lunedì 14 marzo 2011

avanti!

di lo Scorfano

Una porta chiusa è una porta chiusa. Così penso io e così direi che dovrebbero pensare tutti: che una porta chiusa dovrebbe essere una porta chiusa, per inattaccabile e condivisa definizione. E che davanti a una porta chiusa prima si bussa, poi si aspetta che qualcuno dica «Avanti», poi finalmente si entra salutando. Mi pare così ragionevole che non capisco come agli altri possa sembrare diverso. Eppure sembra che sia diverso.

Lo sembra (ma solo in parte) ai miei alunni di prima e di terza: i quali tendono a dire «Avanti» loro, quando qualcuno, per caso, bussa, mentre noi facciamo lezione. E io, tutte le volte, devo precisare che non sono loro a dover dire quell’«Avanti»: che sono io a doverlo (poterlo) fare. Lo so che pare un’idiozia, ma non lo è. Sono io il responsabile della classe e della lezione: sono io che decido se dico «Avanti» o se non lo dico. Ma quando i ragazzi hanno finalmente capito questa semplice priorità (i ragazzi, va detto, capiscono al volo), non è ancora accaduto niente, in realtà; e la farsa deve ancora consumarsi. Perché le porte chiuse, insisto, a qualcuno continuano a non parere porte chiuse.

Innanzitutto al mio collega Tiziano: il quale, davanti alla porta chiusa dell’aula in cui sto facendo lezione, bussa ed entra, senza aspettare che nessuno dica «Avanti». Proprio nello spazio di un mezzo decimo di secondo cronometrato: toc, toc, maniglia, porta, «Ciao», «Ragazzi, volevo dirvi che…» E segue immancabile proposta “formativa” per gli alunni, i quali immancabilmente accettano, mentre io sono lì con la bocca aperta che sto ancora cominciando a pronunciare il mio «Avanti».            



Alla terza volta che il collega Tiziano è entrato in questo modo durante una mia lezione, gli ho chiesto di uscire un secondo insieme a me e gli ho detto, in corridoio, a tu per tu, se poteva aspettare che io dicessi «Avanti», per favore. «È una piccola questione di educazione», gli ho detto. «Siamo qui anche per insegnare quella, almeno un po’.» Lui mi ha guardato come se fossi pazzo e ha fatto finta di niente. Alla quarta volta che ha bussato, aperto, parlato senza salutare, gli ho chiesto seccamente di uscire, davanti ai ragazzi. Lui ha fatto il brillante, sorridendo ai giovani e ammiccando come se io fossi un pazzo. Alla quinta volta ha aspettato il mio «Avanti».

Ma non c’è solo il collega Tiziano. Ci sono i ragazzi delle altre classi, mandati da chissà chi a chiedere chissà che cosa a chissà quale dei miei alunni. Anche loro bussano ed entrano; anche per loro l’«Avanti» è del tutto superfluo, un optional, inutile avverbio destinato a scomparire dai lessici della nostra amenissima lingua nazionale. A loro però dico subito, già la prima volta, di uscire e di aspettare il mio «Avanti». Glielo dico ridendo, come se fosse un gioco, ma non li lascio parlare né replicare: li faccio uscire, ribussare, aspettare il mio «Avanti!», poi entrare e parlare. Poi li saluto sorridente ed educatamente. Naturalmente so per certo che anche loro mi giudicheranno un vecchio pazzo. Pazienza.

Ma peggio di tutto, anche peggio di Tiziano, sono le bidelle. Le quali, da circa cinque anni a questa parte (prima non succedeva mica, non chiedetemi il perché), bussano ed entrano e urlano, in rapida successione, inarrestabili come la morte. Qualsiasi cosa ci sia da comunicare, qualsiasi terrificante idiozia debbano far sapere: entrano e urlano, sempre, e non aspettano nessun tipo di «Avanti», né il mio né quello di nessun altro. Tanto varrebbe non bussare nemmeno, no? Che cosa bussi a fare se poi non aspetti l’invito a entrare? Facciamo così: entra, non salutarmi, urla quello che devi urlare e togliti dai piedi. Facciamo prima e per me è lo stesso, identica l’umiliazione.

L’altro giorno, dopo molti tentennamenti, ho fermato la bidella del corridoio e, a tu per tu, le ho chiesto se per favore poteva aspettare il mio «Avanti», dopo aver bussato. «Mica per niente» le ho spiegato, «solo perché devo insegnare quel po’ di buone maniere ai ragazzi, e l’esempio è la prima cosa». Mi sentivo cortese e conciliante; ma lei mi ha risposto che non deve mica occuparsi solo di una classe, che deve fare in fretta, che non ci sono solo io, che la scuola è grande. Allora io le ho detto che lo so e lo capisco che il suo lavoro è pesante, ma che avrei avuto molto piacere se comunque avesse potuto aspettare che io dicessi «Avanti», per favore, che era meglio per i ragazzi e anche per lei. E lei mi ha guardato come si guardano i vecchi pazzi.

E un giorno, tra non molto, succederà che busserà, entrerà, urlerà: e a quel punto sarò nervoso e le ripeterò lo stesso invito davanti a tutti, con tono assai meno garbato, e lei si sentirà umiliata e andrà a protestare dal preside e il preside mi convocherà e io dovrò bussare alla sua porta perché mi riceva.

E a quel punto dovrò anche decidere se educatamente aspettare il suo «Avanti» o bellamente fregarmene, ed entrare di corsa in presidenza, urlando le mie ragioni, senza nemmeno aspettare che lui parli. Che, si sa, a scuola l’esempio è la prima cosa.

10 commenti:

  1. Concordo pienamente: l'esempio e' la prima cosa, a volte e' un po' duro darlo, ma credo sia il metodo educativo migliore.
    Nella mia testa ho associato subito il tuo "avanti" tralasciato al mio "buon giorno" negato. Tutto per lo stesso motivo: il tempo. Il cliente che entra in negozio, non saluta, mira dritto verso di te e dice: " avete tal dei tali? chiedo a lei cosi' faccio prima". Nervoso. Allora e' capitato che, dopo aver ascoltato la richiesta del cliente, io gli rispondessi: " buon giorno!" Alcuni sorridono, altri si imbarazzano, altri non li ho piu' rivisti... bisogna dare l'esempio, no?..

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  2. te l'ho mai detto che mi specchio sempre nelle tue parole?

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  3. Ecco perché la porta del mio ufficio è sempre aperta...

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  4. Stupendo! Siccome da me sono bambini, noi di comune accordo visto che a loro sono riuscita a spiegarlo che si entra dopo aver sentito la parola avanti... dicevo noi s'è messo un cartello sulla porta. Perchè ci sono pure momenti che proprio non vogliamo essere interrotti, mentre siamo concentrati a parlare e scambiare informazioni, che è imparare pure quello!
    rosalba

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  5. Hai ragione prof! Fai venire in mente anche a me che forse non sempre attendo di sentire "avanti", prima di entrare. Però di solito, appena entro, chiedo al mio collega se disturbo, guardo cosa succede, e cerco di capire se è il momento giusto. Adesso però attenderò di sentire anche la risposta esplicita... Mica è scontato (anche per me).
    E come al solito sono convinta che tu non entreresti mai dal preside correndo, urlando e sbattendo la porta... (Però la sequenza dei fatti, come l'hai immaginata tu, è davvero simpatica!)

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  6. e la collega che non ci prova neppure, a bussare? entra, non saluta nemmeno e si rivolege alla collega di sostegno, portandomela via per la successiva ora e mezza...

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  7. No guarda, scorfano, non so come fosse una volta e non dico che una volta era meglio, ma la mia esperienza è che se rispetti le regole di minima buona educazione la gente pensa che sei timido/autistico/da calpestare.

    Soprattutto in ambito lavorativo, è una cosa impressionante. Non ti dico, ho appena ricevuto una email da una tizia (tra l'altro inglese) che non conosco e che non mi conosce, che mi verrebbe voglia di prenderla a schiaffi.

    All'inizio ci rimanevo male, poi ho capito: il maleducato prospera perché nessuno gli dice mai niente, tutti se la mettono via. Finché mi sono detto "eh no, qua è ora di non stare più zitti". Ho cominciato a tirare su dei casini enormi per qualsiasi forma di maleducazione. Penseranno anche che sono pazzo, ma almeno da quando faccio così ogni domanda è corredata da "se non disturbo, per piacere, quando hai un secondo".

    Eccheccazz... scusa lo sfogo.

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  8. Grazie a tutti della vostra *educata* solidarietà.
    Chi seguiva già il mio vecchio blog sa che quella della minima educazione è una delle diverse battaglie perse a cui non ho intenzione di abdicare. E' così, mi sono rassegnato. Intanto qualcuno sta imparando, almeno tra i miei alunni. Poi magari cresceranno e se ne fregheranno, e pazienza. Ma almeno io non avrò il cruccio di non averci provato.

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  9. Per la mia esperienza, e a costo di generalizzare, quella con i bidelli è una battaglia persa.

    Per la sempre ragione che fanno girare carte e circolari, e la burocrazia, nelle scuole italiane, vince sempre.

    Una circolare non si può fermare, i registri sono sacri, i permessi della seconda ora e le giustificazioni sono rescritti imperiali.

    La lezione viene per ultima.

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  10. e il disgelo ? dove lo mettiamo il disgelo ? :(

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)