I nostri ragazzi (…) pagano un prezzo tremendo alla volontà della comunità internazionale di contrastare con ogni mezzo il terrorismo per consentire alle nostre nazioni di essere più serene e tranquille. Se qualcuno di voi pensa che stia facendo della polemica, si sbaglia. E’ solo che dopo aver letto questa dichiarazione di Ignazio La Russa, espressione di cordoglio per la morte del tenente Massimo Ranzani, ho pensato a me. Cioè, ho pensato che della comunità internazionale o delle nostre nazioni io non mi sono mai preoccupato. Così come non mi sono mai preoccupato della mia nazione e della mia regione. Sono sempre andato avanti, se così si può dire, per inerzia. Quando vedo questi militari sui veicoli blindati Lince e il fotogramma dopo una bara, ecco, quando vedo questo breve montaggio a un telegiornale, io mi sento piccolo. E mi sento marginale quando poi un nostro ministro degli esteri o altra carica dello Stato prende dal suo vocabolario parole come "sangue", "sacrificio", "calvario", "sforzo", "serenità", "tranquillità" e io, allora, mi chiedo se mai ho fatto qualcosa per potermi meritare queste parole che anche distanti dalla retorica militare fanno una certa impressione.
In quale momento della giornata servo la comunità internazionale? Quando offro sacrificio al mio paese? Forse quando salgo in macchina per andare a lavorare? Non penso proprio. Quando guardo una partita del Brescia che lotta per non retrocedere? No. Quando pago le tasse? Può darsi. Allora, cavolo, in quale momento della giornata o anche della mia vita ho dato anche un solo piccolissimo contributo per la serenità e tranquillità della comunità internazionale o nazionale?
Magari ho contributo dentro strette fessure, senza fare rumore, con piccoli gesti e dettagli. Io, che ho sempre odiato le armi e che con il servizio civile ho servito le Suore Ancelle della Carità in una comunità di malati terminali di AIDS, sono stato forse cittadino che si è sacrificato per portare serenità e tranquillità? Penso sempre e comunque questa cosa: non so. Così come penso che il mio non sia stato disinteresse ma indifferenza e che questa indifferenza lontana dalle esercitazioni militari, dal sangue e dal sacrificio non sia stata cattiva disciplina ma solo un modo per intendere le cose e le persone. Non so, mi dico ancora, forse non è poi così necessario salire su un veicolo militare per fermare il terrorismo. O almeno non è l’unico modo. Forse basta saper praticare bene l’indifferenza che non per forza deve essere, come dice Gramsci, abulia, parassitismo e vigliaccheria, ma anche un modo silenzioso per consentire alle nostre nazioni di essere più serene e tranquille. Forse.
In effetti, il mio contributo alla serenità della comunità internazionale io lo offro quando penso di non avere intenzione di sacrificarmi per nessuna patria.
RispondiEliminaQuesti eventi sono frutto di pessima politica, come si evince leggendo alcuni articoli di quei militocattocomunpacifisti che sono quei militari italiani che scrivono su peacereporter.net. (scherzo, ovviamente: sono persone che amano il loro lavoro, anche se distante anni luce dal nostro modo di vedere, e non sono contenti di fare carne da cannone per far fare bella figura al politico di turno e/o per far girare l'economia)
RispondiEliminaChe sia pessima politica non c'è dimostrazione migliore che nel trovare militari e pacifisti in sintonia nel valutare la missione in afganistan, così com'è, una tremenda stupidaggine.
Caro Scorfano, gli indifferenti non siamo noi.
ilcomizietto.chel'openIDnonfunzica
Caro Comizietto, l'estensore del post non sono io... Ma che sia pessima politica sono del tutto d'accordo con te.
RispondiEliminaAlmeno in America la propaganda di guerra parla di guerra e di quanto bravi siano quei guerrieri e di quanto bene facciano alla Patria minacciata.
RispondiEliminaOk, è propaganda, ma almeno ha un senso.
Da noi la propaganda ha sempre questo vomitevole retrogusto dolciastro: non combattiamo, portiamo la pace; non invadiamo, difendiamo la comunità internazionale; soldati di professione diventano ragazzi; soldati di professione morti in battaglia diventano ragazzi uccisi mentre correvano in macchina; uomini di 25 anni armati delle migliori tecnologie belliche della storia diventano ragazzini che non dovevano essere lì.
Persino la propaganda di guerra ormai è mammona e frignona e agisce sul senso di colpa.
Il senso di colpa è il più gustoso lascito del cattolicesimo romano, caro Tommy. Gustoso, naturalmente, perché prevede la colpa. Senza di esso, noi non saremmo noi...
RispondiEliminaChiedo scusa al Disagiato. Ho letto male l'autore del post.
RispondiEliminailcomizietto
però, giovani, la retorica militare non è materia di oggi.
RispondiEliminavariabile
Ma la retorica militare piagnona e mammona sì.
RispondiEliminasì, quella in effetti sì, funzionale all'odierna ambiguità.
RispondiEliminavariabile
@Tommy
RispondiEliminaHo appena terminato di leggere "Una forma di vita" di A. Nothomb e quello che dici tu sta un poco anche in questo libro.
Me lo si lasci dire: la Nothomb è proprio una lettura da disagiati.
RispondiEliminaGuardi lei la vuole smettere dai insomma basta.
RispondiElimina