri: «E voi? Voi non avete niente da dire? Giusto così, insomma?» Ma Carlo, che invece è proprio il “primo della classe” e le passioni le tiene sempre molto lontane da sé, mi guarda e mi dice: «Non se la prenda, prof. Si fidi: Bruno si meritava di essere bocciato, lo sapeva lui e lo sapevamo tutti. E infatti lei lo avrebbe bocciato. Di sicuro.». E io allora decido che questo può essere considerato un complimento; e dunque mi fido di loro e ricomincio a leggere Quintiliano, che il mio tempo passa e c’è l’esame di Stato. Vacillando però, come vacillo sempre quando è l’ultima ora e i ragazzi di quinta sono diversi da come pensavo che fossero.



*  *  *

Piccola morale conclusiva, se ne avete voglia: da ragazzi, forse, riconosciamo i difetti della scuola che frequentiamo meglio che da adulti; io, da ragazzo, ne condannavo la lontananza, l’ingessatura, la mancanza di rapporti umani con gli insegnanti. E ancora oggi penso che avevo ragione. Oggi loro (quelli del liceo, almeno) ne condannano il lassismo: o almeno quello che interpretano come lassismo; ci accusano (mi è successo spesso) di volerli troppo «comprendere»: questa è la parola. A volte, penso io, senza mai mandare nei campi nessuno (ci mancherebbe), sarebbe comunque bene dare ascolto anche ai ragazzi.

9 commenti:

  1. «Si fidi: Bruno si meritava di essere bocciato, lo sapeva lui e lo sapevamo tutti. E infatti lei lo avrebbe bocciato. Di sicuro.»

    Sì, direi che è un complimento :-)

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  2. dando per scontato che gli studenti son giovani sì, ma non scemi, è probabilmente vero che bisognerebbe ascoltarli di più.
    io non ho mai insegnato (sono un dilettante in troppi campi per esser professionista almeno in uno), per cui posso riferirmi solo alla mia esperienza personale di studente e a quella di mio figlio.
    della mia è presto detto: nel classico pre '68 la distanza fra professori e studenti era enorme.
    se anche qualche professore era sinceramente interessato agli allievi (e col senno di poi posso dire che ce n'era più d'uno), non ce lo veniva certo a dire.
    e noi, d'altra parte, non ci saremmo mai andati a confidare con loro (vero anche che allora le classi sociali di provenienza degli allievi erano nei licei ben diverse da oggi).
    mio figlio, ora trentacinquenne, lamenta di aver avuto pessimi professori, al liceo (sempre classico), ed è dispiaciuto di non aver avuto modo di impegnarsi più di quel che serviva a strappare un sei a fine anno.
    sicuramente anche a lui, per motivi probabilmente opposti ai miei, è mancato un rapporto decente con gli insegnanti (per fortuna si è rifatto all'università).
    non prenderla come una captatio benevolentiae, ma credo che i tuoi pargoli sian ben fortunati ad avere un docente come te.

    nick the old

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  3. Sono d'accordo. Sarebbe bene dare ascolto anche ai ragazzi.
    Se per ipotesi (ok, periodo ipotetico del terzo tipo) alcuni rappresentanti dei ragazzi fossero presenti in sede di scrutinio, credo che le valutazioni finirebbero per essere più giuste.

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  4. Sono d'accordo con i tuoi studenti. La scuola (almeno italiana) è troppo lassista. Per troppa voglia di comprendere i ggiovani, per paura che finiscano a zappare la terra, per non so quali ragioni ma è davvero così.

    Il problema è che una scuola dura prepara ad un mondo duro, una scuola comprensiva prepara a niente. La durezza non deve essere crudeltà, questo è ovvio, ma io gli unici buoni ricordi li ho dei professori che allora temevo e che mi sembravano durissimi. Rimpiango ancora oggi che siano stati troppo pochi.

    Anche perché la promozione immeritata di Bruno, oltre a far male a Bruno, cosa insegna agli altri? Che impegnarsi, fare fatica, non serve a niente, tanto poi alla fine si aggiusta tutto in qualche maniera, intanto goditi la vita, gioca alla playstation e va' a prendere il sole.

    Poi arrivano a 30 anni che vanno a fare le manifestazioni in piazza perché non trovano lavoro :-)

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  5. @nick
    La tua storia intergenerazionale dimostra che le cose sono cambiate molto, che per fortuna sono anche cambiate in una certa direzione, ma che il mio alunno Bruno non ha del tutto torto. Cosa che, onestamente, pur limando alcune considerazioni, penso anch'io.

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  6. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  7. E' soprattutto l'esempio, infatti, quello che mi preoccupa. Il messaggio che passa inevitabilmente attraverso certo scelte (fatte perlopiù in buona fede) e che finisce per essere quello del "non ne vale la pena, non serve a niente, tanto vale che...".

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  8. Bruno ministro della Pubblica istruzione!!!

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  9. Avete bocciato Bruno? No. Bruno è diventato uno studente valido? Sì.

    Per me non è difficile: avete fatto bene a fare quel che avete fatto.

    Ci sono studenti assai severi con sé stessi.

    Secondo me, perché credono veramente alle fregnacce che gli raccontiamo quando diciamo che sono scarsi, privi di interessi, teste vuote. Anzi, gli dicono, perché ci tengo a dire che io mi astengo da giudizi del genere.

    E molti 'ste fregnacce le sentono anche dai genitori.

    Sarei pronto a scommettere che Bruno è cresciuto a botte di "Noi non abbiamo avuto tutte le possibilità che noi ti stiamo dando!" (da intendersi "sei una delusione").

    E loro ci credono, a queste cose. Finiscono per non avere pietà per se stessi, per non ascoltare le loro stesse ragioni. Sono capaci di dirsi cose che io non mi permetterei mai (e che nemmeno penserei). Generalmente finiscono per non avere alcuna autostima, ed è un peccato.

    In più, non hanno esperienza: ma che Bruno ha mai visto, come te, studenti recuperati dal fatto che gli è stata data fiducia? No.

    Ha mai visto studenti devastati da una bocciatura? No.

    E allora non gli darei troppo retta quando dice che meritava di essere bocciato.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)