di lo Scorfano
Ieri pomeriggio, durante il Consiglio di Classe della terza, io ho passato il tempo guardando la faccia del papà di Marianna, che è il rappresentante dei genitori. Lo fissavo, cercando di non farmi notare, perché lo avevo incontrato altre volte e mi era sempre sembrato un uomo gentile e sorridente, pronto a intervenire, a chiedere spiegazioni e a proporre; e invece ieri pomeriggio stava zitto, scuro in volto, quasi un po’ scocciato. Solo una volta ha aperto bocca: ha chiesto se le verifiche dei mesi prossimi erano già state programmate o se invece era un discorso ancora tutto da avviare. Gli ho risposto io, perché mi è sembrato che fosse preoccupato soprattutto per le mie materie: Marianna ha preso un brutto voto in italiano, di recente.
Poi, quando il Consiglio è finito, l’ho raggiunto sulla porta e l’ho fermato. Lui mi ha sorriso e mi ha chiesto di sua figlia; io gli ho detto che è stato un episodio, che non c’è niente da preoccuparsi, che ogni tanto può capitare. Ma lui non voleva sapere quello; e mi ha domandato: «Ma lei la vede serena o cos’altro?»
Io la vedo molto serena, e gliel’ho detto mentre uscivamo dall’istituto; lui mi ha sorriso poco convinto. Poi, eravamo appena fuori del cancello, si è fermato, mi ha guardato e mi ha detto: «Sa, ci sono rimasto molto male oggi pomeriggio.
Ero lì fuori con i due ragazzi rappresentanti di classe, aspettavamo di entrare e loro hanno cominciato a parlarmi delle interrogazioni di italiano, di Dante e della Divina Commedia, e del fatto che state traducendo Catullo, nelle ore di latino. E io mi sono improvvisamente reso conto che Marianna non mi dice niente. Che io le chiedo e lei fa finta di niente, non mi risponde. E invece quei due ragazzi che nemmeno conosco si sono messi subito a raccontarmi di Paolo e Francesca e di Farinata degli Uberti, e io ho recitato loro un carme di Catullo che mi ricordo a memoria da trent’anni e loro sembravano contenti: “Lo abbiamo studiato anche noi!” mi hanno detto. Ecco, io mi sono sentito mortificato, mi creda; umiliato davanti a loro. Perché mia figlia non mi dice mai niente, si scoccia appena le domando qualcosa. Io vengo qui per seguirla, per farle sentire che siamo attenti a quello che fa lei, ma lei niente, come se io non esistessi. E poi quando le chiedo : “Cosa avete fatto di latino?”, lei risponde “Niente”, e se io insisto, lei sbuffa… E invece due ragazzi estranei, per cui non sono nessuno, mi stavano a sentire, mi chiedevano cose, mi raccontavano. È stato molto brutto, davvero. E non credo di meritarmelo.»
E poi, stanco, ha aggiunto: «Mi perdoni, professore, per questo sfogo».
Io ero lì che ascoltavo, intanto. E poi gli ho detto «Si figuri, signor Rinaldi, ci mancherebbe». E ho provato ad aggiungere quel poco che potevo, per confortarlo e perché credo che sia la verità: gli ho detto che è normale che sia così, che a sedici anni i ragazzi cercano i loro spazi e che è giusto che sia così, che sarebbe preoccupante il contrario. Che è sano che Marianna si comporti in questo modo, che lui stesso dovrebbe esserne felice, perché significa che l’ha cresciuta bene, in autonomia e indipendenza, che ha fatto un buon lavoro di padre. Lui mi stava ad ascoltare ma non pareva convinto. Poi mi ha stretto la mano con calore e mi ha detto: «La ringrazio, professore, di avermi dedicato questo quarto d’ora». E se n’è andato verso la sua macchina, e io verso la mia.
E poi tornavo a casa. Era quasi buio, pioveva, il lago faceva schifo. Io pensavo a Marianna che non dice niente, che tiene suo padre lontano, il più possibile fuori della sua vita; e che non sa, forse, di mortificarlo. Pensavo ancora che era giusto così, ma mi chiedevo quando se ne sarebbe accorta. Crescendo, senz’altro. Crescendo, diventando adulta, come è capitato anche a me con mio padre. E poi ho pensato che probabilmente anche Marianna, come me, non dirà mai niente a suo padre, e che tutto scivolerà via così, come scivolano le cose, com’è giusto che sia: i figli diventano grandi, i padri si dimenticano, la vita passa come deve passare.
Ed è, insieme alla vita, tutto amore che scivola via, l’amore di suo padre per Marianna, l’amore che gli fa stringere la mia mano un po’ più intensamente di quanto sarebbe il caso, l’amore che lo fa stare male durante un consiglio di classe in mezzo agli insegnanti di sua figlia. E poi c’è Marianna stamattina, fuori da scuola, che ride con le sue amiche, che parla del ragazzo che le piace, che scherza con tutti e che è così di buonumore, che nemmeno sa che in questo momento suo padre si sente mortificato per colpa sua. È giusto così, mi dico, assolutamente giusto così. E intanto piove sempre e il lago continua a fare schifo e puzza anche un po’.
l'unica cosa che posso aggiungere è chiedermi se il signor Rinaldi dicesse ai suoi genitori cosa faceva (magari no, perché a 15 anni lavorava già...)
RispondiEliminaIl Rinaldi (che ovviamente non si chiama così) è un medico, per cui credo non lavorasse a 15 anni. Di sicuro anche lui non diceva niente a suoi genitori: però (non è affatto impossibile) magari ha passato molto tempo a lamentarsi perché i suoi genitori non gli chiedevano niente e a dirsi che lui sarebbe stato un padre diverso...
RispondiEliminaIl lago, insieme alle parole di quel padre, insieme allo scorrere della vita, diventa una cosa normale, non una cosa giusta.
RispondiEliminaÈ davvero normale che sia così, ma non direi "giusto".
Lo so che non serve a niente, che niente serve a niente, ma domani, quando Marianna sarà adulta ed il signor Rinaldi sarà invecchiato, resterà, a Marianna, poco tempo per parlare al babbo e poco tempo per
ringraziarlo.
Tu penserai, forse, che è normale o che sia giusto così, ma poi quelle parole mancate potrebbero essere ingiuste per il solo fatto di non essere state pronunciate.
Intanto il lago continuerà a far schifo, di tanto in tanto, ma la gratitudine di Marianna (che c'è anche ora, comunque, questo lo so
pure io) resterà inespressa. E questo, forse, è un po' meno giusto.
Sai perché? Perché i genitori (nello specifico i padri) non dimenticano. E se pensi che abbiano dimenticato, è perché te l'hanno fatto credere.
Secondo me.
Qui le nuvole sono basse. Arezzo ha questa peculiarità: sembra un paesino di montagna, quando i poggi fanno schifo (senza puzzare un po', però) per via della pioggia.
Grazie, nomade. Grazie anche per l'amarezza che mi hai lasciato, visto che a mio padre io non ho mai detto niente, né prima né dopo. Ma, si sa, è giusto così.
RispondiEliminaSo che acuirò la malinconia... Ma io penso che abbia ragione il papà di Marianna, così com'è naturale che lei si comporti ora così; e che la vita (per fortuna) non possiamo prevederla tutta nel suo svolgimento, e neppure è immutabile (o inelluttabile). C'è sempre tempo per accorgerci e per essere grati...
RispondiElimina"A volte mi domando se mio padre ricorda ancora quei giorni. E se si è mai reso conto di quanto imparavo da lui nei silenzi di quei pomeriggi d'inverno. L'inverno mi pareva un personaggio vivo, e il lago, le piante, il battello, tanti esseri che prendevano vita e sostanza alle sue parole e ai suoi gesti. Senza pensarci, mi insegnava a vedere il mondo, a conoscere la vita, a sapere come prenderla, a trovarci gusto e a navigarla con calma. Dalle cose che mi insegnava tacendo, alcune le ho imparate, di altre non mi sono accorto. Ora li ritrovo quegli istanti, e scrutandoli da lontano, ri cerco quello che lui sfuggiva allora. Faccio qualche piccola scoperta, lego insieme qualche gesto e qualche parola che mi erano sembrati senza senso e che invece ne avevano, perché erano il sugo di cinquant'anni di esperienza che lui aveva fatto nel mondo. Ora soltanto che anch'io tiro qualche somma, so quanto si può condensare di vita in un gesto o in una parola".”(P. Chiara, "Con la faccia per terra e altre storie")
Anche io non ho quasi mai raccontato nulla ai miei genitori. Io ero timidissima e loro tipi vecchio stampo e della serie se vuoi dire qualcosa la dici perchè non ho tempo da perdere.
RispondiEliminaAdesso ho una figlia di 22 anni che quando ha bisogno è carina carina, finito il bisogno è cattiva e crudele soprattutto con suo padre. Noi due siamo due genitori normali che quello che hanno potuto fare l'hanno fatto tutto per lei. E lei ti dice "Oh micca ve l'ho chiesto io di mettermi al mondo" A lei è vietato chiedere un favore, è vietato farle un'oservazione (tipo ti sei dimenticata la luce accesa). Cade il mondo. Poi ci dice che non l'abbiamo mai ascoltata. Ho fatto il part-time fino a che non ha iniziato a lavorare a 19 anni ed ho passato ore con lei (parlare, ridere, discutere). Dite che è normale così. Ma perchè si pensa sempre solo ai ragazzi che devono inserirsi nel mondo degli adulti? Noi adulti dobbiamo sempre fare del nostro meglio per aiutarli, ma il buon senso non è incluso nella crescita? Quando noi affrontiamo questo argomento nostra figlia ci ride in faccia. La nostra pazienza è infinita, ma che sia giusto così non ne sono sicura. Oramai siamo rassegnati e non ci aspettiamo più nulla.
@Monica
RispondiEliminaGrazie per il passo di Piero Chiara che è molto bello, e illumina anche un po' il post, per fortuna (mia)
@anonima
RispondiEliminaLa frase che ti dice ora tua figlia, la dicevo pressoché uguale anch'io (lo ricordo con un brivido) a mio padre. Avevo vent'anni. Poi si cominciano a capire un po' di cose, credo.
Non sarebbe opportuno capirle prima coteste "cose"? Davvero la nascita e la crescita di un individuo debbono perpetuare questo triste e ingiusto testimone che si passa da una generazione alla prossima? L'educazione al rispetto e all'educazione al valore dell'Amore e alla intriseca e ontologica importanza dei sentimenti, particolamente quelli altrui, è davvero così difficile da perseguire? Suvvia (è un'incoraggiamento), usciamo da questa pericolosa spirale; perchè è pericolo che gli errori dei genitori, che furono figli, si ripresentino nei nostri figli.
RispondiEliminaE' gia dal momento della loro formazione (penso all'adolescenza) che si deve agire...spezziamo questa sorta di inemendabile e immodificabile tristezza e rammentiamo tutti che l'Amore stesso (che considero il sentimento motore dell'esistenza, almeno della mia) non deve mai occasione per qualcos'altro di cui non sia degno; men che mai l'umiliazione di un genitore.
Non sarebbe opportuno capirle prima coteste "cose"? Davvero la nascita e la crescita di un individuo debbono perpetuare questo triste e ingiusto testimone che si passa da una generazione alla prossima? L'educazione al rispetto e all'educazione al valore dell'Amore e alla intriseca e ontologica importanza dei sentimenti, particolamente quelli altrui, è davvero così difficile da perseguire? Suvvia (è un'incoraggiamento), usciamo da questa pericolosa spirale; perchè è pericoloso che gli errori dei genitori, che furono figli, si ripresentino nei nostri figli.
RispondiEliminaE' gia dal momento della loro formazione (penso all'adolescenza) che si deve agire...spezziamo questa sorta di inemendabile e immodificabile tristezza e rammentiamo tutti che l'Amore stesso (che considero il sentimento motore dell'esistenza, almeno della mia) non deve mai essere occasione per qualcos'altro di cui non sia degno; men che mai l'umiliazione di un genitore.
P.S. Ho "ripostato" per troppa veemenza nell'aver postato il precedente, con qualche inevitabile errore...chiedo venia.
sono solo un anonimo che scrive, ma che legge in questo racconto l'amarezza di cio' che la stupidità della giovinezza e la brutalità del tempo hanno fatto: sono stato giovane e distaccato, e quando, un po piu' grande ho visto la persona che avevo di fianco, la signora con la falce se l'è portata via....posso solo sperare di riuscire a comunicare con i miei figli, se un giorno ne avro'....bel racconto, complimenti!!!
RispondiEliminatriste destino dei genitori di figli adolescenti... ne vedo tanti anch'io a scuola. E mi preparo. Adesso mia figlia ha 7 anni e mi regala i lavoretti di carta fatti con le sue manine, ma fra meno di dieci anni dovrò farmi da parte (è nell'ordine delle cose), se penso che poi io sarò pure in menopausa con tutto quello che comporta.... va là mi godo questi anni finchè posso!!!
RispondiEliminabeh, io direi molto semplicemente al padre di marianna che probabilmente i due rappresentanti (che sono stati eletti rappresentanti probabilmente proprio perché non hanno timore di interloquire con gli adulti) quando vanno a casa e i genitori chiedono "cosa hai fatto oggi?" rispondono "niente".
RispondiElimina@fem
RispondiEliminaGoditi davvero questi anni, che sono bellissimi (parlo in quanto zio). Perché poi (parlo in quanto insegnante) vedo che essere genitori di adolescenti è dura assai.
@lanoisette
RispondiEliminaIn realtà credo anche di avergliela detta la cosa che dici tu (mi pare). Però l'uomo era inconsolabile.
è normale ma non è giusto. e tu dovresti dirlo, a Marianna, perché un giorno i rimpianti le riempiranno il cuore...
RispondiEliminaHo pensato, Lucia, di dirglielo; ma mi spaventa. Un po' per ragioni autobiografiche, un po' per una specie di discrezione, non so. Come se suo padre si fosse confidato, o qualcosa del genere.
RispondiEliminaCi penserò ancora, comunque.
si jeunesse savait
RispondiEliminasi veiesse pouvait...
Ecco, infait.
RispondiEliminaIo rispondevo niente, ma ero convinta che a mia madre non interessasse davvero. E mia figlia mi risponde niente da quando era all'asilo. Mi sono sempre detta che è normale, ma forse non è così normale che un bambino a uno, due, tre anni, passi otto ore fuori casa per nove, dieci mesi l'anno. Quando ne ha undici, o quattordici, o sedici, ha passato già un'eternità lontano da casa.
RispondiEliminaho un figlio di trentacinque anni.
RispondiEliminafino a che non si è laureato e poi si è messo a lavorare, poca comunicazione, e quella poca grazie agli interessi comuni (musica, lettura).
da quando è autonomo (o forse dovrei dire adulto) le cose son cambiate, lentamente ma son cambiate.
adesso ci si raccontano un sacco di cose, c'è più reciprocità.
credo si tratti solo di aver pazienza e di aspettare.
nick the old
Mi aggiungo al coro: un rapporto di confidenza biunivoco padre-figlia (diverso, caro Scorfano, dal padre-figlio) a quell'età sarebbe felicemente (e lo dico da padre) anomalo. La "curva" di un adolescente si allontana dalla famiglia, per poi rientrare a casa una volta placata la tempesta ormonale che c'è dentro e là fuori. Cerco così di esorcizzare il terrore che ho per i 16 anni di mia figlia lavorando sodo, e per fortuna ho ancora 9 anni di tempo, insegnando a entrambi (lei e me) che raccontarsi tutto non è solo uno strumento di controllo, ma anche di gioia di condivisione; è tutto così veloce che viverlo da estranei nè sprecato.
RispondiElimina@nick
RispondiEliminaSEi stato molto bravo, e forse anche un po' fortunato (o magari è stato bravo lui). Non tutti i figli ritrovano la comunicazione con i padri.
(PS: stasera leggo anche una strofa di Ciro di Pers...)
@plus
RispondiEliminaHai ragione, soprattutto su una cosa: padre-figlio non è proprio come padre-figlia. Cambiano molti e significativi dettagli.
Professore, hai commosso.
RispondiEliminaQuel papà ha un po' commosso me, ecco perché.
RispondiEliminafortuna, soprattutto.
RispondiEliminacome è andata la lettura?
nick the old
E' andata come più o meno vanno tutte le cose che faccio io. Tutti mi dicono che è andata bene, ma io, personalmente, mi sono fatto schifo e non ho dormito fino alle 4. Non so se sono io troppo severo con me stesso o se sono gli altri troppo indulgenti: nel senso che sanno troppo bene che da me non si possono aspettare molto. Non so.
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