di lo Scorfano
Una volta tornato dal mio viaggio nel Nord Europa, ho avuto dieci giorni di tempo prima che iniziasse la scuola, il lavoro. Avevo anche qualcosa da fare, è vero, piccole incombenze editoriali; ma si trattava di poca roba, che sbrigavo in un paio d'ore la mattina, senza sforzo. E poi c'era il blog, è vero anche questo: ma tanti colleghi di questa piccola e inutile blogosfera erano ancora in vacanza, tutti scrivevano poco, sembrava che l'intero italico web (o quasi) fosse in preda a un labile sonno, una specie di stasi momentanea che chiedeva solo di essere assecondata. E io, in effetti, l'ho assecondata.
Ho passato interi pomeriggi a leggere libri; ho scritto pagine che non diventeranno mai post, perché le ho scritte così, solo per mio piacere; ho guardato film, ho ascoltato musica, ho fatto passeggiate con la mia ragazza sul lago, mi sono dedicato a piccoli interventi di manutenzione della casa che rimandavo da mesi.
Sono stati dieci giorni lenti, un po' strani, senza impegni, con qualche cena tra amici e qualche conversazione telefonica pacata, lieve.
Poi ieri mattina alle 8 sono tornato a scuola: collegio docenti, riunioni dei consigli di classe, esami integrativi di italiano, facce di adolescenti tese e preoccupate, correzioni di fogli, previsioni di orali da fare con attenzione, compilazione di documenti. E sono tornato a casa solo alle cinque del pomeriggio. È il lavoro che ricomincia, mi sono detto; è la mia vita che riprende la sua corsa normale. La «mia vita», appunto.
È stato in quel momento, di fronte a quelle due parole, che mi sono fermato di nuovo un attimo, un'altra piccola impercettibile stasi. E non è stato tanto quel consueto sostantivo così generico, «vita», parola troppo grande per potere contenere qualcosa che abbia un significato preciso, che si possa dire e definire. No, non è stato quello; è stato invece l'aggettivo possessivo a fermarmi per un secondo il respiro, a rigettarmi nella quiete irreale dei giorni precedenti; è stato il «mia».
Perché, ho pensato (ma è stata solo una frazione di secondo, non crediate), ho pensato che è vero che la scuola, gli alunni, la letteratura, la poesia, la cultura sono esattamente la «mia vita», è verissimo. L'ho scelta io, questa «mia vita», fatta esattamente di quelle cose lì, e quindi è vero. Ma non è vero, però. Allo stesso tempo è vero e non è vero, oltre ogni principio di non contraddizione.
Non è vero perché forse non riesco più a credere che sia in quelle cose che la «mia» vita trova il suo compimento. Non nel lavoro, non nei rapporti con gli altri e nel loro apprezzamento per i miei sforzi e la mia fatica, non nei piccoli successi, non nelle cose fatte bene e con cura, non nei risultati indubbiamente ottenuti (e neanche in quelli mai ottenuti, ma questo è troppo facile). Impercettibilmente, per un attimo, ho pensato che no, non è così. Piuttosto la passeggiata sul lago e il pomeriggio lungo passato ascoltando una musica. Il vuoto, piuttosto; l'irreale senso del niente. Il resto, le corse, i successi, i progetti e i risultati, sono bella cosa, apprezzabile faccenda, gradevole contorno, ma nient'altro. L'essenza si nasconde altrove.
Ed è un altrove che ha cancellato tutto, in quell'attimo di esitazione: la scuola, la letteratura, i ragazzi, anche il blog e la bellezza (indubitabile) di avere interlocutori più intelligenti di me. Tutto quello che in qualche modo ha a che fare con il resto, gli altri, la socialità, il «vano commercio estero» direbbe un qualche poeta greco. È un altrove che forse trova il suo compimento soltanto nella parola silenzio: che, per uno come me, il cui lavoro consiste sempre nel parlare, è una parola difficile e straniera.
Ma sono stato proprio un attimo in silenzio, ieri, quando ho pensato queste cose: mi sono fermato come se i dieci giorni di interludio tra un viaggio in macchina e un altro viaggio lungo tutto l'anno scolastico stessero per prendere a sorpresa il sopravvento. Poi non è stato così. Poi mi sono messo davanti al computer a preparare la versione dal latino per gli studenti che oggi recupereranno il loro debito di giugno. Poi ho pensato agli impegni di domani e a quelli di dopodomani, mi sono organizzato, ho telefonato alle persone con cui dovrò lavorare, ho preso nota delle incombenze. Sono ripartito, le parole sono ripartite, la voglia di fare bene quello che c'è da fare è ripartita, la «mia vita» è ripartita.
Sempre che sia davvero la mia, naturalmente.
Quell'altrove è estremamente interessante e sempre da indagare. Ci identifichiamo con il nostro lavoro, idee, scelte etiche, credo, ideali politici,genitori, maestri e non so cos'altro e la nostra essenza è tuttavia ALTROVE. Molto liberatorio.
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RispondiEliminaforse davvero il tempo che viviamo, che sentiamo di vivere, procede parallelo alla nostra attività, mentre la "nostra" vita sprofonda giorno dopo giorno in lacuna, chiusa in un angolo remoto della memoria per la quale "viviamo" questa impalpabile, costante, nostalgia.
RispondiEliminainsomma sono d'accordo.
buon lavoro
Va be', che commento del menga che ho lasciato. lo cancello, va. Forse è che non mi sono ancora svegliato del tutto.
RispondiEliminaTu comunque sei fortunato, Scorfano, perché ti trovi a tuo agio con la "tua" vita. Io invece, pensa un po', mi trovo sempre un po' a disagio. Non vivo dove vorrei, non faccio quello che più mi piace o che mi riesce meglio e sono costretto a dedicarvi i ritagli di tempo. Ma per il resto hai detto tutto tu :^)
Il punto è: quale delle due vite è la tua vita? Quella da professore o quella da "vacanziero" (mi verrebbe da dire pensionato, ma sta male), passata a casa a leggere libri, a rilassarsi, a fare passeggiate romantiche con la tua ragazza?
RispondiEliminaForse la vita da professore ha preso troppo il sopravvento, e appena hai avuto modo di godere delle piccole cose della vita ti sei sentito spaesato...
Il senso di liberazione da se stessi ( o ciò che riteniamo di essere ): uno dei piaceri più sorprendenti ed indicibili. :-)
RispondiElimina" Mia vita, a te non chiedo lineamenti / fissi, volti plausibili o possessi..."
RispondiEliminaCaro Prof, nel tuo post si sente decisamente distanza tra scuola e vita. Invece, credo che ciò che renda bello il nostro lavoro è che là dentro entri esattamente la nostra vita: le nostre passeggiate al lago, il blog con le sue discussioni, i rapporti a cui teniamo di più... Insegnare è trovare nessi che solo noi possiamo trovare, tra elementi disparatissimi.
E poi, credo che uno si possa "rassegnare" a qualcosa di breve respiro, solo perché sa bene che la vita è molto di più...
@rigorosamenterosso
RispondiEliminaNon so se sia davvero così, alla fine. Ho raccontato una sensazione. Forse la nostra essenza non sta dentro nessun luogo: né qui né altrove. ecco perché poi ci si perse, ogni tanto, per qualche attimo.
@SpeakerMuto
RispondiEliminaA me il commento che hai cancellato (e che leggo sulla mail) piace molto.
@bute
RispondiEliminaGrazie del buon lavoro. Ne avrò bisogno. E altrettanto, ovviamente.
@Marcoverga
RispondiEliminaEntrambe allo stesso modo, mi pare di poter dire.
@gyaci.nta
RispondiEliminaEh già: una sorta di "fuga" da quel che si è (o che si pensa di essere o che si pensa che gli altri pensino che noi siamo)...
oh, si. è molto probabile che io abbia colto nelle pieghe delle tue parole qualcosa che appartiene a me ed è parte del mio solo sentire, ma sai bene che non hai alcun potere su quello che le tue parole suscitano come moti negli altri.Una volta gettato il sasso....:))
RispondiElimina@rigorosamenterosso
RispondiEliminaSì, è vero: il sasso è gettato, e non nascondo la mano. ;)
Però da quello che scrivi a me sembra che non sia così... Ma è giusto! E' la bellezza del riscoprire le cose semplici, quelle a cui non facciamo attenzione!
RispondiEliminaPS.Mi fa venire in mente il blog 1000awesomethings.com, l'avete mai letto?
Mai letto. Rimedierò...
RispondiEliminaUn altro bel post di acute e per niente inutili riflessioni.E' una benedizione, spesso, leggerti, scorfano!
RispondiEliminaQuella sensazione lì io ce l'ho spesso, in verità e non è cosa buona, lo sento; del resto, penso che noi non coincidiamo mai perfettamente con la vita che conduciamo, anche se l'abbiamo voluta, né con le cose che facciamo. C'è sempre uno scarto e in quello scarto sentiamo di potere essere altro, perché c'è dell'altro in noi e vorremmo scoprirlo. Siamo più estesi, come identità, delle 24 ore in cui diciamo, facciamo, lavoriamo.Siamo in gabbia e fuori dalla gabbia ci siamo anche con l'altra parte di noi, quella meno visibile e conosciuta.
Grazie a te della generosità, temporalia.
RispondiEliminaNonostante l'augurio, dopo tanto post, suoni ironico, buon inizio!
RispondiEliminaTua o non tua, l'importante è che tu abbia sempre voglia di continuare a raccontarla qui, così posso tenerti d'occhio, caro prof.
RispondiEliminaMi sa che insisterò proprio per questo, caro Plus: perché ancora non lo capisco...
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