sabato 22 ottobre 2011

la prof non è contenta

di lo Scorfano

 
L'anno scorso la mia collega Erminia continuava a parlarmi della sua seconda. Mi diceva: «Guarda, l'unica cosa per cui riesco a ancora venire a scuola con un po' di entusiasmo sono i ragazzi di quella seconda lì... Davvero, non hai idea di quanto siano in gamba: educati, attenti, gentili, piacevoli e studiosi. Mi mancheranno tanto, l'anno prossimo, quando non li vedrò più». Io la ascoltavo e un po' ero invidioso (le mie classi del biennio mettevano ansia, l'anno scorso), ma un po' ero anche felice per lei, che è una collega preparatissima e attentissima, di cui ho grande stima e che si merita, secondo me, un po' di soddisfazione. Ma ero anche parecchio curioso, perché non conoscevo affatto quella meravigliosa seconda liceo.

Poi, una mattina, mi sono trovato a supplire un collega ammalato: e ho letto sul foglio minaccioso delle supplenze, affisso ogni mattina all'entrata della scuola, il mio nome (segue imprecazione) accanto all'indicazione di quella classe seconda (improvviso attenuarsi delle maledizioni). Nella sfortuna, ho pensato, mi era andata bene: almeno avrei conosciuto i ragazzi di quella splendida seconda. 

Quando sono entrato in quella classe ho trovato alunni davvero molto educati, gentili e curiosi: mi hanno fatto domande soprattutto sul triennio, perché era già maggio e loro erano ansiosi di sapere quello che li aspettava. Mi hanno chiesto anche qualcosa di Dante, perché (non so da chi, ma forse proprio dalla collega Erminia) avevano saputo che Dante è la mia passione. E, insomma, l'ora era passata molto gradevolmente e con la sensazione limpida di trovarsi di fronte a una classe un po' speciale, una di quelle che ogni tanto capita di trovare tra il delirio di un anno scolastico e l'angoscia dell'altro.

A un certo punto di quell'ora di supplenza, quando il ghiaccio era stato abbondantemente rotto tra me e quei ragazzi mai visti prima, ho detto loro: «Be', non avrete più la professoressa Erminia, l'anno prossimo. Immagino che vi dispiacerà un bel po'...» Loro sono rimasti un po' più zitti del solito e poi una ragazza, di cui non dimenticherò più lo strano sorriso, mi ha detto: «La professoressa sarà molto contenta, invece...». E tutti hanno riso.

Ma io non ho riso, perché non avevo mica capito. Ho chiesto spiegazioni. Loro hanno prima esitato, poi hanno cominciato a dirmi che la professoressa Erminia si lamentava sempre, li sgridava sempre, diceva loro che non facevano abbastanza e che lo studio a cui erano chiamati doveva essere ben altro. E, insomma, loro pensavano che la mia collega avesse un'opinione piuttosto bassa di loro; e che non fosse per niente contenta di quella classe seconda, che erano loro.

E io, non so perché, mi sono dispiaciuto. E, facendo quello che non si dovrebbe fare (ma era maggio: ci ho pensato e ho pensato che a maggio potevo pure fregarmene), ho ripetuto lì tutto quello che la professoressa Erminia mi aveva detto di loro in quel lungo anno scolastico. Loro all'inizio non ci credevano, e protestavano che li stessi prendendo in giro. Poi hanno taciuto. E sono rimasti zitti e stupiti. E io ho insistito e ho detto tutto, senza risparmiare nulla, tutti i complimenti uno dietro l'altro, tutte le belle cose che lei mi aveva sempre detto di loro. Adesso spero che la mia collega Erminia non lo sappia, ovviamente. Ma ogni volta che li vedo in corridoio che la fermano per parlare un po' con lei (che ora non è più la loro prof), penso di avere fatto bene; e che magari anche Erminia è contenta.

Anche se, in fondo in fondo, non so mica.

Non so, cioè, cosa sia giusto fare, in realtà: continuo a non saperlo. Non so se sia meglio tacere ed essere esigenti fino all'ultimo giorno, interpretando rigidamente un ruolo che è, in fin dei conti, il nostro ruolo, o invece esternare il proprio apprezzamento anche ai sedicenni di una seconda. Forse ha ragione la mia collega Erminia, la «prof cattiva» del nostro liceo, forse è meglio non farlo: sono piccoli, potrebbero non capire, potrebbero studiare di meno. O forse invece studierebbero ancora di più, sapendolo e sentendosi molto apprezzati.

E, ve lo confesso, sarei restato molto a lungo alle prese con questo dubbio irrisolvibile, se non avessi un giorno pensato ad altri miei colleghi e colleghe che invece fanno tutt'altro: che portano cioccolatini in classe per il loro personale compleanno, che costringono (è esatto: costringono) i ragazzi a scrivere lettere al preside in cui chiedono di avere proprio quel «bravissimo professore» anche l'anno prossimo, che abbracciano i ragazzi nei corridoi o li sommergono di attenzioni (anche private) mentre scendiamo sulle scale, che danno a tutti tutte le sufficienze possibili perché è «un ragazzo così affettuoso». Non so ancora se sia giusto, lo confesso, quello che ha fatto la mia collega l'anno scorso: ma so che tra la mia collega Erminia e questi altri miei colleghi qui, che ci sono e sono molti, scelgo Erminia, senza esitazione. Sarà pure un po' esagerata, non discuto, ma almeno è dignitosa. Il che, in una scuola, non è l'ultimo dei pregi.



(Lo spunto per questo post mi è giunto grazie a questo commento di Tamara: che, appunto, ringrazio.)

15 commenti:

  1. Anch'io, in effetti, mi chiedo che cosa vedano di me i miei studenti. Fra l'altro, più che dire che davanti a loro "assumo" un ruolo (problema che ho avuto molto nei miei primi anni di ìnsegnamento) adesso penso di "avere" un ruolo. Le attenzioni alla loro persona cerco di farle passare innanzitutto quando cerco di ascoltarli il più attentamente possibile durante le interrogazioni (cercando di captare magari anche il "non detto"), nel modo in cui appunto anche io cerco di non far loro sottovalutare degli errori, o viceversa ridimensiono alcune loro paure (come dicevi tu l'altroieri).
    Amare/temere/odiare sono alternative che cerco sempre di tener presente quando ho davanti i miei studenti: persone in tutti i sensi, ma la cui età potrebbe certo travisare alcuni miei atteggiamenti.
    E poi credo che gli studenti abbiano bisogno innanzitutto di adulti davanti a loro, che svolgano la loro professione con competenza, e di questa rispondano. Perché anche loro, in fin dei conti, credo sappiano leggere tra le righe, e capire se la professionalità è solo un pallino del prof, o vuole essere un modo più vero di rapporto con loro...

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  2. Avevo una professoressa, al liceo, che chiamavamo "la fascista". In terza e quarta ci fece passare le pene dell'inferno. Esigente all'estremo, severa, mai un momento di cedimento, mai un sorriso o un gesto di umanità. Io non ho studiato fino alla quarta, fino a quando cioè non ho capito chi ero e chi volevo diventare. In due anni ne ho studiati cinque e alla fine l'unica prof che dopo dieci anni sento ancora e alla quale mando un biglietto a Natale è lei. Un giorno davanti a un the, non più alunna e prof, ma solo donne, le ho chiesto perché, mi avesse massacrata così tanto. "Perché te? Perché vedevo tutto quello che sprecavi, in terza, ed ero arrabbiata. Ti ho massacrata, punzecchiata, ma alla fine è venuto fuori quello che mi aspettavo". Ecco, il tuo post mi ha fatto venire in mente quegli anni lì, con un po' di malinconia.

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  3. Non so. Io mi illudo che ci sia una via di mezzo. So che mentre leggevo di quella seconda ho pensato all'Onda, sempre lei. Che ho amato solo come si può amare una classe una volta nella vita. Lo sapevano loro, lo sapevo io. Ma non ho mai dato un voto alto perché erano affettuosi. E quando erano assenti chiamavo a casa le famiglie. E grazie a me ne bocciarono quattro, alla fine. E quindi, boh. Continuo a essere un po' incerta, ma tutto sommato penso che sì, se una classe di cui la prof. parlava così tanto bene arriva a dire cose come quella che tu hai sentito con le tue orecchie, beh, nel suo comportamento verso di loro c'è stato qualcosa di sbagliato.

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  4. Io condivido lo scetticismo di 'povna. La tua collega è stata molto fortunata a trovare una classe buona di suo, perché in un ambiente appena più problematico sarebbe successo di tutto. Li avrebbe persi.

    E poi perché mortificare la gente? Perché sempre questa mentalità arcigna per cui pare che l'educazione debba avvenire sempre per progressive sofferenze?

    Oggi una mia studentessa m'ha fatto notare che era la prima volta che ridevo in classe dall'inizio dell'anno. Aveva ragione, perché, passato a lavorare in una scuola privata e con gente nuova, non mi sono granché rilassato, finora. E cmq non è la prima volta che me lo dicono, all'inizio.

    Però sono attentissimo a non mortificare neanche i più scarsi (anzi, soprattutto). Pur non regalando niente. Quando metto un 4 pare che mi stia quasi scusando: però lo metto, e non ci sono santi, se ritengo che ci voglia.

    Uqbal

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  5. @Monica: mi trovo nel complesso d'accordo con tutto quello che scrivi. Certo, tra pensarlo e metterlo in atto ci passa la sua bella differenza. Però, com'è ovvio, ci si prova.

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  6. @SC
    Quello che racconti tu è in genere quello che raccontano molti (moltissimi) degli ex alunni della mia collega Erminia. Anche per questo non sono mai riuscito a pensare che sbagliasse troppo. (A volte forse un po', ma d'altronde chi non...)

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  7. @'povna e uqbal
    Dite senz'altro cose giuste. E infatti, non so se si è capito, anch'io nel post mi metto nella posizione della "via di mezzo", di quello che fa la cosa giusta. Ma ovviamente un conto è dirselo da soli, un altro conto...

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  8. duri con sti studenti italioti, i piu ignoranti d'europa....basta buonismo .!

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  9. se sarete molli avremo le strade piene di studenti come er pelliccia .!!

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  10. @povna e uqbal (+scorfano): sì, anche io concordo pienamente con voi... Anch'io mi squasso a dare brutti voti (agli scrutini, poi...). E anche io, dovendo dire quel che desidero di più, vorrei essere trasparente (nei miei giudizi di valore, e nel "promuovere" il valore nei miei studenti) più che scendere con l'accetta. Ma non sempre si riesce a percorrere questa via di mezzo. Cerco, appunto...

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  11. certo che il povero Orazio e il suo consiglio del miele con noi hanno vita dura... :)

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  12. Io non mi squasso a dare cattivi voti, vorrei dirlo. Forse perché avendo ricevuto una educazione mezza britannica sono abituata (benedetti analitici) a scindere il voto a scuola dal cittadino. Ripeto, le parole della mia grande collega Mafalda, agli scrutini dell'Onda, rivolte a me furono: "E meno male che li amavi, temevo non saresti riuscita a essere severa come meritavano, invece...". Per me le due cose sono separate, ed è quello che tento di far passare a loro. Comportamento e profitto devono andare bene, ma non sono legati. E, soprattutto, mentre il comportamento è la persona as a round character, il voto esprime quella prova, in quel momento, quel giorno. Difficilmente potrò amare una classe che non dimostra consapevolezza di cittadinanza (o voglia di acquisirla). Viceversa, non ho nessun problema a amare qualcuno e a bocciarlo, se lo merita, con serenità. E' un episodio, non la vita, non so se mi spiego.

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  13. È molto bello, sembra il consiglio che Andy Van Dam dà a Randy Pausch che Pausch racconta nella last lecture: «you go back into class tomorrow and you look them in the eye and you say, “Guys, that was pretty good, but I know you can do better"».

    Minuto 34:00
    http://www.youtube.com/watch?v=ji5_MqicxSo

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  14. Voglio solo saperne di più. a proposito, ciò che un bel lavoro che hai fatto.

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  15. Le attenzioni alla loro persona cerco di farle passare innanzitutto quando cerco di ascoltarli il più attentamente possibile durante le interrogazioni.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)