Non mi ricordo se ve l’ho già detto ma io quasi una decina di anni fa ho fatto il servizio civile presso un istituto che accoglieva malati terminali di Aids. Dovevo partire per la Sardegna con la mia ragazza quando mi arrivò la cartolina delle Suore Ancelle della Carità che mi diceva di presentarmi il tal giorno alle ore dieci del mattino. Niente Sardegna, quindi. Insomma, mi proposero questo istituto, dandomi la possibilità di rifiutare e di scegliere altra destinazione. Quando la suora pronunciò le parole “sieropositivi” e “Aids” mi iririgidii, non lo nego, ma decisi ugualmente di fare quello che mi avevano proposto di fare. Perché? Prima di tutto perché la struttura era vicino a casa mia e seconda cosa perché mi sembrava una cosa bella e utile. Visto che avevo deciso di non fare la guerra, mi sembrava assurdo non spendere il mio tempo (tempo rubato e pagato pochissimo) in modo intelligente. Bello, utile e intelligente non sono termini adatti ma in quei momenti, quando sta a te decidere come passare i prossimi dieci mesi stretto dalla constrizione, lo diventano, adatti. Servono per fare la scelta più sensata.
Insomma, entrai nell’istituto toccando ogni cosa e ogni persona con la punta delle dita, imparai a distribuire colazioni, pranzi, cene e sigarette e più che altro imparai a stare con tossicodipendenti, ladri, prostitute e finti onesti. Che non è facile, ve lo assicuro. Gli ammalati, questo imparai, non sono tutti uguali: ci sono quelli che dicono le bugie e ci sono quelli che vorrebbero dirle ma non le dicono, ci sono quelli che restituiscono la refurtiva (pacchetti di sigarette e soldi) e quelli che non la restituiscono, ci sono quelli che nascondono il vino sotto il letto e ci sono quelli che vorrebbero nasconderlo ma non lo fanno. Questo fu il mio servizio civile. Qualcuno morì durante quei mesi e qualcuno, invece, riacquistò l’indipendenza e la (fragilissima) salute. I vivi, lì dentro, erano esseri umani che camminavano su una corda sospesa. Tutti quanti. Feci amicizia con un paio di ragazzi che però mi tradirono, litigai con la suora responsabile, un prete mi prese in simpatia e di Rosa quasi mi innamorai.
Rosa era bellissima e ad avvicinarci fu una sorta di complicità che nulla aveva a che fare con il mio ruolo. Rosa era dolce, sincera, disperata (questo le donava uno splendore tragico), testarda e fragile. In quei dieci mesi, anche meno contando che le fui davvero amico a metà del mio servizio civile, ascoltai i suoi lamenti e la sua gioia, vidi la sua mano coprire la sua bocca sorridente (per un pudore che non riuscivo a comprendere) e i suoi piedi appoggiarsi troppo mollemente al terreno; conobbi la figlia e poi certi personaggi che le rimproveravano gli sbagli e i deragliamenti passati. Rosa, insomma, mi alleggerì tantissimo il servizio civile e io, penso, le alleggerìì quella vita costruita su griglie, orari, regolamenti e cene apparecchiate al crepuscolo. Finiti i miei dieci mesi il mio addio fu in realtà un arrivederci privo di tentennamenti e sbavature. Mi feci vedere ancora, poi sempre meno e poi ancora meno, fino a quando i nostri destini personali cambiarono brutalmente traiettoria.
Ieri Rosa, su una sedia a rotelle, è entrata in libreria con sua figlia. Ho spalancato gli occhi, ho abbandonato un cliente e con il sapore del sangue in bocca mi sono piazzato davanti a lei. “Rosa!”, le ho detto. Lei mi ha guardato ma non mi ha riconosciuto. Io allora le ho ricordato il mio nome e il tempo alle nostre spalle. Ma niente, non mi ha riconosciuto.
Senza parole. Le hai già dette tutte tu.
RispondiEliminaQuesto post mi aveva dato qualcosa che l'ultima frase ha distrutto senza pietà. Non so come altro dirlo, scusa.
RispondiEliminaRosa dal sorriso celato con il palmo della mano, Rosa dalla timidezza nascosta.
RispondiEliminaNon sarà che magari ti aveva anche riconosciuto ma forse poteva avere qualche motivo per non svelare il suo passato comune con te, magari ad un suo accompagnatore?
Oppure una ritrosìa femminile dovuta al fatto di aver deciso di cancellare un periodo del suo passato?
Oppure tante altre possibili spiegazioni alla sua amnesia.
Dai, non essere così sicuro che lei non ti abbia davvero riconosciuto.
Marco
Sì, magari fingeva. Hai ragione tu.
RispondiEliminail finale di questo tuo post è uno schiaffo. in piena faccia.
RispondiEliminaAnche per me ha finto di non riconoscerti
RispondiEliminaMi dispiace...
RispondiEliminaohana
Secondo La Dottoressa Moglie, invece, è *probabile* che il non riconoscimento derivi dalla sua malattia, che mi sembra anche la spiegazione più ragionevole.
RispondiEliminailcomizietto
Non giudicare e resta sereno.
RispondiEliminaLe variabili in gioco sono infinite e non puoi conoscerle.
La cosa più bella che hai è il ricordo e la consapevolezza di ciò che hai fatto.