Ieri sera, con un amico, sono stato a una delle tante Case del Popolo di Brescia, un localino dove si suona musica che alla radio non ascolti mai (anche ieri sera si suonava), dove ci sono giornali di sinistra sui tavoli, dove i toni sono amichevoli e dove l’arredamento cadente neanche lo noti, perché quello che conta, alla fine, è quello che abbiamo dentro. Si mangia molto bene, alla Casa del Popolo, si beve ottimo vino e i ragazzi che gestiscono l’ambiente sono molto gentili. E comunque, ripeto, lì, in quel posto, quello che conta è quello che abbiamo dentro. Qualcuno là in fondo ha ruttato? Non importa, capita, quello che conta è quello che abbiamo dentro. L’apparenza, l’esteriorità, lasciamoli a quelli che stanno nei locali fighetti, dalla parte opposta del centro città. Molte delle persone che conosco, lì dentro, è gente che ha studiato letteratura o filosofia o scienze politiche o altre cose che con la pratica hanno poco a che fare. E in effetti hanno così poco a che fare con la pratica che sono in molti ad essere disoccupati. In molti, ieri sera, eravamo gente che ha letto Marx, Adorno, Primo Levi e Franzen, gente che si interessa di quello che succede nei baesi baschi e o nel profondo sud del suolo americano.
Alcuni organizzano feste popolari, altri manifestazioni, altri ancora sono i capoccia del centro sociale bresciano e io non è che li conosca bene, però, insomma, si condividono alcune cose che hanno a che fare con il rancore, la politica e le cene da quattro soldi.
A un certo punto un turista tedesco che si trovava, chissà perché, a un tavolo vicino al mio ha chiesto ad un paio di ragazzi come diavolo facessimo, noi italiani, a sopportare Silvio Berlusconi: “Ma come fate a sopportare Silvio Berlusconi al governo?”. Già, mi sono chiesto pure io, come facciamo a sopportare Silvio Berlusconi al governo? E i ragazzi, dopo la domanda del tedesco, si sono guardati ridendo rumorosamente e poi hanno guardato noi e poi hanno chiamato degli amici che stavano un po’ più in là e si sono passati la domanda tra di loro, ridendo, cercandosi nelle tasche la complicità che serve per fare serata.
E anche il tedesco, contagiato, si è messo a ridere e tutti, o più o meno tutti, hanno cominciato a dire che “quello prima ce lo leviamo di torno e meglio è”, “solo l’Italia può accettare una situazione del genere” e “dobbiamo emigrare, questa è la soluzione”. Poi io e l’amico che stava con me abbiamo ordinato un’altra birra, il tedesco si è avvicinato ai suonatori e gli altri hanno tirato fuori un gioco in scatola.
Ecco, lo sopportiamo così.
accidenti, hai ragione: è proprio così!
RispondiEliminaohibò, mi prende male...
È una reazione rilassata, che ha i suoi pregi e che presto darà i suoi frutti.
RispondiEliminaCaro Disagiato,
RispondiEliminala tua battuta finale mi ricorda il dire "fate presto che è tardi".
Fosse l'Italia il paese dalla reazione rilassata? E gli italiani il popolo del tengo famiglia?
Marco
No. Mi sa che la reazione rilassata non basta più.
RispondiEliminaComunque la tua chiosa la dice lunga sugli italici costumi, persino dei filosofi, letterati, intellettuali, in fondo falliti in qualche modo anche loro, persi dentro qualche lettura ideologica e fuorviante.hmm...