Vi faccio un po' di confidenze. Confidenze che nascono dalla lettura del post di DIS.AMB.IGUANDO (e della lettera aperta a Riccardo Iacona), in cui si discute di Barcellona e della visione idilliaca che la televisione dà di questa città. Perché non è proprio così, ci si dice in questo post, perché anche a Barcellona si sente la crisi e anche a Barcellona, come in tutta la Spagna, il lavoro è cosa fragile, labile. Gli italiani che se ne vanno a Barcellona trovano quasi gli stessi problemi: poco lavoro, pochi soldi e cattivi contratti.
Volevo dirvi che io ho avuto culo. Molto culo. Cinque anni fa la responsabile della libreria per la quale lavoro ha letto il mio curriculum, mi ha chiamato, ci siamo parlati e, dopo un lunghissimo periodo di prova, il titolare mi ha fatto un ottimo contratto. Ottimo se paragonato a quello che capita in giro: contratto indeterminato. Una collega, poco dopo, se ne è andata e così per una serie di coincidenze il mio apprendistato, che doveva durare tre anni, è finito quasi subito. Sono passato subito di grado con quello che ne consegue. Molti miei amici appena laureati nel frattempo mi guardavano e dicevano con un disprezzo più che comprensibile: “Non lavorerei in un centro commerciale neanche se mi pagassero”. Me lo dicevano per mancanza di tatto, sorridendo, ma più che altro perché attendevano di meglio, perché sapevano che sarebbe arrivato il loro momento. Essendo degli amici io non mi offendevo e così assieme continuavamo a bere le nostre birre guardando la nostra fronte allo specchio appeso al muro.
Prima di fare il libraio ho fatto il lavapiatti e il cameriere. Ho portato gligliate e formaggio fuso ai ricchi borghesi di Brescia, d’estate, annusando la puzza di bruciato che arrivava dai miei fallimenti universitari. Però mi piaceva farlo per comprarmi le sigarette, per pagarmi la benzina del motorino o della macchina, per andare in vacanza, per acquistare libri e per offrire misere cene a una ragazza. Per essere indipendente, insomma. Alcuni amici mi dicevano: “È uno spreco che tu faccia il cameriere”. Me lo dicevano per gentilezza. Ma la verità è che mi stavano dicendo, non a torto, che loro non avrebbero mai fatto i camerieri. Cosa umiliante, molto probabilmente.
Ecco, io ho avuto culo (poi non ve lo dico più). Magari la libreria presto chiuderà e io andrò in disgrazia. Magari sarò costretto a chiedervi dei soldi, un giorno. Magari mi capiterà tutto questo, però, diciamo, le cose mi si sono allineate bene su più fronti: ora mi pago la benzina, l’affitto e qualche cena. Faccio fatica a vivere al di sopra delle mie possibilità, ecco la verità. Intanto quelli ai quali faceva schifo lavorare in un centro commerciale, quelli che non hanno mai voluto fare i camerieri, adesso, in questo momento, meditano vie di fuga. Chi a Barcellona e chi (un amico me l’ha confessato con faccia indignata la scorsa settimana) in Austrialia. Scappano dall’Italia perché, mi dicono digrignando i denti, “in Italia è impossibile vivere”, "L'Italia è un paese di merda". Vivono con i genitori perché “qui non si arriva alla fine del mese”. Vero, mi dico. Non lo nego e sto dalla loro parte. Però è anche vero che non hanno mai avuto culo.
o non hanno mai avuto fiuto
RispondiEliminao forse avevano altri obiettivi dico "altri", cioè diversi, non migliori né peggiori)e li cercano ancora, altrove.
RispondiEliminaohana
A me pare che sia uno spreco rimandare e rimandare l'indipendenza, per quanto possa essere piccola. Ma sono una ex barista, cameriera, lavapiatti, baby-sitter, senza fiuto, magari, ma. Umiliante secondo me è altro, tipo chiedere a mamma e papà i soldi per per comprarsi le sigarette, per pagarsi la benzina, per andare in vacanza, per acquistare libri e per non farsi offrire cene ma fare a metà. Non lo so mica cosa voglio dire, se non che la mia ammirazione sarà anche di parte, ma è. Anche se le vie di fuga le medito anch'io.
RispondiEliminaLe vie di fuga le medito pure io, tutti i giorni. Però ho fatto dei tentativi umilianti prima di dire che l'"Italia è un brutto paese". E sono anche consapevole che non è facile, oggi, uscire di casa. Anche questo l'ho fatto per una serie di coincidenze e, ancora, grazie alla fortuna.
RispondiEliminaIo ho avuto culo. Per davvero. Sono stata mantenuta agli studi dallo stato da quando ho 15 anni. Prima solo agli studi, poi, da quando ne avevo 19, il mantenimento è stato sufficiente a rendermi indipendente: andarmene - grazie ai miei studi pagati dallo stato, grazie al fatto che in cambio di quello che mi chiedeva (in termini di studio) lo stato mi dava tutto - a vivere dove avevo sognato, sempre. 300 km da casa. Libera, sola, indipendente. Sono passati 20 anni, e ovviamente, pur avendo ottimi rapporti con la mia famiglia, non sono mai tornata indietro. E, altrettanto ovviamente, quando lo stato ti paga per studiare, per formarti, ma pretende (tempo, media, livelli, cose), sei formattato per fare i concorsi, e magari anche vincerli. Perché hai imparato che la libertà e l'indipendenza sono bellissime, ma anche che devi arrivare presto a pagare le tasse, per fare un modo che qualcun altro, al quale, come a te, lo stato in cambio della formazione darà tutto, possa arrivare presto all'indipendenza, e al ciclo produttivo. E quindi possa imparare al meglio a formarsi e a studiare. Anche io ho visto Iacona, l'altra sera. E ho pensato che tante cose sono vere, ma, nello stesso tempo, ho pensato che finché in Italia resterà la famiglia a fare da finto ammortizzare sociale, è un circolo vizioso da cui non è facile uscire. Perché la libertà e l'indipendenza a 19 anni sono bellissime. Ma conquistarsele, da soli e per sempre, vuol dire anche imparare presto che, se caschi, non c'è a casa mammà a riprenderti. Caschi solo.
RispondiEliminaParafrasando quello che hai detto in base alla mia esperienza personale direi che per vivere e lavorare in Italia non basta 'avere' culo, ma bisogna 'farsi' il culo.
RispondiEliminaTutti quelli che conosco che ora vivono all'estero, Berlino, Cambridge, Miami aspettavano la 'botta di culo' per fare i soldi facili ma non l'hanno mai avuta nemmeno all'estero. Poi una volta all'estero li ho visti pian piano abbassare la cresta ed iniziare a lavorare seriamente. Ora si stanno 'facendo' il culo anche loro e hanno casa e famiglia. hanno guadagnato la soddisfazione di poter dire che l'Italia è un Paese di merda per nascondere la loro nostalgia (che mi confidano ogni volta che tornano in vacanza).
Tutti i miei amici/conoscenti andati all'estero per lavoro sono tornati. Non ce la fanno. Da una parte gli manca il calore della gente italiana ecc. dall'altra non hanno trovato l'Eldorado che speravano (o forse quel mito che noi italiani abbiamo creato, dovuto al nostro sputare nel piatto dove mangiamo + esterofilia).
RispondiEliminaDisagiato, tu non hai avuto culo, hai avuto un curriculum.
RispondiEliminaT'hanno guardato in faccia, messo alla prova e poi hanno fatto il contratto. Vuol dire che eri pronto, e che gli sei piaciuto abbastanza da farti lavorare.
Se lo chiami culo, lo svilisci, e non ti fai un complimento. Ed è sbagliato.
La differenza con una lotteria si nota, no?
Se poi la pensiamo tutti così, che presentare un curriculum ed essere chiamati sia culo, allora vuol dire che pensiamo che il mondo si regga sul culo, e che non vale la pena combattere per lui.
Lascia perdere questa storia del culo e goditi pure la rivalsa sui tuoi amici. E' legittimo.
Uqbal
Nessuna rivalsa, ma stiamo scherzando. Volevo solo dire dire che la fortuna, forse (dico forse) ha pure bisono di un aiutino. In questi anni, quando con gli amici parlavo di "indipendenza", ho notato che al termine davamo significati assai diversi. Non pensavo fosse un termine così elastico. Loro, i miei amici, non sanno che farsene della mia indipendenza, del mio stile di vita, del mio modo di stare al mondo. Piuttosto fanno i precari che fare la mia vita. Non dico che mi vedono come un fallito però quasi ci manca. Ecco, invece qualcuno, ora, comincia però a ricredersi, a pensare che lavorare in un centro commerciale, al chiuso, in mezzo al popolo, forse non è così brutto. E guarda che non lo dico con sentimento di rivalsa. Neanche so cosa sia la rivalsa.
RispondiEliminaNon ti fissare sulla rivalsa allora (epperò quanto insisti...sai che ho pensato "Gobba, quale gobba?"?).
RispondiEliminaNon chiamarla rivalsa, chiamala orgoglio, come ti pare.
La roba importante è l'altra.
Uqbal
Non ti fissare sulla rivalsa allora (epperò quanto insisti...sai che ho pensato "Gobba, quale gobba?"?).
RispondiEliminaNon chiamarla rivalsa, chiamala orgoglio, come ti pare.
La roba importante è l'altra.
Uqbal
Sei un po'a maleducato a ripetermi tutto ciò due volte. Ma come ti permetti? ;)
RispondiEliminaDopo aver lavorato sodo "nel mio campo" per tre anni, il curriculum a me non è bastato più per trovare un impiego nello stesso settore dopo la fine dell'ultimo accordo a partita iva (chiamiamolo così, va'), e ho passto mesi a contattare studi e ditte e sentirmi dire "no, cerchiamo un neolaureato, non una persona che ha già esperienza" oppure "sì, potremmo prenderti a lavorare a tempo pieno, ma più di 300 euro al mese lordi non possiamo darti". Per quanto riguarda l'"opzione estero", non so se da qualche altra parte le cose vadano meglio che qui da questo punto di vista, e non so più se il problema sia il mercato del lavoro qui in Italia oppure che le mie competenze non servono a un cazzo (o comunque non valgono più di 300 euro al mese) né qui né altrove. Quindi passerò a fare altro (altro da quello che ho studiato e fatto finora). Spero di ritrovare la mia indipendenza economica, però non riesco a evitare di viverla come una sconfitta. E probabilmente è in questo che sbaglio.
RispondiEliminaMagari è una sconfitta ed è giusto, secondo me, che tu la viva con questo sentimento. E ho pure l'impressione che nel nostro paese sia difficile mettere in pratica le proprie doti intellettuali e interiori. Non lo nego. Però, in questo caso, è giusto dire che l'Italia non è sufficientemente all'altezza delle nostre aspirazioni.
RispondiEliminaL'Italia ha un mercato del lavoro che fa schifo. Uno che offre 300 euro lordi per lavorare è uno che dovrebbe essre mandato affanculo. Ma evitiamo di esprimerci come i politici.
RispondiEliminaMaria, una sconfitta non è una sentenza. Anche io vivo con molta angoscia le mie possibilità lavorative, e penso, se dovessero andar male i progettini cui ora mi affido, che dovrei (ri-)provare ad andare all'estero.
Il punto se farlo oppure no: se è necessario si fa. Il punto è attrezzarsi per farlo (e non è banale, ed è crudele che l'Italia spezzi le gambe a chi ci prova senza esser ricco di famiglia).
Maria, una carezza.
Uqbal