di lo Scorfano
L’ho già scritto: noi, come istituto, quest’anno non facciamo le gite scolastiche, per protesta. Però c’è stata un’eccezione: perché hanno detto che non era tecnicamente una gita, i miei colleghi; e poi perché l’impegno con una scuola straniera era già stato preso e non stava bene tirare il bidone (io l’avrei anche tirato, ma forse è solo perfidia personale). Quindi una nostra classe, una terza, è andata all'estero a far quello che si dice uno stage all’estero: sei giorni di lezione mattutina in inglese, sei pomeriggi in giro, visite guidate o libere. Più utile di una semplice gita, senz’altro.
Quando la classe terza (che è stata una mia classe fino all’anno scorso, ed è una classe di cui tanto vi avevo raccontato nel mio vecchio blog, quando era una prima: gli anni passano), quando la classe è tornata, ho incontrato sulle scale dell’ingresso della scuola la collega che li aveva accompagnati e le ho chiesto come fosse andata:
«Benissimo, guarda. Le lezioni era molto intense, i ragazzi hanno dovuto lavorare sodo e hanno imparato molte cose; poi, il pomeriggio siamo andati in giro, abbiamo visto molti bei posti e non ho mai avuto problemi; in più erano ospiti in famiglia, a coppie, e quindi anche la sera non c’è mai stato nessun problema, stavano a casa loro, io non mi dovevo preoccupare di niente. Una bella esperienza, davvero; senz’altro molto formativa. E dal punto di vista della lingua inglese una vera boccata d’aria.»
Mi ha fatto molto piacere (meglio di una gita normale, no?). Poi, qualche giorno dopo ho incontrato la signora mamma di Mariaelena, una delle ragazze di quella terza, la quale è maestra elementare e con la quale già gli anni scorsi andavo molto d’accordo; scambio sempre qualche parola volentieri con lei, quando viene fuori da scuola a prendere la figlia (la quale figlia, Mariaelena, è anche molto brava e impegnata, detto tra parentesi). Le ho chiesto della gita, lei mi ha risposto:
«Mi pare che tutto sommato non sia andata male. Certo, per quanto riguarda l’inglese è stato come se fossero rimasti a casa; mia figlia mi ha detto che a scuola non facevano quasi niente e che perlopiù aspettavano che finisse la mattinata. Però, insomma, si è divertita molto, hanno visto un posto che non è proprio dietro l’angolo ed è tornata a casa viva, anche se con l’influenza. Quindi non mi posso lamentare… anche perché, insomma, lo sa anche lei, di Mariaelena non ci si può proprio non fidare.»
Io le ho sorriso, l’ho salutata e, nel complesso, mi ha fatto piacere che non avesse troppi motivi per lamentarsi.
Poi, qualche giorno dopo, i maschi di quella terza mi hanno chiesto se un giorno avevo voglia di andare a pranzo con loro, per ricordare gli splendidi (?) anni passati insieme. Ci siamo messi d’accordo e sabato scorso eravamo in un piccolo locale a mangiare una pizza tutti insieme (solo maschi, però: questo lo hanno imposto loro). Io non amo tantissimo queste rimpatriate, ma loro sono ragazzi e qualche volta bisogna anche andar loro incontro, proprio perché non sono più miei alunni e il rapporto è molto cambiato. A un certo punto ho chiesto loro come fosse andata in gita. Loro mi hanno detto:
«Abbiamo fatto un casino pazzesco, prof. A scuola, di mattina, non si faceva mai un cazzo, giocavamo solo a pallone e basta. Poi di sera le famiglie se ne fregavano e ci davano le chiavi e potevamo stare fuori fino a quando volevamo. Oppure, in due, siamo scappati dalla finestra e poi, alle quattro, siamo andati a dormire in casa di altri. Siamo stati in giro sempre, tutta la notte a fare casino, ci siamo ubriacati come delle bestie, prof. Una sera abbiamo fatto ubriacare anche Mariaelena e lei, quando siamo usciti dal bar e dovevamo tornare a casa a piedi, si è spogliata in mezzo alla strada e si è messa a fare l’autostop in reggiseno; e si è fermato uno con un furgoncino e la stava caricando su e lei ci stava pure andando… Meno male che è intervenuto Alberto che l’ha tirata giù dal furgoncino e ha litigato con quello che lo guidava! Poi Mariaelena è svenuta lì, in mezzo alla strada, e allora non sapevamo cosa fare: l’abbiamo portata a casa in braccio, a turno, e la mattina dopo aveva la febbre ma stava bene, per fortuna. Guardi, prof, un casino pazzesco per tutti i sei giorni».
Ecco, lo so che è normale, lo sapete tutti. E so anche che i ragazzi esagerano (ma la storia di Mariaelena è vera: me l’ha confessata anche lei, ieri mattina; mentre vi ho risparmiato alcuni altri particolari, per la tutela della privacy). Però volevo raccontarvelo lo stesso questo fatto, questa caleidoscopica pluralità di prospettive e di punti di vista… Che magari qualcuno dei vecchietti (come me) che ora leggono, magari si è dimenticato di come vanno queste cose e di com’era bello andare in gita scolastica a imparare l’inglese. E magari qualcuno dei vecchietti (come me) che leggono è attaulamente il genitore di una bravissima e educatissima Mariaelena, di cui non ci si può proprio non fidare. Ecco, mamme e papà, che avete la mia età e forse vi state cominciando a dimenticare qualcosa: non fidatevi troppo, se potete. Nemmeno della piccola Mariaelena, se ci riuscite.
Io se avessi un figlio sarei terrorizzato a mandarlo in gita. Ho visto cose...
RispondiEliminaIn più le Mariaelene sono quelle che rischiano di più, perché normalmente non bevono, non fanno tardi e rimangono vestite e quindi non sono abituate a gestirsi in situazioni fuori dall'ordinario.
Ricordo ancora una gita in cui noi maschietti, che non eravamo certo stinchi di santo, una notte dovemmo recuperare le nostre Mariaelene in giro per l'albergo ubriache, che piangevano, che vomitavano, che piangevano perché avevano vomitato. Un delirio.
ora vado ot io: di questo racconto è interessante anche un'altra cosa. Il racconto della tua collega era tutto incentrato su di sè.
RispondiEliminaAlla fine questo storia sembra Rashomon...
RispondiEliminaPer quanto riguarda le attività scolastiche, c'è la possibilità che il racconto dei ragazzi, facili all'enfasi, sia "tendenzioso"? Per loro il "non aver fatto nulla" può anche semplicemente significare che non hanno fatto "lezione come al solito". Voglio dire: anche per giocare a pallone con dei maltesi devi usare l'inglese, e ti fa bene, direi. Avranno pur comunicato con i locali, e magari la prof. può aver colto questo aspetto.
Per quel che hanno combinato la sera: vergogna alla prof. e alla scuola ospitante che non hanno organizzato niente...e vergogna agli studenti e alla loro stupidità giovanile ma asinina...
Mi ha colpito assai la tua collega.
RispondiEliminaSimpatica! mmm
Per quanto riguarda i ragazzi, bè: s'è fatto di meglio, in gita, e s'è fatto di peggio; sedici anni restano pur sempre sedici anni, a prescindere dal nome che indossi (come giustamente vorresti far notare ai vecchietti come te :P)
(ora che ci penso: casco sempre sulla giovinezza dei tuoi alunni. Sono ripetitivo. Cazzo, sto invecchiando -.-)
comunque, mi hai fatto venire i brividi
RispondiEliminaIo credo che tutti esagerino un po' e tutti abbiano ragione; per quello mi piaceva farne un post.
RispondiEliminaStarei per dire: avrei voluto essere lì e vedere con i miei occhi; ma è pur vero che i miei occhi non sarebbero bastati. Sarebbero stati solo un altro parziale punto di vista (come i vostri, eh, s'intende... ;) )
io devo dire la verità che mi ricordo anche troppo bene di come andava
RispondiEliminaSe ci penso, anch'io me lo ricordo benissimo; a volte mi chiedo come sia stato possibile che non sia morto...
RispondiEliminaoddio, la mia gita a Praga il 5^liceo... le peggio cose sono accadute nella stanza vicino a quella delle prof...
RispondiEliminaio ho sempre accompagnato i ragazzi in gita e ho sempre pregato la DeaFortuna che me li restituisse sani e nello stesso numero con cui ero partita...
E dunque, se le gite non s'avevano da fare, come poteva la collega non dire che questa non è stata una semplice gita, ma una epocale o(c)casione di crescita culturale?
RispondiElimina(io non ho mai voluto sapere che cosa facessero i miei figli in gita; mi bastava dover versare alla scuola un intero stipendio, nel mese delle gite)
(sì, ho tre figli)
Tutti sappiamo cosa succede in gita, perché tutti siamo stati studenti in gita. Poi, naturalmente, cerchiamo di non pensarci, se accompagniamo gli studenti in gita o se ci mandiamo i figli. Si chiama istinto di sopravvivenza, probabilmente.
RispondiElimina