di lo Scorfano
Sabato mattina, prima che ci fosse la manifestazione a Roma e le relative non imprevedibili violenze e le polemiche del dopo e i distinguo e i però insomma, sabato mattina è successa una cosa anche nella mia scuola, che forse, paradossalmente, ha anche a che fare con quello che è poi successo a Roma nel pomeriggio. Sabato mattina, nella mia scuola, c'erano le elezioni degli studenti rappresentanti di classe e di istituto.
Io mi sono trovato in prima e quindi ho dovuto spiegare ai ragazzini appena arrivati al liceo il senso delle elezioni, cosa deve fare un rappresentante di classe e tutta un'altra serie di cose che i primini non potevano sapere. Loro sono stati entusiasti: si sono candidati tutti e quelli che non sono stati eletti ci sono rimasti molto male. Ne ho dovuto consolare qualcuno, che aveva preso la sconfitta come un fatto personale, un attestato di disistima da parte dei compagni di classe. Ho detto loro che avranno altri quattro anni per rifarsi e che si rifaranno.
Poi sono andato in quarta, all'ultima ora.
Anche i ragazzi di quarta, quando sono entrato, stavano ancora litigando per le elezioni appena svoltesi: era successo che uno di loro aveva preso una decina di voti (cioè metà classe) ma non intendeva affatto fare il rappresentante. Anzi sosteneva che gli altri lo avevano votato solo per fargli un dispetto, per «prenderlo per il culo», e che si erano a tal spregevole fine messi d'accordo già il giorno prima. Conoscendoli, ho subito pensato che fosse vero. Così sono diventati rappresentati di classe il secondo e il terzo dei votati, quelli che nessuno aveva voluto prendere in giro.
Risolta la questione rappresentanti di classe, uno di loro mi ha detto: «Per il consiglio di istituto, invece, abbiamo tutti annullato la scheda». «E perché?» ho chiesto io un po' meravigliato. «Perché sono tutti dei deficienti, prof, non valeva la pena di votare nessuno» mi hanno detto loro.
I ragazzi di quarta (devo precisarlo, altrimenti non si capisce niente del post) i ragazzi di quarta sono tutti ragazzi molto in gamba: studiosi, attenti, spiritosi, ironici, intelligenti. Una classe in cui da mesi non smetto di trovarmi bene e di lavorare benissimo. E sui rappresentanti di istituto non avevano nemmeno torto, a dire il vero. Le liste per il consiglio di istituto erano infatti soltanto due e le due diverse proposte consistevano sostanzialmente in questo: la lista A ha proposto che la festa di fine anno scolastico non si dovesse più fare nei locali della scuola, perché «a scuola non si può mai fare niente», e che quindi si dovesse affittare quella tal discoteca, tutti insieme, dove ci si sarebbe divertiti molto di più (poi ho scoperto che uno della lista A fa anche il Pr – si dice così, no? – per quella stessa discoteca, e che quindi ci avrebbe pure guadagnato qualcosa, vabbè); la lista B ha invece sostenuto la necessità di continuare a fare la festa nei locali della scuola, «perché è la festa della scuola», e ha quindi proposto una colletta tra gli studenti – meno di un euro a testa – per l'acquisto di un cannone sparaschiuma, da utilizzare appunto nella festa di fine anno scolastico. Tutto vero e tutto qui.
Ecco, i miei alunni di quarta mi hanno quindi detto di aver annullato la scheda pensando che anch'io avrei capito, e condiviso, la necessità della scelta. Davanti a proposte come un cannone sparaschiuma non resta altro che il rifiuto. Ma io (forse perché non mi sentivo tanto bene, forse perché sapevo che nel pomeriggio c'era la manifestazione romana e avevo pessimi presentimenti, forse perché già avevo in testa quello che poi ho scritto domenica) io mi sono un po' innervosito. e, in tono nervoso, ho chiesto loro: «E voi?» E loro sono rimasti zitti e stupiti.
E io ho proseguito: «E a voi non è venuto in mente che potevate fare qualcosa? Aspettate che facciano tutto gli altri, o che cosa? Non vi è venuto in mente che poteva toccare a voi, quest'anno, mettere su una lista e fare qualcosa di buono per tutti, che non fosse il cannone sparaschiuma? Non è difficile, sapete: ci si mette d'accordo, si fanno alcuni progetti, e ci si prova... e magari si va in consiglio di istituto a dire che si è contrari alla pubblicità dentro la scuola, per esempio. Ci si fa ascoltare, si pretende di essere ascoltati, si prova a migliorare qualcosa di quello che non va, anche solo qui dentro».
Parlavo a voce alta, troppo alta. E loro tacevano perplessi, e forse anche sorpresi. Poi uno, uno dei più bravi, dei più attenti e dei più studiosi, mi ha detto: «Io ci ho pensato, prof.... Però, insomma, devo studiare. Non ho tempo. Ho fatto fatica per avere i voti che ho e poi magari mi rovino la pagella, e la media mi si abbassa e prendo pochi punti all'esame di maturità, l'anno prossimo. Non ho voglia che mi succeda: io ho voglia di fare bene il mio mestiere, come dice sempre lei».
Ed è vero, infatti: lo dico sempre io. Fare bene il proprio mestiere, prima di tutto. E infatti i ragazzi di quarta sono bravi: ascoltano e cercano di imparare. E godono anche di grande successo sul web, quando racconto le lezioni su Dante che loro (soprattutto loro) hanno il merito di far venire così bene. Perché sono ottimi studenti. E, insomma, sabato mattina, mi sono trovato a pensare che questo è quello che noi chiediamo loro, questi sono quelli bravi. Quelli meno bravi pensano al cannone sparaschiuma, nel frattempo, o provano a tirar su due euro con la festa di fine anno scolastico.
E poi, forse perché ero davvero molto nervoso, stavo anche per dirgli: «Non basta. I bei voti non bastano, il mestiere fatto bene non basta. Perché poi vi lamentate di come vanno le cose. Perché il silenzio, l'omissione, l'indifferenza, il cinismo, l'astensione e l'ironia sono tutte forme orribili della complicità...» Ma questo, poi, non gliel'ho mica detto. Perché tutto sommato lo sapevo, non stavo affatto rimproverando loro, sabato mattina prima della manifestazione romana e delle prevedibili violenze, ma me stesso.
Io questa cosa qui che i più attivi a livello collettivo lo siano a discapito dello studio l'ho sempre pensato, non solo alle scuole superiori ma anche all'università. Come se ne esce da questo apparente paradosso?
RispondiEliminaSembrerebbe che massimizzare l'utilità individuale comprometta l'utilità collettiva e viceversa. Lavorare per l'utilità collettiva quando tutti gli altri lavorano per l'utilità individuale è perdente. Ma sul lungo termine lavorare tutti esclusivamente per l'utilità individuale sul medio lungo termine è ugualmente perdente. La situazione italiana è la dimostrazione palese dei risultati di questa strategia.
E' un problema vero e anche molto difficile da risolvere. Occuparsi della cosa pubblica, protestare per piccole e grandi ingiustizie, toglie tempo allo studio, al lavoro e alla vita personale. Avresti dovuto, se mi posso permettere, rendere esplicita questa difficoltà, dar ragione a quello studente che ti ha riferito i suoi dubbi. Avresti dovuto spronarli a trovare una soluzione a questo problema. Che loro sono giovani, sono in tanti, che la collaborazione con i compagni (e non la competizione), magari anche con qualche "matusa", avrebbe potuto alleviare di molto le difficoltà. Che bisogna anche valutare i danni che queste liste avrebbero arrecato a loro e ai loro compagni. Insomma, un vero pasticcio. Come è di solito la vita degli adulti.
RispondiEliminaForse la faccio troppo facile. La mia era solo un'idea per una prossima volta.
ilcomizietto
Non saprei. Per la mia esperienza, chi voleva fare il rappresentante d'istituto era spesso (non sempre, ma quasi sempre) chi:
RispondiElimina. non possedeva o voglia di studiare o le capacità
. aveva aspirazioni pseudo-politiche
. voleva stare al centro dell'attenzione.
Tutte cose che non interessano assolutamente ai "secchioni", i quali hanno solo da perdere nel sobbarcarsi un impegno ulteriore, che non aggiunge sicuramente nulla ai risultati scolastici, dei quali, tra l'altro, devono rendere conto ai loro genitori.
E' possibile effettuare un parallelismo tra questo argomento e la politica?
Al liceo e poi all'università sono sempre stato impegnato come rappresentante degli studenti e devo dire, a dispetto del ragionamento di luigi, che mi ha aiutato negli studi.
RispondiEliminaImpegnarsi nella propria scuola aiuta a comprenderne meglio i meccanismi, le finalità, a entrare in sintonia con l'istituzione (parola che sembra brutta, ma pensa a Castoriadis, invece che a Bordieu e Passeron), a conoscerne gli attori nell'atto di prendere le decisioni e costruire i progetti.
Insomma a fare i rappresentanti si impara qualcosa in più e, se ci si mette l'impegno e la passione, si impara soprattutto che le cose fatte con passione e impegno non rubano mai tempo, anzi fanno guadagnare tempo ed energia per gli impegni quotidiani.
Io sono andato avanti così per sei o sette anni, diviso tra impegni di rappresentante e doveri di studente: ho avuto sempre il massimo dei voti e una lode finale che forse, non avessi fatto rappresentante, non sarei mai stato un grado di ottenere.
sono stato indeciso su cosa commentare, e addirittura se commentare qua o sul Frenfi.
RispondiEliminaIl mio pensiero è molto terra terra: fare politica è un lavoro, e ci devi essere portato. Se effettivamente ci sei portato, l'impegno che ci devi mettere non ti toglie troppo tempo dal tuo lavoro "ufficiale" (che nel caso dei tuoi studenti è studiare). Se non ci sei portato, magari riesci anche a farlo decentemente: ma ti costa così tanto tempo che non puoi fare null'altro.
Andando più sul generale, credo che non sia giusto mettere nello stesso calderone «il silenzio, l'omissione, l'indifferenza, il cinismo, l'astensione e l'ironia». Silenzio indifferenza e astensione li trovo più preoccupanti perché portano all'acquiescenza; cinismo e ironia possono sì portare allo sfascismo che piace tanto al PresConsMin (anche aferesizzato) ma possono anche essere un punto di partenza. L'omissione non so, bisognerebbe capire se è voluta oppure no.
Non so. Quello che mi viene in mente innanzi tutto, da insegnante, è che mentre i primini sono uguali dappertutto, in quarta le differenza tra liceo e istituto tecnico si vedono già di più. Perché la questione dell'andare bene a scuola non sarebbe mai tra le priorità (e non sempre, sia chiaro, perché non ci tengano!) di chi sceglie di fare o non fare la lista per il consiglio di istituto. Al limite il calcio, gli allenamenti, per alcuni già il lavoro al pomeriggio... Hai ragione, è il motivo per cui poi noi siamo i nemici. Anche se in questo caso, forse, una possibile risposta, banale, ma referenziale, è che studiare (tanto più al liceo, tanto più in quarta) non è un mestiere. E' semplicemente una delle tante cose che costituiscono il loro unico dovere di adolescenti: farsi incuriosire (e possibilmente sporcare, più o meno intensamente a seconda dell'indole che in questo modo scopriranno, dalla realtà).
RispondiEliminaps. da noi tre liste, ma in realtà una (perché siamo tre plessi, e dunque...). Ma la questione è soprattutto di persone... Vediamo, forse ce la fa Nana.
Che bello il commento di Bute :-)
RispondiEliminaIo ho in quinta due rappresentanti, quasi ex. Uno è molto bravo, e l'impegno per la collettività ce l'ha nel sangue, quindi riesce a studiare bene e anche a portare avanti i suoi progetti politici. Magari non si allena a pallone quattro volte a settimana, però. L'altro non è che si ammazzi di studio, ma è un bravo ragazzo, uno di quelli che riescono sempre ad ascoltarti e dare l'impressione di condividere le tue ragioni (anche se poi magari non è vero). Se non facesse il rappresentante non occuperebbe il tempo studiando meglio, di questo sono abbastanza sicura.
@speaker muto
RispondiEliminaNon so se è possibile il parallelo. Io ho provato a farlo, come vedi. Mi è sembrato possibile. Ma forse ho un po' forzato la mano...
@luigi
RispondiEliminaIl commento di Bute ti risponde meglio di come io saprei fare. In fondo anch'io penso che sia possibile. Benché, debbo ammetterlo, io feci, da ragazzo, il rappresentante di istituto per due anni e me ne portai a casa qualche insufficienza, anche. Ma anche molte altre utili cose.
@.mau.
RispondiEliminaSì, l'elenco finale era enfaticamente retorico, lo so. E si tratta di atteggiamenti che non possono essere messi sullo stessio piano. Però la tua indecisione sul commento (che è stata anche la mia, sia nel post che sabato mattina) conferma, in fondo, che si tratta di un nodo spinoso della nostra "partecipazione" alla vita collettiva.
E poi, ch è anche la mia possibile risposta a tutti, molto dipende dagli interpreti, è ovvio. Non esistono i "ragazzi", neturalmente, ma tanti ragazzi uno diverso dall'altro. Ognuno con la possibilità o meno di fare determinate cose.
RispondiElimina@scorfano: probabilmente la risposta giusta è che tutti dovremmo partecipare alla vita collettiva, ma ognuno dovrebbe scegliere il modo con cui farlo.
RispondiEliminaIn tal caso fare bene il proprio mestiere dovrebbe bastare (anzi: essere già molto). E' su questo che mi sto interrogando in queste settimane. E che tormento anche voi, naturalmente... ;)
RispondiEliminaFare bene il proprio mestiere è una cosa personale. È vero che il risultato può servire alla collettività, ma lo fa indirettamente...
RispondiEliminaInsegno anch'io, in un liceo. La mia impressione è che alunni e insegnanti seri non abbiano né tempo né voglia di scendere a quella compromissione con l'umano che l'impegno politico in senso lato sempre richiede.
RispondiEliminaCosì, chi lavora meno in classe, tanto fra i docenti quanto fra i discenti, lo si ritrova poi nelle commissioni, nei consigli, nei progetti. Gli altri, zitti, svolgono il loro oscuro e prezioso mestiere.
Temo che nella gestione delle città e dello Stato sia lo stesso: non sono certo i migliori a farsene carico...
Temo, gentile anonimo, che tu abbia, almeno in parte, un po' di ragione...
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