venerdì 28 ottobre 2011

quel po' di inutile gloria (Purg. XI)

di lo Scorfano

«Ed ecco qui un'altra forma di superbia punita, che forse ci sorprenderà...»


Sto facendo lezione in quarta, sto leggendo uno dei canti più belli del Purgatorio e cercando di far passare l'idea che quello che qui si scrive e dice vale ancora oggi, forse ancora di più oggi che settecento anni fa. Sto facendo lezione sul canto XI del Purgatorio e sulla questione della fama che viene dall'eccellenza artistica e so che questo è un momento importante, so che devo tirare fuori tutta la forza che ho, anche se è lunedì, e sono le 9 del mattino, e anche se ho dormito male, tutta la notte.

Sto leggendo, in quarta, il canto in cui Dante incontra i superbi, che schiacciati sotto un masso enorme percorrono la loro cornice attorno al monte del purgatorio in mezzo all'oceano, per secoli, con la faccia rivolta costantemente verso terra, a espiare in evidente contrappasso la loro colpa di arroganza e presunzione. E a un certo punto leggo una terzina, quella in cui è il personaggio Dante che parla, quasi d'improvviso:
«Oh!», diss' io lui, «non se' tu Oderisi,
   l'onor d'Agobbio e l'onor di quell' arte
   ch'alluminar chiamata è in Parisi?».
E quindi mi fermo, e chiedo ai ragazzi: «Cos'è successo?»



Come al solito, nessuno dice niente; è un po' troppo difficile indovinare. Poi una voce: «Sembra che Dante abbia incontrato un suo amico e lo abbia riconosciuto... questo tale Oderisi...». Io approfitto subito dell'osservazione, che è giusta: «Forse non è proprio un suo amico, non lo sappiamo. Probabilmente Dante lo conobbe, come possiamo supporre che conobbe Giotto, ma non ne abbiamo notizia certa. Si tratta comunque di un miniatore, un grande artista originario di Gubbio, un uomo molto celebre al suo tempo, molto ammirato e invidiato. L'arte dell'alluminar è proprio la miniatura, che ai tempi di Dante era arte di grandissimo rilievo. Ed era, questo Oderisi da Gubbio, un uomo, lo sappiamo da qui, molto cosciente della sua bravura e anche molto superbo».

Ma andiamo avanti a leggere, perché Oderisi, chiamato, risponde subito:
«Frate», diss' elli, «più ridon le carte
   che pennelleggia Franco Bolognese;
   l'onore è tutto or suo, e mio in parte.
Ben non sare' io stato sì cortese
   mentre ch'io vissi, per lo gran disio
   de l'eccellenza ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga il fio;
   e ancor non sarei qui, se non fosse
  che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
«Bene» insisto «cosa succede adesso?»

«Chi era Franco Bolognese?» mi chiede un'altra voce. «Franco Bolognese è un altro miniatore, di cui adesso Oderisi riconosce la bravura, maggiore della sua. Ma subito aggiunge che se fosse stato vivo non avrebbe mai potuto riconoscere la bravura altrui. E poi aggiunge anche, se leggiamo bene, una precisazione importante...» «Dice che l'onore è tutto dell'altro...» nota una diversa voce. «È vero... E ancora?» «Dice che il suo cuore desiderava l'eccellenza... Ma questa non è una bella cosa, prof? Non è bello desiderare di eccellere in quello che si fa?»

Ed era qui, infatti, che volevo arrivare. Sì, in parte è una bella cosa; sì, lo dice Dante stesso in un canto poco più avanti: è una forma d'amore, anche questa. E però: «No, non è una bella cosa: non lo è se il desiderio della propria eccellenza ci spinge oltre, ci spinge a travalicare il senso del nostro essere qui, ci porta verso un'effimera gloria [no, non la pronuncio ancora, questa parola: gloria, meglio aspettare], ci spinge verso un'effimera fama che potrebbe illuderci e poi farci cadere». E lo dico, ai miei studenti, che può non essere una bella cosa, questo smodato desiderio dell'eccellenza, incapace di riconoscere i meriti altrui, proprio perché è smodato. E poi leggo il verso appena successivo:
Oh vana gloria de l'umane posse!
Ed eccola, la gloria. Che però è vana: «lo vedete?» Qualcuno accenna di sì, che lo vede; altri, la maggior parte, non dicono niente. «Ed è vana – insisto – perché soltanto una è la gloria che non passa, quella non effimera, quella eterna e per sempre, ed è la gloria di colui che tutto move.» E poi taccio. E loro anche stanno tacendo. E forse aspettano che io vada avanti. «La gloria di colui che tutto move, sapete cos'è?» Nessuno risponde, perché nessuno può sapere. «È il primo verso del Paradiso, questo. Ed è infatti la gloria di Dio, l'unica possibile. Questa è l'eccellenza a cui è necessario portare amore e desiderio.» Loro mi guardano; io so che non sono convinti. E tutto sommato io voglio che non siano convinti, perché c'è ancora un tratto di strada da fare, in questo canto, più importante del primo.

E allora continuo a leggere le parole di Oderisi da Gubbio, l'artista superbo:
Credette Cimabue ne la pittura
   tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
   sì che la fama di colui è scura.
Così ha tolto l'uno a l'altro Guido
   la gloria de la lingua; e forse è nato
   chi l'uno e l'altro caccerà del nido.
«Ecco» dico io «avete capito?» Ma so che non possono avere capito. E infatti spiego subito io, senza perdere tempo: «C'era Cimabue che credeva di essere il migliore; e poi è arrivato Giotto, e Cimabue non è più stato il migliore. E invece, nella letteratura, c'era un Guido che pensava di essere il più bravo, di possedere la «gloria della lingua», e invece, subito dopo, è arrivato un altro Guido, che gli ha tolto quella gloria, evidentemente così futile... E chi sono questi due Guido?» Le voci sono così tante che nemmeno io capisco chi mi ha risposto: «Il primo è Guinizzelli, il secondo è Cavalcanti». «Esatto» dico io. «E poi i versi vanno avanti e Oderisi dice che ne è nato un altro che scaccerà via entrambi da quel nido, da quella vetta d'eccellenza. E quell'altro è...»

«È Dante!» mi dice una  voce maschile. E nello stesso esatto momento io vedo, chiaramente, come se fosse al rallentatore, tanto che quasi quasi mi sembra di vederla ancora adesso mentre scrivo, la faccia di Barbara che si alza e mi guarda perplessa, con gli occhi increduli che sembrano dire «Non è possibile!»

E allora io mi fermo al centro dell'aula, e chiedo: «Cosa c'è, Barbara?» E lei esita un  secondo e poi mi dice: «Ma, mi scusi, non è possibile! Come fa essere Dante? Ha appena detto che la gloria terrena è inutile, che la fama non serve a niente, che il successo è pericoloso... e poi ci si mette subito lui come il più bravo di tutti! Ma se non è superbia questa...» E scuote la testa, Barbara, perché non si capacita.

E io respiro, perché sono arrivato dove volevo arrivare e so che da ora in poi tutta la strada sarà in discesa; sbircio l'orologio e so che manca poco, tra non molto l'ora sarà finita, mi fumerò una sigaretta e poi andrò in prima, a spiegare l'indicativo imperfetto del verbo essere. Ma, dopo avere per un attimo respirato, dico quello che è da quaranta minuti che aspetto di dover dire. Lo dico a Barbara, ma vale per tutti, naturalmente.

E dico che sì, Dante è superbo, lo ammette lui stesso. Nel canto XIII, tra non molto, dirà che lo aspettano molti secoli di pena in questa stessa cornice del Purgatorio in cui è adesso, da vivo. E in cui, adesso, da vivo, cammina insieme agli spiriti purganti, chinato a faccia in giù proprio come loro, perché quello è il suo destino e lui lo sa. Perché l'arte, spesso, è anche questo: desiderio di gloria, di fama di successo; desiderio di cosa vane, che rendono infelici, che allontanano dalla felicità unica, che è invece l'amore di Dio, non quello di sé. Ed è per questo che Dante, proprio ora, proprio qui, fa dire a Oderisi che sì, lui è il migliore di tutti, più bravo di un Guido e anche dell'altro Guido. Perché lui è l'autore della Divina Commedia, nei secoli. Glielo fa dire qui, perché è qui che si dice questa bravura è del tutto inutile.

È necessario che venga detta, questa specie di inutile verità: perché questo è l'unico punto della Divina Commedia in cui chiunque può capire che il fatto che lui lo sia (il più bravo di tutti) non conta niente, meno di niente, niente di niente. Perché la gloria è vana, non serve, non dà gioia né felicità, non dà nulla. Perché la gloria così assurdamente desiderata è solo un altro albero della selva oscura, uno dei più grandi. Perché non è la gloria di colui che tutto move, amor che move il sole e le altre stelle. Perché non è amore, insomma. È solo gloria, ragazzi: successo, fama, stupidità. È solo gloria, e non rende mica felici.

E poi mi fermo, e tiro il fiato. E poi leggo l'ultima terzina con gli occhi di Barbara che mi fissano e che ancora non si fidano e che forse, purtroppo per lei, ci metteranno una vita a imparare a fidarsi di questo: che il successo rende infelici. E allora leggo, e poi parafraso:
Non è il mondan romore altro ch'un fiato
   di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,
   e muta nome perché muta lato.
«La fama del mondo (rumore, solo rumore) è soltanto un fiato di vento: cambia nome, perché cambia lato da cui proviene, proprio come il vento. Ma non è nulla, è il nulla, è niente in confronto all'amore che ci attende, girato l'angolo della cornice, chinata la testa sotto l'inevitabilità della nostra fallace debolezza e presunzione. È gloria vana, rumore del mondo, destinato a passare in lampo: anche se ti chiami Dante e stai scrivendo la Divina Commedia e nessuno è più bravo di te. Ed era qui, dove lo si dice, che occorreva che lo sapessimo.»
 

23 commenti:

  1. Il canto è bellissimo. E la tua lezione è bellissima. Però. Secondo me il punto dove il parallelo con la vanità della fama odierna salta è quello sulla bravura. Perché la Commedia è davvero fama eterna. Ma quello che così non passa è che ci vuole intelligenza e amorevole cura di quella stessa intelligenza, per produrla. E che, certo, questo non basta a essere felici (nel mio mondo attuale io il divino lo lascio volentieri da parte), né magari a essere brave persone nel mondo. E però è amorevole cura della propria intelligenza. Una delle cose più difficili da comprendere e ottenere.

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  2. Grazie, questo post mi ha fatto ripensare a due cose.
    Mi ha fatto pensare a Tremonti che dice che la cultura non si mangia.
    Per associazione ho pensato al passo evangelico secondo cui non di solo pane vive l'uomo.
    Non sono un credente, ma non ho dubbi nello scegliere quale dei due pensieri che ho riportato rispecchi meglio il mio modo di intendere la vita.

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  3. Bellissimo post, grazie. Dovresti pubblicarle queste lecturae Dantis.
    Marco

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  4. Grazie a tutti voi. Nel bel mezzo di una giornata caotica (e priva di senso) le vostre parole mi sono di conforto.

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  5. Ciao Scorfano,
    non comprendo se attraverso questo bellissimo canto ti limiti ad esplicitare il Dante-pensiero o se questo è anche il tuo personale pensiero.
    E se nel corso della tua lezione l'eventuale distinzione fosse chiara oppure no.
    In merito alla gloria, laddove sia la conseguenza di realizzazione di eccellenza e genio, ovvero di formidabile identità, non vedo quale sia il problema.

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  6. Bella lettura, bella spiegazione, bella classe, bello tutto.

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  7. @rigorosamenterosso
    Io vorrei soltanto esplicitare il pensiero di Dante. D'altronde, solo per fare un esempi io non sono credente, il che mi pone su un piano di opinioni molto diverso, rispetto a quello di Dante.
    Sul fatto che la gloria sia un problema sempre, anche quando figlia di genio ed eccellenza, questa è un'idea di Dante. Che, se applicata teologicamente alla storia della salvezza umana ("beati gli ultimi", per esempio), non può che essere necessariamente condivisa. Non stiamo parlando affatto di una visione laica, insomma.

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  8. Ti ringrazio, non mi era chiaro :))alla prox

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  9. Magnifico. Avrei voluto averti come insegnante.
    Se ne scrivi un libro, ne acquisto copie anche per gli amici!

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  10. Mi unisco anch'io al coro: bella spiegazione, bella lezione.
    Anch'io acquisterò copie in caso volessi scrivere un libro di commenti alla D. C.
    Grazie per questi momenti che ci regali

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  11. Grazie a Mariano e Mariapaola.
    Però ve li leggerete sempre qui, i commenti-spiegoni su Dante, non credo che ne farò mai un libro...

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  12. LA GLORIA DEL MONDO

    Belli momenti, davvero.

    Io poi mi aspettavo da un rigo all'altro (o nella tua classe) un aggancio alla più recente attualità di politica "internazionale", quella che saluta la scomparsa di potenti personaggi di Stato con battute e proverbi latini antichi.

    Quella sul "sic transit gloria mundi".

    Va benone così, in sordina.

    Marco

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  13. (lo so che fare un libro richiede ancora un lungo sforzo di editing e poi non è detto che l'editore sia interessato. Però...)

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  14. Di questo problema dell'inseguire la gloria e di come faccia male ne ha parlato anche David Foster Wallace in "Come diventare se stessi", un'intervista con David Lipsky.

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  15. @Marcolino:
    La politica in classe meno che posso, sempre, per scelta.

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  16. @Speaker
    Pensi che ci sia modo di leggerla on line, quell'intervista? Mi farebbe piacere.

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  17. L'intera intervista? Temo di no (non legalmente, credo). Il libro è uscito da poco ed è la trascrizione quasi pedissequa di cosa si son detti Lispky e Wallace durante gli ultim cinque giorni del tour promozionale di "Infinite jest". Parla molto delle "dipendenze" (che poi era il tema dello stesso romanzo).

    Se può interessare, io l'ho recensito qui.

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  18. Prof hai ragione, meno possibile, per non sciupare quei pochi momenti che saranno ricordati alla fine del corso degli studi.

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  19. @Speaker
    Ah, non avevo capito che era stata pubblicata in volume. In tal caso, presto fatto: ordino il libro. Grazie.

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  20. Magnifico.
    Grazie.

    Il Nomade

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)