Più o meno un paio di settimane fa, e più precisamente il 20 settembre, Aldo Grasso sul Corriere della Sera ha scritto a proposito del programma di Stefano Bollani: “Bollani ci ha regalato una serata che si potrebbe persino definire didattica, se l’aggettivo non avesse quel sapore impersonale che di solito gli attribuiamo”. Ora, lo so che ci sono personalità più importanti e decisive di un critico televisivo che parla di Bollani, però Aldo Grasso è persona che quotidianamente viene invitata a dire la sua e quando una persona viene invitata quotidianamente a dire la sua significa che c’è molta gente che gli crede. Insomma, nel suo settore è un’autorità. Però c’è una cosa che di Aldo Grasso non mi piace e cioè che appena esce dai bordi di quella scatoletta che lui riesce a decifrare così bene, non appena va fuori dai confini televisivi, ecco che già non mi trovo d’accordo con lui o, più semplicemente, fatico a seguirlo. Ammetto di non aver visto il programma con Bollani, però quel “sapore impersonale che di solito” attribuiamo alla parola “didattico” mi ha fatto sorridere. Davvero alla parola “didattico” tutti quanti noi attribuiamo un sapore impersonale? E l’espressione “sapore impersonale” non è forse priva di senso?
Cosa voleva dirci Aldo Grasso? Provo a interpretare: il programma con Stefano Bollani sarebbe didattico se “didattico” non fosse sinonimo di noioso e serio. Bollani invece è uno “che non si prende troppo sul serio” e che sa scherzare su di sé. Insomma, il suo programma è qualcosa di più di didattico. Allora la cultura (stiamo parlando di cultura, vero?) che forma deve avere? Come deve essere il suo sapore?
La Rai qualche giorno fa ha deciso di sospendere il programma Passepartout condotto da Philippe Daverio. Peccato, perché il programma era davvero bello. Si parlava di arte e Philippe Daverio, critico d’arte (anche se ha studiato economia alla Bocconi senza mai laurearsi), questo lo faceva in modo eccellente. Lo dico da inesperto, naturalmente. Bene. Aldo Grasso l'altro ieri ha speso due parole sulla “cacciata" di Daverio e sulla sospensione dell'unico “programma culturale della Rai”. A questo punto, finalmente, ci dice cos’è secondo lui un programma culturale (e quindi che cos’è la cultura e il “didattico”): “Un programma culturale non è un programma che parla di libri, non è un programma che invita un uomo di cultura per un’intervista. Un programma culturale è qualcosa di più complesso, è mettere assieme delle cose, stabilire dei nessi, fare dei racconti che abbiano uno spessore che vada oltre la quotidianità. Questo faceva Philippe Daverio nel suo programma: parlava di arte ma parlava di tutto, parlava di storia, parlava di cultura in generale”. Poi chiude così: “La trasmissione di Philippe Daverio era una delle poche a cui tranquillamente potevamo mettere una sorta di bollino ideale di servizio pubblico”.
Lo so, ora rischio di essere noioso (dico sempre le stesse cose, lo so) ma la definizione data da Grasso di “programma culturale” a voi non sembra molto vicina a una definizione di “programma di intrattenimento”? “Mettere assieme delle cose, stabilire dei nessi, fare dei racconti che abbiano uno spessore che vada oltre la quotidianità” non è, forse, una ricetta per far sì che chi guarda lo schermo non si addormenti? Un programma culturale non dovrebbe, invece e semplicemente, essere un programma che parla di libri e che invita un uomo di cultura (mi auguro che Grasso intenda dire "competente") per un’intervista? Per me sì. E vi dirò che il programma di Philippe Daverio lo trovavo godibile perché la regia, le parole e le immagini si concentravano su un solo argomento. Certo, non mancavano i tic televisivi, però se l’argomento della puntata era la pittura di Guido Reni, ecco che Daverio si concentrava su Guido Reni. Senza complessità, senza mettere assieme cose e senza nessi troppo elastici.
Insomma, un programma culturale dovrebbe essere didattico. E tutto ciò che è più complesso, che si muove, che si collega, che racconta, che crea nessi è un programma televisivo in difficoltà, ruffiano, che non si fida delle proprie parole e che ha, come unico obiettivo, l’intrattenimento dello spettatore. La cultura, invece, è fatta noiosamente da un uomo di cultura che parla. Lo so, la vita è triste, ma io non ci posso fare niente.
Pero` "didattico" non e` sinonimo di noioso e serio. Questi sono concetti che, in alcune situazioni (di adolescenti annoiati, ad esempio), vengono associati alla parola, ma non e` che queste associazioni sono sufficienti per sfrattare una parola dal suo significato.
RispondiEliminaSono stato troppo didattico..scusa :)
su culturale ci ragiona e aggiorno dopo.
Il programma di Daverio piaceva molto anche a me
variabile
Premetto che non amo Aldo Grasso, con cui sono in disaccordo il 90% delle volte. Ma sulla questione della cultura come intrattenimento, conoscendo lui il mezzo e avendo un po' in mente l'evoluzione del cosiddetto spettatore medio e della televisione generalista, ti devo dire che putroppo ha ragione.
RispondiEliminaMa ha ragione nel contesto in cui si muove: un contesto che pur essendo passato al digitale terrestre e alla possibilità di una diversificazione della fruizione televisiva, di fatto si muove ancora su un duopolio in cui Sky rimane una nicchia.
Quindi Aldo Grasso parla ancora di televisione generalista, che deve valere per gente che va dai 6 ai 90 anni. In questo contesto la cultura non può essere dissociata anche dalla capacità di intrattenimento, per poter arrivare alla massa, ossia al pubblico generalista.
Probabilmente quando avremo dei reali canali tematici e un'autentica scelta da parte dello spettatore si potrà avere qualcosa trasmesso da reti Rai (che non saranno probabilmente più reti Rai come le conosciamo ma qualcosa di differente, non so se meglio o peggio ma differente di sicuro), la cultura potrà fregarsene dell'intrattenimento perché parlerà alle persone che la vanno fisicamente a cercare sul telecomando. Fino ad allora, nell'ambito della televisione generalista, putroppo Aldo Grasso ha ragione.
Sono d'accordo che Sky rimane ancora sede di un gruppetto di persone. Io non avendo Sky apprtengo all'altro gruppo, quello della massa e quindi rifletto su Rai e cultura fatta da giornalisti e altri professionisti di questa azienda pubblica. Grasso ha ragione parlando in termini di ascolti, pure su questo sono d'accordo con te (con voi).
RispondiEliminaIo non so se ho capito bene il tuo discorso, però credo che Grasso stia sparando bordate (a ragione, a mio parere) contro i programmi à la "Parla con me", dove la marchetta di turno pro-Dandini vede l'amico del cugino di terzo grado dello scenografo che presenta il proprio romanzo con tanto di sviolinata mollichesca della nostra. O al presenzialismo autoreferenziale dei Costanzo, se si preferisce. Insomma, posti dove di culturale secondo me non c'è niente, malgrado si parli di libri.
RispondiEliminaIl bello di Daverio (ed è secondo me in questo senso che Grasso vuole suggerire "un didattico meno barboso") è che se ti parlava di Guido Reni magari infilava lì un "Nasso palestrato come un tronista mentre rapisce Deianira", o che, in una puntata monumentale, demoliva il novantacinque per cento della penultima Biennale con umorismo quasi alla Vanzina. Ancora, nelle cene col panettone usava una forma dialogica per rendere digeribili argomenti magari non del tutto immediati come la scrittura di Savinio. Sono trucchetti, è vero, ma confesso che anch'io se guardo un'ora di spiegone Nettuno dopo un po' crollo, e che nelle poche lezioni fatte ho sempre cercato, anche agli allievi della magistrale, di buttar lì un po' di pepe. Malgrado si trattasse di gente in quell'aula apposta per imparare, ecco.
Accidenti alla mania di scrivere commenti lunghi dimenticando di rileggerli. Ho dimenticato un pezzo...
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