domenica 30 ottobre 2011

la meritocrazia guardata da dietro

di lo Scorfano


Quando una parola diventa un feticcio, buono soltanto per farne un po' di retorica acchiappa-applausi, è giunto il momento di cominciare a diffidare di quella parola, chiunque sia colui che la pronuncia e di qualunque bellezza sia quella determinata parola. Non perché la parola sia in sé malvagia (tutte le parole, in sé, sono malvagie); ma perché la parola che si fa totem nasconde sempre più di quello che rivela; e quando una parola viene usata per nascondere ci si deve chiedere, inevitabilmente, che cosa nasconda dietro di sé.

La parola «meritocrazia», per esempio, è divenuta un tale feticcio, buono per ogni uso, che è ormai necessario non credere più a nessuno di quelli che la pronunciano, per definizione pregiudiziale. Anche perché, parliamoci chiaro, chi pronuncia e chi ascolta la parola «meritocrazia» lo fa perché, sotto sotto (ma forse nemmeno così sotto), pensa di avere straordinari meriti che non gli vengono riconosciuti; mentre i tali meriti vengono, secondo lui ingiustamente, riconosciuti ad altri. E pensa che non gli vengano riconosciuti perché appunto manca la meritocrazia, il potere dei meriti. Con la quale, invece (se ci fosse), lui comanderebbe e sarebbe ricco e famoso e forse dei meriti altrui tenderebbe a serenamente fregarsene.

Ma non è vero. Non è vero che tutti abbiamo meriti che non ci sono stati riconosciuti. Anzi, è molto probabile che più o meno tutti abbiamo ottenuto quello che ci meritavamo, con buona approssimazione.
   E non è vero che tutti abbiamo dei meriti, in generale: succede, per come è fatto il mondo, che ci sia una persona con molti meriti e che ce ne siano altre mille, invece, senza meriti particolari; oppure, diciamo così, con meriti del tutto irrilevanti. E dunque succede che l'uno prevalga sui mille, che, più deboli, hanno pochi e irrilevanti meriti.

Ma anche questo, vi dico la verità, non è vero. Perché il concetto stesso di merito, obiettivamente, è un concetto che va pesato e meditato (guardato da dietro, anche lui). Il merito non è un valore in sé: dipende totalmente dal contesto. Dipende cioè da quello che il contesto, in cui tu e l'uno e i mille operate, è disposto a riconoscervi come merito. Non basta che lo fai tu da solo; che ti dici da solo: «Io ho grandi meriti». Devono (mi dispiace: è una regola) dirtelo gli altri: è questa che si chiama meritocrazia; se te lo dici da solo è una cosa magari simpatica, ma non si chiama meritocrazia.

E gli altri chi sono? Sono, per esempio, quelli che comprano i libri di Fabio Volo o sono quelli che comprano i saggi letterari (bellissimi, ve li consiglio caldamente) di Claudio Giunta? Sono i primi, ovviamente; quelli che fanno la coda per comprare il nuovo libro di Fabio Volo. Sono i «tanti»: sono loro che devono riconoscere i meriti di chi scrive un libro, perché sono loro che leggono e che comprano i libri e con i loro soldi mantengono in vita le case editrici che pubblicano quei libri (anche quelli di Claudio Giunta, tra l'altro). E quindi Fabio Volo è più bravo di Claudio Giunta.

Ma non è vero nemmeno questo, in realtà. Perché Fabio Volo è infinitamente meno bravo a scrivere di Claudio Giunta. Non è quindi più bravo: è solo che ha meriti molto più riconosciuti, tutto qui. E quindi, essendo la meritocrazia un sistema che si fonda sul riconoscimento dei meriti e non sui meriti, lui si merita più soldi e più successo, semplicemente.

Accade infatti che quelli che leggono e comprano i libri e danno i soldi alle case editrici non abbiano una grande esperienza di libri (è normale: ci sono un sacco di altre cose da fare, nella vita) e quindi comprano Fabio Volo e non Claudio Giunta. E più o meno, mi pare di poter dire, questo sistema vale per tutto. E soprattutto vale per la politica, dove gli strumenti della più banale retorica sono decisivi per avere successo. I politici più bravi sono quelli che usano meglio i luoghi comuni, il populismo, le frasi fatte, le parole totem, la retorica. Come, appunto, la parola «meritocrazia» (usata in modo ossessivo dalla Gelmini, infatti). Ecco che, tra i suoi tanti altri limiti, la meritocrazia finsice anche per essere molto conformista: perché apprezzare quello che già si sa è molto più facile che il contrario. E i luoghi comuni, non a casa, li conoscono tutti. E apprezzano. E assegnano i meriti e quindi la «crazia».

Ma il merito non può affatto essere un totem, in nessun caso. Proprio perché il riconoscimento del merito non dice chi è più bravo tra Claudio Giunta e Fabio Volo: anzi, arriva a dire il contrario. E io lo so che è un peccato: e che la meritocrazia sembrava essere davvero il jolly con cui avremmo risolto tutti i nostri problemi, che derivano tutti dalla mancanza di meritocrazia, e che culo che l'abbiamo trovata, e che ora basta solo trovare uno abbastanza meritevole da metterla in pratica, questa meritocrazia. E che finalmente abbiamo una bella parola nuova che ci risolverà tutti i problemi e dopo vivremo tutti felici e meritevoli...

Non andrà così, temo. La meritocrazia non risolverà niente, perché è soltanto una parola. E perché, vista da dietro, se le guardiamo un attimo il culo (come si suol dire e fare), la meritocrazia è pure una parola brutta e pericolosa, e premia i più forti, quelli a cui si riconoscono meriti, e punisce i più deboli, quelli a cui non li riconosce nessuno. E cioè punisce proprio coloro che la politica (essendo - forse - un passo avanti rispetto alla legge del più forte) dovrebbe tutelare: i deboli, gli indifesi, quelli senza apparenti meriti.

E anche perché il merito (chiedete pure all'editore di Claudio Giunta) in sostanza non esiste: esiste il riconoscimento del merito, che è tutt'altra cosa, e che ne premia uno e non gli altri mille (e nessuno di noi è quell'uno, statene certi), e che dipende quasi soltanto da chi lo riconosce, non da chi se lo merita. Benché, visto che il merito non esiste, sia ovvio che nessuno si merita niente. Che è, in sostanza, l'unica possibile posizione che si possa prendere sulla meritocrazia guardata da dietro.

(Il post nasce dall'ascolto di questo discorso [la parola «meritocrazia», con le chiappe per aria, è al minuto 3.04''; poco prima si parla di «tutela dei deboli»] fatto l'altra sera alla Leopolda da Alessandro Baricco; uno che non vuole «fare il presidente del Consiglio» [parole sue] e che, nella mia miserrima opinione di lettore accanito, è anche parecchio meno bravo di Fabio Volo a scrivere libri. Va da sé, è ovvio, che chi lo ascolta e applaude pensa di avere parecchi meriti: gli altri, quelli immeritevoli, sono rimasti tutti fuori.)

(Fabio Volo è usato, in questo contesto, soltanto come personaggio paradigmatico: ho scelto lui, e non altri come lui, solo perché sta molto antipatico al mio amico Disagiato: a cui mi diverto, normalmente, a rovinare le domeniche.)

40 commenti:

  1. Mentre leggevo il tuo bel post pensavo a un'altra parola totem, feticcio, malvagia, usata più per nascondere che per dire, e cioè la parola "mercato". E anche lei ci stava proprio bene nel discorso (scusa però per la divagazione).

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  2. Tengo a puntualizzare, dopo aver letto un post davvero bello, che a me stanno antipatici i lettori di Fabio Volo e non Fabio Volo.

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  3. Mi sembra di poter essere d'accordo su tutto con te. Ma allora, come giustificare per esempio il nostro mestiere davanti ai nostri studenti? (noi prof cerchiamo di fatto di premiare il merito...).
    E qual modello alternativo (se ce ne sono) proporre? (a parte il fatto che mi sembra già un bene che qualcuno aiuti ad essere riflessivo sulla ipertrofia dei termini, e suggerisca concreti riferimenti ala realtà dei fatti...)

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  4. @Monica
    Noi premiamo alcuni meriti, per esempio. Spesso anche discutibili. Per esempio premiamo molto l'obbedienza, l'esecuzione di ordini, la compostezza. Tutte cose che hanno un valore, ma anche no.

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  5. Ogni sistema ha sempre delle insite storture. La scelta dovrebbe portare a scegliere l'ottimale dato che l'ottimo non è di questa terra

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  6. Che bello sentirsi sgravati, con un pensiero cosi pulito e semplice, dalla prigionia delle parole-potere

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  7. Minchia, disagia', i lettori di Fabio Volo sono il popolo italiano... ;)

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  8. Non esagerare, ci sono anche quelli che leggono Cassola (che sono i peggiori) ;)

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  9. L'unica cosa su cui discrepo è "tutte le parole, in sé, sono malvagie". Al contrario, nessuna parola è malvagia in sé. Così come nessun oggetto: neppure una bomba è malvagia in sé e per sé, potrebbe, al limite, essere usata per fare del bene (che so io, liberare da una frana l'imbocco di una miniera dove son intrappolati minatori...). Siamo sempre noi che diamo connotazioni buone o malvagie a cose o atti.

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  10. Applausi. E non tanto per il confronto tra Fabio Volo e Claudio Giunta (che condivido, sia chiaro, ma non c'è partita, e poi sul resto taccio che come già ti dissi la questione per me è complicata). Ma per le due frasi su Baricco, che valgono il post.
    A margine, da figlia della meritocrazia italiana alla francese (lo so, è oscuro), aggiungo che non è un caso se Claudio Giunta, che merita, ha studiato pagato dalle tasse di tutti, con i risultati che ci piacciono, mentre Fabio Volo no. Ed è quello un tipo di meritocrazia che, credo, ci piace anche, e si chiama diritto allo studio.

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  11. Grazie, 'povna. E giuro che, con il ricorso continuo a Claudio Giunta, non volevo affatto provocarti...

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  12. ho sempre trovato Baricco molto bravo a parlare. quando lui parla (di musica, di poesia), me talvolta mi incarta. non quando scrive però.
    il suo intervento all'inizio mi pareva promettente. man mano che andava avanti mi ha agghiacciato. chi siamo noi (o loro, o chiunque) per fare una classifica dei più meritevoli? ma soprattutto, come scrivi tu, quali sono i criteri stabiliti per incoronare i migliori? esisterà sicuramente il migliore nel rutto più lungo o nello studio degli artropodi e per carità, rispetto (magari quello del rutto un po' meno...) però costoro non contribuiscono ad aiutare i deboli, che mi pare l'assioma del discorso di Baricco. io personalmente vorrei che i migliori fossero coloro che mettono in pratica comportamenti virtuosi, piccoli e grandi, e che guardandoli agire noi tutti fossimo spinti ad imitarli. questo vorrei.

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  13. @Stefania
    E' un discorso molto complesso, tutto. Molto più complesso di quello che fa Baricco e di come lo fa Baricco. Il quale, tra le altre cose, aveva anche bisogno di promuovere un po' il suo nuovo libro in uscita. So che è abbastanza sgradevole farlo notare, ma mi sembra inevitabile.

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  14. Caro Disagiato,
    dichiaro di possedere i primi quattro libri di Fabio Volo e presto mi procurerò il quinto.
    Ti sono antipatico?

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  15. Invece io questo post l'ho trovato deludente al massimo. Lo dico senza mezzi termini.

    Scorfano, qua dobbiamo capirci. Posso capire che gli sproloqui della Gelmini possano aver ingenerato rifiuto e paranoia, ma il discorso sul merito non lo possiamo mica cassare così.

    Tu leggi "merito" ma intendi "abuso". Per te "meritevole" vuol dire "prepotente".

    Ma quando mai?

    Ritorniamo ai fondamentali: tu metteresti un bisturi in mano ad uno cui trema la mano? No, spero. Lo dai piuttosto a quello che per vista e fermezza potrebbe anche fare l'orologiaio. Ecco questa è meritocrazia.

    Infine, se mi permetti:

    "Anzi, è molto probabile che più o meno tutti abbiamo ottenuto quello che ci meritavamo, con buona approssimazione."

    Non sapevo che fossi così di destra.

    Scusa la franchezza.

    Uqbal

    Tra due conducenti di bus, quale promuovi? Quello sempre puntuale o quello che di tanto in tanto si fa beccare con due telefonini in mano? Se segli il primo hai fatto una scelta meritocratica.

    In un paese un po' più meritocratico, la Gelmini non sarebbe mai diventata ministro, tanto per continuare.

    Ci siamo scordati dell'art. 34 della Costituzione Italiana?

    "I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi."

    Questa è meritocrazia.

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  16. Non so cosa è successo col commento...è venuto tutto mescolato...


    Invece io questo post l'ho trovato deludente al massimo. Lo dico senza mezzi termini.
    Scorfano, qua dobbiamo capirci. Posso capire che gli sproloqui della Gelmini possano aver ingenerato rifiuto e paranoia, ma il discorso sul merito non lo possiamo mica cassare così. Tu leggi "merito" ma intendi "abuso". Per te "meritevole" vuol dire "prepotente". Ma quando mai?
    Ritorniamo ai fondamentali: tu metteresti un bisturi in mano ad uno cui trema la mano? No, spero. Lo dai piuttosto a quello che per vista e fermezza potrebbe anche fare l'orologiaio. Ecco questa è meritocrazia.
    Tra due conducenti di bus, quale promuovi? Quello sempre puntuale o quello che di tanto in tanto si fa beccare con due telefonini in mano? Se segli il primo hai fatto una scelta meritocratica.
    In un paese un po' più meritocratico, la Gelmini non sarebbe mai diventata ministro, tanto per continuare.
    Ci siamo scordati dell'art. 34 della Costituzione Italiana?
    "I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi."
    Questa è meritocrazia. Perché ne hai paura?

    Infine, se mi permetti:
    "Anzi, è molto probabile che più o meno tutti abbiamo ottenuto quello che ci meritavamo, con buona approssimazione."
    Non sapevo che fossi così di destra.

    U.

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  17. Lorenzo, dai, si scherza. Però se tu lavorassi in una libreria e ti chiedessero duecento volte al giorno "scusi avete l'ultimo libro di Fabio Volo", ti assicuro che verrebbe un pochino di prurito anche a te. "Vero che mi pagano per venderlo, però perché tutti leggono il libro di Fabio Volo?", ti chiederesti. "Perché questa massificazione? Perché quelli davvero bravi, quelli hanno scritto e letto tanto e che dicono cose sensate e importanti non se li fila nessuno (o in pochi, pochissimi)?". Nessuna ti dà la risposta e finisce che te la prendi con i primi della filiera e cioè i lettori.

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  18. I problemi della meritocrazia sono sempre i soliti:

    . quali sono i parametri per decidere il valore dell'operato di una persona?
    . di chi è il giudizio finale?

    La prima domanda porta a chiedersi, tra l'altro: si tratta di parametri quantificabili (tipo: quanti bulloni riesci ad avvitare in un'ora, a parità di condizioni tra tutti gli operai)? o si tratta di una valutazione di tipo qualitativa/soggettiva?

    La seconda domanda è complessa perché tra il valutato, il valutante e l'ambito di valutazione dovrebbe esserci indipendenza. Se un dirigente si trova a valutare l'operato di un sottoposto, ne considera la qualità del lavoro o l'obbedienza ai suoi ordini, anche se basati su considerazioni errate?

    Meritocrazia = utopia?

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  19. Disagiato non sono arrabbiato con te ma, permettimelo, secondo me in un contesto di scarso interesse da parte di noi ragazzi nei confronti della lettura un autore come Volo ha la sua importanza.
    Personalmente ho letto di tutto nella mia breve esperienza di lettore (tra cui, appunto, i libri di Volo) ma tanti ragazzi non hanno la fortuna di avere questa passione. Per cui se esiste un autore in grado di parlare con un linguaggio che ci è familiare ben venga (per me Volo è un po' il Ligabue della scrittura), magari i suoi libri possono servire come trampolino per lanciarsi nel mondo della letteratura.
    Fine della polemica.

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  20. Speakermuto

    Quindi le decisioni non le prende nessuno. Se qualcuno le prende, deve prenderle senza parametri, ovvero a caso.

    E ovviamente nessuno sa mai accorgersi se un operaio/medico/insegnante/autista è bravo oppure no.

    E altrettanto ovviamente non c'è mai riflessione critica su quel che si fa e si è fatto, al fine di migliorare.

    Se tutto va bene, esiste solo l'Assoluto.

    Uqbal

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  21. Uqbal, ti faccio un esempio:

    Ci sono ospedali che hanno in cura malati oncologici. Quando capiscono che non c'è più niente da fare, consigliano loro una struttura più vicino a casa loro per l'assistenza palliativa. Così le statistiche sui decessi non vengono influenzate per il primo ospedale. E comunque non farà numero nei loro studi clinici.

    Ti faccio un altro esempio. Nel mio ente ho realizzato un'applicazione informatica che ha permesso di realizzare la certificazione per una struttura per ben quattro anni, altrimenti non ottenibile, visto che il nostro fornitore non era (e non è) pronto.

    Sono stato premiato? No. L'applicazione è stata estesa, il mio progetto è andato avanti? No, perché il mio dirigente non è in buoni rapporti con il direttore, tutto qui. Sembrano aneddoti da bambini dell'asilo, ma è quello che succede nella vita di tutti i giorni, che non è fatta solo di lettori/scrittori di blog, ma di persone che usano il potere come preferiscono.

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  22. @Speaker
    A me sembra quasi ovvio che un qualsiasi dirigente sceglierà l'obbedienza ai suoi ordini. E non che io sia d'accordo, intendiamoci.

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  23. Speakermuto

    Nel primo caso stanno falsando dei dati: non è questione di meritocrazia (ammettendo, ma non ho titoli per dirlo, che non sia una buona scelta quella di avvicinare i pazienti terminali alle loro case). E' come dire che bisogna tornare al baratto perché ci sono quelli che fanno denaro falso.Nel secondo caso: sei stato premiato? No. Ci fosse stata un po' di meritocrazia, lo saresti stato, e te lo saresti MERITATO.

    Altre due osservazioni:

    1) meritocrazia non vuol dire gerarchia. Meritocrazia invece vuol dire render conto, per cui anche un capo deve rendere conto dei suoi risultati (ad agenzie terze, al governo, al pubblico, fate vobis). Oggi va di moda chiamare questa cosa accountability, ma siamo sempre là.

    2) Siete contrari ad una valutazione costi/benefici? Se un idraulico si fa pagare uno sproposito e il lavandino perde ancora, io ne chiamo un altro. Meritocrazia anche questa. Il principio è estendibile.

    La verità è secondo me che, in maniera del tutto immotivata, avete paura di non essere trovati meritevoli. Nel vostro schema, vi vedete già vittime della meritocrazia, e non ve ne è ragione.

    Uqbal

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  24. scusa Uqbal, vostro di chi? cosa ti fa pensare ci sia uno schema? un idraulico bravo è senz'altro quello che ti ripara il rubinetto, d'accordo. ma quanti altri ce ne saranno in giro, di bravi, che non possono farsi pubblicità o lavorare, addirittura? pensi che se ci fosse uno schema gli idraulici bravi emergerebbero? basta una chiave inglese e una brugola (oddio sapere come è fatta, una brugola...) e oplà, il gioco è fatto? semplicistico. non siamo mica l'america. che poi, siate folli ammè convince poco. siate seri mi piace di più. la parola meritocrazia nella mia mente va a braccetto con la parola competitività. ambedue sostantivi che mi fanno discretamente rabbrividire. e anche chi se ne importa di essere ritenuta meritevole (madechè, poi?) da chicchessia, come giudice mi basto io, e mi avanzo pure.

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  25. La meritocrazia è quella cosa che succede tra i cervi, quando il cervo maschio è grande e forte e viene sfidato e vince sempre, e poi trova quello più giovane, che per una volta è più forte, e vince lui e si prende il territorio e le femmine e il cervo vecchio rimane esule e solo.

    La meritocrazia è quel sistema secondo il quale non esiste una posizione conquistata, ma in cui il tuo status può essere continuamente messo in discussione da qualcuno che è più bravo di te. E' un mondo dove non basta essere bravi ma occorre essere i migliori.

    Ma dico, siamo sicuri di voler vivere con tutto questo stress?

    La meritocrazia guarda a quello che fai, non a quello che sei. E quando va bene è un'idea riconducibile a una certa destra liberale, quando va male invece è una maniera per prenderti per i fondelli, spiegandoti che chi ce la fa è bravo, e se tu non ce la fai è perché non vali abbastanza, mentre la verità è che tutti stanno giocando con carte truccate.

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  26. Stefania

    Ma per cortesia, un po' di logica, o di non-contraddizione:

    "ma quanti altri ce ne saranno in giro, di bravi, che non possono farsi pubblicità o lavorare, addirittura?"

    E ti sta bene così? Non vorresti che invece, bravi come sono, avessero successo? Ma ci rendiamo conto di quello che diciamo? Qua siamo alle parole in libertà.

    Rileggi le tue parole: ""chi se ne importa di essere ritenuta meritevole (madechè, poi?) da chicchessia, come giudice mi basto io, e mi avanzo pure". A me fanno paura QUESTE parole. Tu stai dicendo che non accetti critiche.

    Uqbal

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  27. no no sbagli, io critiche ne accetto (pure assai, oserei dire), anzi ribalto tutto l'ambaradam dicendo che a me non importa essere ritenuta meritevole perchè non mi ritengo tale, in nessun campo in particolare. mi confronto però, ogni giorno, ogni minuto, con la mia coscienza che talvolta è peggio del Grande Inquisitore, ti assicuro.
    p.s. "non vorresti che avessero successo?" successo...ci piazzo un bah. vorrei che fossero messe in grado di svolgere bene il proprio lavoro. lo direi in questo modo.

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  28. @Uqbal:

    "Nel primo caso stanno falsando dei dati: non è questione di meritocrazia"

    Il problema è a monte e non a valle, ma la meritocrazia si basa sui dati che riceve.

    "Nel secondo caso: sei stato premiato? No. Ci fosse stata un po' di meritocrazia, lo saresti stato, e te lo saresti MERITATO."

    Ma la meritocrazia su cosa si reggerebbe? Su valutazioni da parte dei miei superiori, visto che non produco tot forme di pane all'ora (per dire). Quindi siamo al cane che si morde la coda. Un lavoro eseguito da un gruppo di un altro ufficio è stato premiato. Ma a me non interessava il premio, piuttosto la prosecuzione dell'attività, che invece è rimasta bloccata da un anno.

    Non sono contro la meritocrazia in assoluto. Ma neanche pro in assoluto.

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  29. SpeakerMuto

    I superiori esistono, meritocrazia o no. Meglio un superiore che dica: "ecco i miei parametri, chi ottiene risultati migliori viene premiato" che uno che dica "decido io senza motivare nulla". Anche e soprattutto perche' i parametri, se non funzionano, si possono anche cambiare. Come avviene in tutte le strutture funzionanti.
    Peraltro, non ho ancora capito qual e' l'alternativa. Il sorteggio?

    Stefania

    L'intimo dibattito che ognuno intrattiene con la propria coscienza c'entra fino ad un certo punto. Stiamo facendo un discorso sociale.
    Se ritieni che "avere successo" (essere apprezzati per le buone cose che si fanno, e su queste guadagnarsi da vivere) sia poco allettante, prego, costruisciti pure un epica del fallimento.
    Se non ti ritieni meritevole di nulla, forse ti sottovaluti, o cmq dovresti avere piu' autostima.

    Cmq, un ulteriore osservazione generale allo Scorfano. Non e' strano che te la prendi con la meritocrazia proprio tu che sei cosi' attento (come tutti noi) a premiare con buoni voti chi studia e a sanzionare con quelli brutti chi non si da' da fare?

    Uqbal

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  30. @uqbal:

    Strano come tu ti accanisca su quest'argomento, partendo, mi sembra, da posizioni "ideali".

    "I superiori esistono, meritocrazia o no."

    E chi controlla i controllori? In questo senso menzionavo il detto del cane che si morde la coda.

    "Meglio un superiore che dica: "ecco i miei parametri, chi ottiene risultati migliori viene premiato" che uno che dica "decido io senza motivare nulla"."

    Però i "risultati migliori" vengono decretati dal superiore con una *sua* logica, come ho detto io sopra. Questi "parametri" spesso non vengono definiti prima; o se lo sono, non sono applicabili a tutti. Una cosa è sbrigare tot pratiche di routine al giorno, un'altra realizzare un'infrastruttura ex novo: è ovvio che i criteri non possono essere gli stessi.

    "Anche e soprattutto perche' i parametri, se non funzionano, si possono anche cambiare. Come avviene in tutte le strutture funzionanti."

    Ah sì? E chi decide di cambiarli? I superiori dei superiori? In ragione di cosa? Del feedback inoltrato da?

    Strutture funzionanti, come la nostra pubblica amministrazione?

    Scusa ma io posso portare solo la mia esperienza in tal senso - negativa. Forse ci sono ambiti in cui la meritocrazia funziona e altri no. Nella pubblica amministrazione non si cerca il profitto (che è un dato relativamente oggettivo e quantificabile). Molto spesso i superiori non hanno neanche una vaga idea dell'attività che i loro sottoposti stanno conducendo. Cosa che però non ammetteranno mai.

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  31. @Uqbal: non so. io sono figlia della meritocrazia. ho studiato dai 15 anni in poi pagata dalle tasse di tutti voi. e ho potuto rendermi indipendente dalla mia famiglia a 19 anni, senza chiedere un soldo, mantenendomi e senza mai più tornare indietro grazie al fatto che ero brava (per l'appunto: come Claudio Giunta, vois la). quindi non solo alla meritocrazia ci credo (infatti nel mio commento parlavo di diritto allo studio, che è come citare l'articolo 34), ma la venero. proprio per questo, non credo che il discorso di Baricco fosse meritocratico. E in questo senso, non in un senso antimeritocratico, avevo inteso il discorso dello Scorfano. Cioè: proprio perché la meritocrazia è una cosa seria che l'Italia non conosce, non si può lasciare che ne illustri, falsandoli, Baricco i principi.

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  32. Scusami se non aggiungo nulla al dibattito Scorfano, però mi piacerebbe avere una tua risposta al quesito di Uqbal: non e' strano che te la prendi con la meritocrazia proprio tu che sei cosi' attento a premiare con buoni voti chi studia e a sanzionare con quelli brutti chi non si dà da fare?

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  33. SpeakerMuto

    Le tue obiezioni sono tutte fuori bersaglio (e...sì, mi accanisco). Tu non stai contestando la meritocrazia, ma l'idea stessa che esistano dei superiori, e ti lamenti dell'amministrazione pubblica (a ragione, ma di certo non è meritocratica).
    Posso essere d'accordo (e in particolare a scuola, dove la gerarchia è minima), ma rimane il fatto che una persona, o un consiglio, alla fine deve prendere una decisione. Su quale altra base, se la mia non ti piace? L'anzianità, il ceto, il censo, la classe?

    Povna

    A me il discorso dello Scorfano sembra invece antimeritocratico. Se mi sbaglio, felice di ritrattare.

    Vorrei citare infine le parole di un bravissimo collega, che esprimono compiutamente e con forza la necessità di una seria meritocrazia anche ai più alti livelli (ovviamente le sue parole anti-buoniste vanno prese come una provocazione...):

    "Viene quasi la tentazione (a me) di sperare che prima o poi ci tocchi, piuttosto che l'ottimo onorevole Galati, un vero bastardo, uno cattivo e cinico e anche un po' incazzato, un fascista ex picchiatore o un comunista ex mangiatore di teneri infanti innocenti. Ma uno che di scuola ci capisca, almeno, qualcosa."

    Ecco.

    Uqbal

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  34. @Dylan
    Io non me la prendo con la meritocrazia tout court; o almeno non era quello che volevo. Io penso che sia assai meglio, per me, avere un dirigente capace piuttosto che uno incapace, cioè uno che merita di essere dirigente.
    A me non piace al meritocrazia usata come totem, come ricetta che risolve qualunque problema, come parola magica dietro la quale nascondere il nulla condito della propria incapacità. Tutti parlano di meritocrazia pensando di avere grandi meriti non riconosciuti. Ecco, magari bisognerebbe cominciare a pensare anche ai meriti che non si hanno: e trarne alcune conseguenze.
    Poi, per quanto riguarda il mio lavoro a scuola, io so bene che non premio il merito genericamente inteso: io premio il merito nel fare un certo lavoro in un certo momento dell'anno in un certo contesto scolastico. E penso, come ho già scritto nel post, che il merito si esprima soltanto in un conetesto, in cui si è deciso prima se una cosa è meritevole o no. Vale molto di più il contesto, non so se riesco a spiegarmi. Valgono i parametri posti. Vale quello: il merito ne è solo una conseguenza. Pertanto, prima di parlare di meritocrazia come se fosse una verità rivelata, bisognerà chiedersi quali sono i parametri su cui la fondiamo (e io, a scuola me lo chiedo continuamente: e non ho risolto tutti i imiei dubbi, tra l'altro).
    Altrimenti stiamo parlando di qualcosa che c'è già.
    E, a questo proposito, ti faccio un ultimo esempio: io sono stato fatto fuori dall'università, una decina di anni fa. Insegnavo Filologia dantesca. Ero bravo, secondo me: i miei corsi erano affollatissimi, i ragazzi mi si dichiaravano entusiasti. Ma non ero bravo, secondo loro. Perché non facevo altre cose, più importanti, secondo loro, dei corsi. Tipo la vita accademica intesa come relazioni sociali e divisione degli ambiti. Io non partecipavo, non andavo ai pranzi, fingevo di stare male alle riunioni. Però avevo molti più studenti di loro. Quando è stata l'ora di sfoltire le persone hanno pensato di sfoltire me. E' stato giusto?
    All'epoca io pensavo di no. Oggi penso di sì: il sistema è quello, e chiede quello; io facevo tutt'altro. Punto. E' sbagliato che il sistema chieda quello? Sì, secondo me è sbagliato. Ma non è un problema di meritocrazia, è un problema di parametri e di richieste.
    Secondo me dobbiamo prima di tutto concentrarci su questo. Altrimenti la meritocrazia è una parola vana, nient'altro. E, in quanto vana, pure molto pericolosa.

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  35. @uqbal: mi accanisco pure io ;^)

    "Tu non stai contestando la meritocrazia, ma l'idea stessa che esistano dei superiori"

    Contesto la meritocrazia basata su criteri di valutazione arbitrari da parte di superiori, visto che spesso (non sempre, ma spesso) questi ultimi non sono lì per competenze, esperienza o meriti.

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  36. Rileggo al proposito, tra l'altro, questo post di Matteo Bordone e mi pare di potere condividerlo in discreta parte.

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  37. Io mi sento di condividerlo in toto. E continuo a non essere d'accordo con questo post.

    Sono anche d'accordo a sostituire "meritocrazia" con accountability ("rendicontazione"?).

    Ma continuo a non essere d'accordo con questo post, che secondo me esprime cose diverse (la "meritocrazia" come abuso dei forti o come feticcio di chi ci crede)

    Uqbal

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  38. Il punto sul quale concordo in assoluto è proprio questo:

    "E, a questo proposito, ti faccio un ultimo esempio: io sono stato fatto fuori dall'università, una decina di anni fa. Insegnavo Filologia dantesca. Ero bravo, secondo me: i miei corsi erano affollatissimi, i ragazzi mi si dichiaravano entusiasti. Ma non ero bravo, secondo loro. Perché non facevo altre cose, più importanti, secondo loro, dei corsi. Tipo la vita accademica intesa come relazioni sociali e divisione degli ambiti. Io non partecipavo, non andavo ai pranzi, fingevo di stare male alle riunioni. Però avevo molti più studenti di loro. Quando è stata l'ora di sfoltire le persone hanno pensato di sfoltire me. E' stato giusto?
    All'epoca io pensavo di no. Oggi penso di sì: il sistema è quello, e chiede quello; io facevo tutt'altro. Punto. E' sbagliato che il sistema chieda quello? Sì, secondo me è sbagliato. Ma non è un problema di meritocrazia, è un problema di parametri e di richieste".

    Io nel mio lavoro (giornalista e autore tv) vivo e ho vissuto più o meno questo stato di cose ma non potrei mai adguarmi a questi parametri e richieste. MI dicono che son brava, hanno bisogno di me, ma non vado avanti, proprio perché non sto dentro quel sistema di richiesta e paramentri.

    Condivido il tuo post.
    P.s. anche su Barricco e Volo

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  39. Un appunto sul concetto stesso di democrazia, se mi è permesso, leggete qui:

    http://potatopiebadbusiness.com/2011/11/18/contro-la-meritocrazia/

    Ciao a tutti!

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  40. Scusate, volevo dire "sul concetto di MERITOCRAZIA"! rigiro il link:

    http://potatopiebadbusiness.com/2011/11/18/contro-la-meritocrazia/

    Sorry! Ciao ciao

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)