martedì 8 marzo 2011

In fila

di Sempre un po' a disagio

I bambini che entrano in libreria solitamente si fiondano, senza neppure lanciare un saluto a noi commessi, nella stanzetta in fondo a sinistra, dove ci sono i libri per l’infanzia o per i ragazzi. Capita che abbandonino i genitori al supermercato, che sta a pochi passi di distanza, per andare ad afferrare un Harry Potter o uno di quei libri che hanno come protagonista il topo Stilton; capita anche che entrino accompagnati da mamma, papà, nonni o chissà chi altro ma sempre in preda a uno scomposto desiderio intellettuale della loro taglia. Insomma, capita tutti i giorni di vedere bambini che vogliono leggere o solo sfogliare, così, per il gusto di incrociare parole e immagini o di passare un po’ di tempo tra i propri simili. Sono bambini svegli e quando dico bambini svegli, intendo dire piccoletti di otto o nove anni che pur di staccarsi dalla morsa dei genitori fanno vedere alla gente cresciuta e stanca che li circondano che anche loro hanno una letteratura, un personale angolino dove starsene riparati, in silenzio e concentrati.

Il mio spirito di osservazione è però viziato da un rancore autentico e intatto che nutro per questi bambini. Perché capita che nella stanzetta in fondo a sinistra i bambini, prima di adagiarsi sulla sedia per leggere e sfogliare, buttino tutto all’aria, ribaltino qualche sgabello e perdano per strada i segnalibri che stanno tra le pagine dei volumi. Capita, sempre, tutti i giorni, nella stanzetta in fondo a sinistra, lo scompiglio. Il caos. Il disordine. Capita. Ma non capita spesso, anzi, non mi è mai capitato, che entrasse un bambino uguale a quello che è entrato ieri pomeriggio. 


Avrà avuto pure lui otto o nove anni, solo che a differenza dei suoi simili non è andato nella stanza in fondo a sinistra. Era solo, vestito con una camicia e pantaloni per nulla sportivi e il suo passo, a dire il vero, apparteneva alla categoria degli adulti. Dalla cassa dov'ero io l’ho visto, dopo aver vagato tra gli scaffali e le pile di libri, mettere le sue mani e la sua faccia pettinata tra i classici della letteratura. Da quella distanza potevo immaginare il libro che aveva in mano: all’inizio si è messo a leggere la quarta di copertina di un Calvino, poi, se non sbaglio, di un Defoe, poi si è spostato di qualche passo per un Dickens e poi mi sono distratto. Già, perché a quel punto ho pensato a com’ero io a quell’età. Ho fatto con la memoria una retromarcia rischiosa per andare ad afferrare un bambino che non leggeva neppure i fumetti, figuriamoci libri di quello spessore (o almeno per me lo sono). E di certo non era così cresciuto quel bambino, e di certo non così elegante. Una certa disciplina, io, l’ho cominciata molto tardi ma questa è un'altra storia e so che non vi interessa.

Rimane che il bambino, senza che mi accorgessi delle sue traiettorie per la libreria, ha raggiunto la cassa e si è messo in fila, dietro a stature decisamente più alte della sua, composto, con la faccia seria, una banconota in una mano e un Dickens nell’altra. Questo ordine, questo libro oltre la propria taglia e questo saper stare in fila, non capita tutti i giorni, in libreria. Perché a me, di questa vicenda, mi ha impressionato il suo stare in ordine più che il libro che aveva in mano. Magari non erano neppure per lui quelle pagine, magari erano per mamma o papà. Non so. So solo che stava in fila, con la schiena dritta, silenzioso, serio e ordinato.

Mi ha dato il libro con un serio buongiorno, si è ripreso il libro, ha afferrato il resto, mi ha augurato una buona giornata guardandomi negli occhi e con la schiena dritta se n’è uscito. Serio e ordinato, come io ho imparato ad essere solamente una manciata di anni fa. Con molta fatica.

12 commenti:

  1. Il bimbo in questione mi ricorda assai da vicino Niccolò, un compagno di Nichita alle elementari.
    Niccolò era carino, piccolino (era andato a scuola un anno prima perché "all'asilo si annoiava, poverino"), sempre ben vestito e in ordine, sempre gentile ed educato. Dopo la scuola Niccolò faceva ogni giorno un'attività diversa: calcio, basket, chitarra, inglese. Il sabato partita e la domenica gara di sci. Leggeva un fottìo di libri, a differenza dei suoi compagni, primo fra tutti Nichita, che leggono solo se legati alla sedia.
    Niccolò, quando era certo di non essere visto da un adulto, tirava dei calci bastardi negli stinchi e delle gomitate nel costato.
    Un giorno, mentre la mamma lo stava accompagnando alla lezione di chitarra, è scappato dalla macchina dicendo che voleva andare da Nichita; l'abbiamo cercato un paio d'ore, in giro per la città e mobilitando i vigili. Alla fine era andato sotto casa sua, e aspettava.

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  2. Il fatto di aspettare di non essere visto prima di tirare calci agli stichi mi sembra un evidente segno di maturità.

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  3. Mi hai ricordato alcune alunne della mia classe, è così che si presentano durante il mio turno in biblioteca, ma sai perchè mi piacciono? Per questa loro costante ricerca di far bene. E non sono piccoli adulti, sono bambini che crescono distinguendo quando si gioca e quando si fa sul serio. A volte occorre fare sul serio anche da bambini. Come ha fatto questo piccolo cliente.

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  4. Solo che questa distinzione tra quando si gioca e quando si fa sul serio richiede una maturità incredibile e che a quella età spesso è latitante. Allora mi chiedo come diavolo hanno fatto ad averla così precocemente, quella maturità.

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  5. spero solo che il bimbo sia felice (lo si può assolutamente essere anche comportandosi così, claro)

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  6. Se io dovrei azzardare una ipotesi, nel caso di pistola puntata alla tempia per esempio, dicessi che forse giocava seriamente, oppure che seriamente giocava, oppure che fate voi.

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  7. Forse era meglio se mollava dickens e giocava pure lui col sorcio occhialuto.

    C'è un tempo per vivere e uno per morire, e ce ne è uno pure per Dickens...

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)