lunedì 14 marzo 2011

carli e martelli

di lo Scorfano
In un articolo su Education 2.0, dal titolo molto eloquente (Che roba, professoressa...), mentre recensisce il libro di Paola Mastrocola e annota una serie di limiti (che ci sono tutti) dell’impostazione della scrittrice e insegnante torinese, Carlo Ridolfi  incorre in un errore davvero marchiano, che non meriterebbe un post se non fosse un perfetto esempio di quanto possa accadere ultimamente nell'approssimativo dibattito che si svolge intorno alla scuola italiana.

Ma prima di tutto l'errore: Ridolfi riporta che la Mastrocola, in un capitolo del suo libro che prende il titolo dal canto VIII del Paradiso di Dante (protagonista: Carlo Martello) si lamenta della «impossibilità pratica di proporre la grande letteratura ai suoi studenti, distratti da un’esistenza consumistica e incapaci di concentrazione perché troppo abituati agli schermi digitali e al multitasking». E a tal proposito egli propone alla collega vanamente lamentosa un «percorso» didattico efficace, che possa risolverne le ambasce e i problemi. Che è questo percorso:       


Apra il giornale, o l’iPad, come meglio crede. Riprenda una qualsiasi notizia che in questi tempi tristi – in cui gli adulti danno tutto men che il buon esempio – si leggono sulle signorine prezzolate a fini di compagnia non platonica con i potenti di turno. Accompagni la riflessione sulla professione delle stesse con l’ascolto della celeberrima “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, scritta nel 1963 da Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio. A quel punto, si riporti all’immenso magistero dantesco. Da Ruby Rubacuori al Paradiso, via Faber. Ci si può arrivare. Provi. Si accorgerà, forse, di aver risvegliato attenzione e partecipazione dei “sonnambuli”.
A parte il fatto che non si vede quale nesso ci sia tra il lamento della Mastrocola («schermi digitali e multitasking») e l’attualità dei quotidiani e di Ruby Rubacuori; a parte il fatto che la Mastrocola non si lamenta di alunni disattenti (anzi: ne sottolinea spesso proprio la partecipazione), ma della loro totale mancanza (secondo lei) di amore per lo studio; a parte la personalissima (mia) opinione che dei quattordicenni sani dovrebbero trovare piuttosto «noioso» anche l’ascolto di De André; a parte tutto questo, l’errore è un altro, ed è ben più grave.

Ed è l’errore di confondere il Carlo Martello di De André e Villaggio, quello che vinse la battaglia di Poitiers nel 732 d.C. (scontro decisivo per le sorti della Cristianità in Europa, e quindi per l’Europa stessa, a ben vedere: non proprio una data qualunque, insomma), con il Carlo Martello protagonista del canto di Dante (morto nel 1295, a soli 24 anni), figura di assai scarso rilievo nella storia europea (e che Dante cita solo perché lo incontrò di persona, a Firenze); 550 anni di differenza, insomma: una voragine.

E questa è quindi la misera fine che, tra un articolo di giornale (o di iPad, come credete meglio) e una riflessione sul mestiere più antico del mondo, fa l’«immenso magistero dantesco» secondo Ridolfi; quello a cui si voleva giungere attraverso la piccola Ruby Rubacuori (che roba, signor Ridolfi...)

E qui ci sta anche un gran bel punto, secondo me, pesante e non trascurabile, che finisce per dirla lunga sul dibattito attorno alla scuola dei nostri tempi: il quale è circondato da un lato dalla Mastrocola con il suo ritratto anacronistico di una scuola che non c’è più e che credo non ci sia nemmeno mai stata (è abbastanza chiaro che questo post non parla del libro della Mastrocola, vero?; non occorre che io lo sottolinei, vero?); dall’altro, però, da Carlo Ridolfi e dalla sua didattica innovativa, che appiccica testi uno all'altro senza troppo costrutto e che si sbaglia solo di mezzo millennio quando deve impostare un bell’esempio di lezione in grado di risvegliare «attenzione e partecipazione» degli studenti. E che dimostra una tale approssimazione nella sua personale preparazione storico-letteraria da fare impallidire i miei peggiori studenti.

Quanto agli studenti di Ridolfi, se ne ha, ci si augura con il cuore che dormano davvero durante certi percorsi danteschi; perché l’alternativa è quella di ascoltare con partecipato e commosso entusiasmo degli enormi strafalcioni.

6 commenti:

  1. Provo a ipotizzare una genesi del lapsus: era l'Ugolino della Commedia, a esser citato da De André in quella canzone, con "più del onor (dolor) poté il digiuno".

    Magari non l'ha riascoltato, non ha riletto il canto, e ha associato personaggio della Commedia, al titolo della canzone.

    Insomma, soltanto un'attenuante.

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  2. Ah, non c'entra la reincarnazione?

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  3. E' un'attenuante possibile, non lo nego (anche se io non rispetto le tue idee e non ci credo, ehm...).
    Però, anche data l'attenuante, resta proprio quell'approssimazione (nell'informarsi, nel (ri)leggere il canto di Dante o nel riascoltare la canzone di De André), che fa la differenza tra una buona lezione e una lezione inutile. L'efficacia deve stare nella precisione dei riferimenti e degli agganci storico culturali, a mio parere. Ed è quella che spesso manca a chi, come in questo caso Ridolfi, inventa un po' in fretta percorsi alternativi.
    Altrimenti è solo fumo: e poi i ragazzi se ne accorgono (perché se ne accorgono, stanne certo) e non ti ascoltano più.

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  4. @.mau.
    No, non c'entra: altrimenti ci saremmo collegati alle unghie reincarnite. :P

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  5. ah, ma che bellezza, che precisione, che innovazione didattica!
    questi (anche se abbuonassimo il grossolano errore cronologico) sono i tipici percorsi "fuffa" che, personalmente, casso con decisione anche agli studenti di III media che preparano l'esame.
    però, in fondo, ci è andata bene: Ridolfi avrebbe potuto proporre un collegamento tra Villaggio (autore della canzone, Fantozzi (suo celeberimo alter ego) e 'l secretario fiorentino...

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  6. Vabbe' ha preso quel che a Bari si chiama un priqueco...capita...

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)