Giulia non studiava. Ma ovviamente sosteneva di studiare tantissimo; e quando andava male in una interrogazione o in una verifica (cosa che succedeva praticamente sempre), Giulia trovava comunque il modo di sostenere che non fosse colpa sua (a volte tra le lacrime, altre volte con fare quasi aggressivo, dipendeva dai giorni): era la vicina di banco che non le aveva detto quello che c'era da fare; era sua madre che, al pomeriggio, la disturbava; era sua sorella che le aveva detto che si doveva studiare in un altro modo; erano gli insegnanti che ce l'avevano con lei... E siamo andati avanti così per un anno, tra sceneggiate di tutti i tipi in classe e colloqui con una madre che non capiva quello che le si diceva, nemmeno le parole più chiare, finché Giulia è stata bocciata e l'anno scolastico è poi ricominciato e, in quella classe, Giulia non c'era più. E nemmeno nella scuola: si era trasferita da un'altra parte, nessuno sapeva dove.
Ma il caso di Giulia è solo uno dei tanti: uno di quelli che normalmente ci accadono in una prima liceo. E, nella stragrande maggioranza delle occasioni, i casi come quello di Giulia nascono semplicemente dal fatto, quasi ovvio a vederlo ora, che Giulia aveva «sbagliato» scuola: che lei non aveva nessuna voglia di studiare in un liceo e quindi, semplicemente, non studiava. E badate bene: non diceva che non voleva stare al liceo, nemmeno se glielo chiedevi. Lei non studiava, nemmeno le cose più semplici: e quello era, ovviamente, l'unico modo che aveva trovato (a quattordici anni si è ancora piccoli, per tante cose) per dire a voce alta che quella strada non le andava bene, non era la sua, non la voleva fare.
Ne aveva il diritto Giulia? Sì, ovviamente: ce lo aveva. E com'è che noi non ce ne siamo accorti prima, per esempio a novembre, quando si era ancora in tempo per farle cambiare scuola? In realtà noi ce ne eravamo accorti, molto prima. E avevamo (io personalmente: avevo) provato a dirlo anche alla madre, che mi aspettava, un giorno sì e l'altro anche, fuori dai cancelli della scuola per tormentare me e, di riflesso, sua figlia. Ma i tentativi non bastano, tante volte; perché ci sono parole e frasi che un genitore non vuole sentirsi dire, in nessun modo. E una di queste frasi è senz'altro «Giulia non ha voglia di fare il liceo; Giulia dovrebbe fare un'altra scuola...»
Si chiama «riorientamento» e dovrebbe funzionare, ma in realtà non funziona, perché è già troppo tardi. Così come non funzionano le indicazioni date (e scritte) dai colleghi delle medie, che a Giulia avevano effettivamente consigliato un'altra scuola; perché ci sono strane ambizioni familiari, a fare da contrappeso. Ambizioni malintese e mal definite per cui un liceo è un liceo e «mia figlia deve fare il liceo». E la figlia, giovane e incapace di capirsi, finisce naturalmente per crederci: per credere che l'unica strada debba essere il liceo, che il resto sia solo un fallimento, che il resto sia vergogna. E va dunque incontro al fallimento e alla vergogna veri di un primo anno catastrofico e poi cambia scuola, e speriamo che le vada bene.
Però, direte voi, anche Giulia avrebbe potuto capire da sola, no? Ecco, no. Onestamente proprio no. Perché un ragazzino di tredici anni, mediamente, da solo non ce la fa. Non è in grado di comprendere e riconoscere i suoi talenti: già è difficile farlo a diciannove anni, quando si è alla fine del liceo, figuriamoci cinque anni prima. E i genitori? I genitori sono in grado? Forse sì, sicuramente un po' di più della figlia tredicenne. E hanno a disposizione i consigli degli insegnanti delle medie, per esempio: i quali (esperienza mia) sbagliano in realtà molto di rado, diciamo meno di una volta su dieci. E poi i genitori hanno la possibilità di verificare qualcosa che nessun altro può vedere bene come loro. E questa cosa non sono i talenti (e nemmeno l'intelligenza, che è solo una scatola vuota, una parola poco intelligente cui non corrisponde nulla di verificabile), ma è la motivazione.
Perché i talenti sono spesso nascosti a tredici o quattordici anni. Perché è normale che un ragazzo sviluppi un talento nel corso della sua giovinezza, a liceo inoltrato, mentre fatica a capire qualcosa di matematica o di latino. Ed è quindi normalissimo che un ragazzo fatichi nella scuola superiore e possa avere, invece, un brillantissimo percorso universitario. Perché i suoi talenti sono emersi con il tempo, perché li ha faticosamente riconosciuti con il passare del tempo, perché la scuola superiore (con i suoi insegnanti) serve anche a quello.
Ma le motivazioni no. Le motivazioni a seguire un percorso scolastico piuttosto che un altro (e non si sta parlando solo di «studiare», è ovvio), quelle forse si possono vedere e riconoscere già prima; quelle si vedono già nei primi mesi di scuola superiore, già negli anni delle medie, quelle sono spesso l'unico linguaggio che un ragazzo ha per esprimere la sua insoddisfazione, il suo disagio, la difficoltà a stare in un posto dove semplicemente non vorrebbe stare. E i ragazzi, soprattutto quando non riescono a esprimere il loro disagio, i ragazzi sono ostinati: ci sarà ben poco da fare contro la loro ostinazione; i ragazzi che non hanno la motivazione giusta non studieranno e non parleranno.
È un mestiere difficile, insomma. E non sto parlando del mio mestiere, questa volta, ma di quello di chi ha figli a cui far scegliere una scuola per il futuro. È un mestiere difficile perché prevede una guida silenziosa ma attiva e consapevole, che lasci spazio alle preferenze dei ragazzi tredicenni, ma che li sappia anche orientare anche in una certa direzione, con obiettività, riconoscendo in loro la voglia di farcela, sostenendoli laddove siano in difficoltà, non ostinandosi, accecati da ambizioni familiari o personali mal vissute, a dirigerli su una strada in cui non potranno fare altro che soffrire.
Dirlo è facile, ovviamente: riuscire a farlo, anche soltanto un po', è difficilissimo. Ma, in questi anni, ne ho visti davvero troppi di ragazzini incapaci di verbalizzare una fatica che non veniva da loro ma dalle pressioni dei loro genitori; li ho visti a volte anche farcela, superare lo scoglio della classe prima (a volte anche solo per al malinteso buonismo di alcuni insegnanti) e poi crollare in terza o in quarta, e rimanere appesi a un presente che non era il loro, depressi e scontenti, senza prospettive, senza letteralmente sapere cosa cavolo fare della propria vita appena cominciata. E mi sento quindi di dire che sia questa la sofferenza maggiore che, prima di incontrare le pene d'amore, un ragazzo di tredici anni possa sentire sulle sue giovani e fragili spalle.
Come è successo a Giulia, l'anno scorso. Della quale Giulia ho da pochi giorni saputo (ed è questo l'happy end che ci si merita, almeno oggi) che nella nuova scuola che frequenta si trova bene e ha trovato un po' di pace. Anche a casa, anche con la madre. E che non va proprio benissimo a scuola (non ha mica tutti 7 e 8, per capirci), ma comunque se la cava, studia quello che c'è da studiare con una certa costanza, impara qualcosa del mondo e di sé, e soprattutto sente di essere finita in un luogo e in un contesto a cui le piace appartenere. Non sarà il liceo, pazienza. Siamo pieni di liceali che arrivano all'università e poi si perdono e non sanno che fare di sé. Giulia, alla fine dei conti, sarà uno in meno di loro. È un bene per tutti, a mio parere.
Finalmente qualcuno che lo dice chiaro e tondo: solo perché si è i genitori di un ragazzino, non si può pretendere di imporre una scelta così importante come il percorso formativo e quello professionale.
RispondiEliminaSe i "grandi" avessero l'umiltà di fermarsi ad ascoltare la voce dei figli, ci sarebbero molte meno delusioni da entrambe le parti. Purtroppo però nei genitori c'è ancora il vecchio modello mentale "Si fa così perché lo dico io. Inutile che fai i capricci. Ti ci abituerai e basta." Così si alimentano le frustrazioni di una vita non scelta in prima persona e nella quale ci si ritrova incastrati nostro malgrado.
Sono d'accordo con te, ma temo che il discorso sia ancora più complesso. Perché ci sono figli che hanno "voce" per farsi sentire; ma ce ne sono altri, la maggior parte, con voce molto fievole, o molto confusa. E' con loro che la questione si complica: perché a tredici anni può essere molto complicato capire se stessi.
EliminaEcco, in questo senso io credo che un genitore debba essere un grande interprete di segni e segnali; e lo so bene che è un compito gravosissimo, e capisco che si possa sbagliare. Ma è purtroppo un passaggio davvero molto delicato (e riconoscerlo almeno un anno dopo è comunque già qualcosa).
io ci son passato dal figlio con voce fievole ed andata che ogni scelta fatta, col senno di poi è parsa errata o quantomeno non la più azzeccata. è dura intervenire ed è dura anche stare in disparte, a volte penso che sia anche questione di buona sorte, magari trovi un lavoro decente, magari trovi un lavoro e ti rivaluta pure le scelte di studio fatte.
Elimina(a me è successo così, ma banalmente erano altri tempi)
Io ti voglio bene. Sappilo.
RispondiEliminaOh be', grazie. Ne ho anche molto bisogno, in questi giorni... ;)
EliminaIo sono una di quelle che è finita al liceo classico per via del consiglio dei miei insegnanti delle medie: mia madre pensava che per me fosse troppo difficile e voleva mandarmi alle magistrali, che almeno davano un diploma subito. Non smetterò mai di ringraziare chi diede quel consiglio e mia madre che lo seguì. Ora da insegnante mi trovo ogni santo anno con questo problema: ragazzini che i genitori sono decisissimi a mandare al liceo solo per prestigio sociale, anche se il figlio non c'è tagliato, e, per contro, ragazzini che sono fatti per i licei ma che padri e madri vogliono a tutti i costi iscrivere altrove perché vogliono che siano subito in grado di guadagnare. E' una lotta durissima. Qualche volta si vince.
RispondiEliminaIo ho citato apposta il consiglio degli insegnanti delle medie, perché ho notato, negli anni, che raramente è sbagliato. Una percentuale di errore assolutemente fisiologica, tanto che, se quel consiglio fosse sempre seguito, noi avremmo in ogni classe prima meno della metà dei problemi che abbiamo ora.
EliminaHo un figlio in seconda media e parliamo già di scuola superiore (anzi lui mi dice "mamma, è dalle elementari che mi parli di scuole superiori") perché vorrei che la sua scelta fosse ponderata, ragionata, valutata, cosciente, appoggiata, oggetto del desiderio, magari anche sofferta ma soprattutto libera. Insomma non dell'ultimo minuto senza avere nozione alcuna.
RispondiEliminaIo in quinta elementare decisi che avrei fatto il liceo scientifico (i prof delle medie poi mi consigliarono il classico), i miei me l'hanno lasciato fare e dopo trent'anni sono sempre convinta di aver fatto la scuola giusta per me.
Ti leggo sempre con piacere ed interesse. Grazie.
Toh, chi si vede! Ciao Isabella, è un bel posto dove stare questo, ma vedo che lo sai.
EliminaMa quanto è piccolo il mondo, persino quello della rete :-))
EliminaSoprattutto quello della rete, direi... ;)
EliminaNel mio caso il giudizio delle medie era moolto sbagliato.Oltrechè privo di qualsiasi fondamento. Non mi conoscevano. Di me non si ricordavano nemmeno quando andavam alle riunioni genitori-prof.Ero,come dire,invisibile. Mi dissero che date le mie non eccellenti doti in matematica,il liceo era da escludere.Dissero ai miei che dati i prerequisiti anche familiari,per me era meglio una scuola professionale,così avrei imparato a far la segretaria.Chè tanto il liceo poi apriva la strada all'università. I miei si son fidati ma han visto che a me non andava giù un verdetto di chi in tre anni non ricordava neppure come mi chiamassi. E così,ostinata,mi son iscritta al liceo,il primo anno l'ho superato bene,in matematica ero perfino migliorata nei voti (forse perchè il prof non mi paragonava continuamente con mia cugina bravissima in matematica e non era dell'idea che "qualsiasi cosa si faccia non migliorerà"testuali parole,me le son segnate per la vita).Negli anni successivi mi son attestata tra le prime della classe e mi son diplomata,unica, con quasi il massimo(58/60). All'università laurea cum lauda.Perchè?Ho seguito quello che io reputavo fosse la mia strada.Sì,oggi,non ha ripagato molto,lavorativamente parlando.E magari se avessi frequentato l'istituto professionale,ora avrei un lavoro sicuro.Ma non ho dato retta a chi mi ha etichettato come incapace.I miei mi han appoggiato e di questo gliene sono grata. Ai miei ex professori,mancava la reale capacità di orientare. Bastava prestare maggiore attenzione alle diverse potenzialità di ognuno,invece di focalizzarsi su pochi e bravi.E non lo dico con astio o in una critica sterile e puerile.So riconoscere meriti e demeriti.Questa è la mia personale esperienza. Ma professionalmente parlando,vedo spesso genitori che fin da piccolissimi pensano di orientare i propri figli,ma in realtà proiettano su di loro aspirazioni e sogni non realizzati,ideali irrealistici,nella convinzione che il meglio è quel che fan tutti o una ristretta cerchia di persone. Che se li si forza un pò si riescono a fare grandi miracoli. Non è sempre così,ovviamente. Eppure sembra difficile farlo capire loro. Sembra difficile far capir loro che grande possibilità hanno di conoscere profondamente i propri figli, se solo non si velassero gli occhi con dei preconcetti.Manca,oltre che un orientamento dei genitori e degli studenti, una valorizzazione dei talenti,qualsiasi essi siano. Manca il valore formativo dell'errore,del tentativo,della motivazione. Siam ancora fermi alle classificazioni in serie A e serie B. E la società non aiuta. Però la scuola e i professori possono fare molto in tal senso.PS: gli stessi prof che a me han consigliato di lasciar perdere,consigliarono a due mie compagne il liceo,ne erano fortemente convinti.Han lasciato il liceo dopo due anni,optando per altri percorsi.E nel tempo son state ripagate ampiamente della scelta fatta.
RispondiEliminaBe', nel caso tuo e delle tue compagne, mi pare abbastanza evidente che i prof delle medie sbagliassero sempre. Per cui diciamo che è un caso un po' eccezionale, per quanto anch'esso indicativo...
Elimina"non funzionano le indicazioni date (e scritte) dai colleghi delle medie, che a Giulia avevano effettivamente consigliato un'altra scuola; perché ci sono strane ambizioni familiari, a fare da contrappeso. Ambizioni malintese e mal definite per cui un liceo è un liceo e «mia figlia deve fare il liceo"
RispondiEliminaHai ragione, noi delle medie tentiamo di indirizzare in modo corretto gli alunni, ma non siamo quasi mai ascoltati. Inoltre, è tipico dell'insegnante di lettere considerare "migliore" la strada liceale e dunque orientare verso i tecnici o professionali solo gli alunni peggiori, contribuendo ad abbassare il livello di queste scuole verso il basso. Sarebbe bello un reale incontro tra diversi ordini di scuole e una formazione specifica sull'orientamento, cosa che non esiste o se esiste è all'acqua di rose...
Nel mio caso tocchi un nervo scoperto.
RispondiEliminaLe frustrazioni e le tensioni legate alla scelta e all'impegno scolastico del figlio maggiore sono esperienza quotidiana. Una difficoltà tutt'ora irrisolta. Io stesso, al pari del ragazzo, incapace di trovare una via d'uscita.
Troppo coinvolto per essere lucido, vorrei ugualmente spendere alcune osservazioni.
La prima. E' un dato consolidato che vi sia una differenza fra licei, istituti tecnici e scuole professionali non solo di natura disciplinare ma soprattutto riguardo alla motivazione e l'impegno dei ragazzi. La scelta di un percorso scolastico significa anche definire il contesto. E il contesto classe/amici gioca a mio parere un ruolo importante. Chiunque insegni in una scuola professionale conosce molto bene cosa intendo dire.
La seconda. Come orientarsi davanti ad un ragazzo privo di qualsivoglia inclinazione manifesta? Incapace di leggere dentro o intorno a sé una motivazione un interesse? Come supportare l'orientamento in un ragazzo incline a rifiutare l'impegno e la fatica?
La terza. Lo studio come forma di emancipazione. Se come genitore hai avuto modo di esperire l'emancipazione culturale (non intendo economica o professionale), come si può accettare che il proprio figlio non colga questa opportunità?
hai tutta la mia comprensione...
EliminaNon ho ovviamente soluzione alcuna ai tuoi dilemmi; che comprendo bene e che so essere un problema serio. Io, come già ho scritto nel post, credo che la "motivazione" e la curiosità personale (nei confronti dello studio, ma anche del sapere in generale) debbano essere i criteri di scelta principali. Le inclinazioni (o talenti) possono essere anche parecchio nascosti, a tredici anni, ed emergere con il tempo. Ma senza motivazione personale, la scuola non farà uscire nulla; e quella, io credo, è ben visibile a un genitore.
EliminaRiguardo invece all'ultimo punto, io penso che l'emancipazione culturale si possa ottenere in molti modi e che il liceo non sia comunque una garanzia. Magari può essere (anche per il contesto, hai ragione tu) una possibilità in più. Ma non è l'unica, senz'altro: il futuro è lungo e sa essere, a volte, anche generoso.
18 anni compiuti, terza liceo tecnologico, una bocciatura in seconda al liceo scientifico, cinque insufficienze al termine del primo quadrimestre, mancanza di autostima, grandi difficoltà di concentrazione, incapacità di gestire/perseguire anche i propri interessi.
EliminaCon queste premesse potrebbe essere più sensato ritirarsi dalla scuola e affrontare un anno di servizio civile? Oppure il 'pezzo di carta', il diploma, resta un punto irrinunciabile? Oppure la fatica di portare a termine un percorso scolastico ha una valenza educativa a prescindere dal risultato (argomentazione che mi sembra smentita da questo post)? Oppure una alternativa è rappresentata dal passaggio ad una scuola serale unito ad un lavoro (trovarlo)?
Giulia, come mia figlia, ha scelto lei di andare al liceo psicopedagogico, un po per le amiche un po perchè suo papà le aveva detto che gli istituti tecnici sono per quelli che non hanno voglia di studiare...(e infatti lei non ne aveva?
RispondiEliminaIo sapevo, che non era la scuola per lei,per 2 motivi
Giulia, aveva altre priorità, i suoi cavalli, il maneggio la terra lo sterco una capacità enorme di sacrificio ma sicuro non per lo studio costante richiesto in un liceo...
E poi, lei in una scuola di sole ragazze?
Io ho perso la battaglia contro il non voler deludere un padre che di sua figlia non sa niente da quando ha 3 anni e Giulia ha perso l'anno nel modo peggiore. Arrivati faticosamente a marzo la mattina prima di andare a scuola aveva vomito e nausee, un rifiuto profondo.
Ho rischiato che mi mandassero le assistenti sociali perchè non frequentava e il padre si è imbestialito per la bocciatura. E' vero i ragazzi di 14 anni non sanno decidere dobbiamo farlo noi genitori per loro, mettendo però da parte i nostri sogni e le nostre ambizioni, guardando solo alle qualità alle caratteristiche e ai limiti dei nostri figli. Quindi ho IMPOSTO: istituto tecnico Agrario, secondo voi come sta andando? non è certo la prima della classe, e i suoi animali rimangono la priorità, Ma immaginate come mi sento io quando, magari le dico, Giulia oggi non andare a scuola, e lei mi risponde mamma, non se ne parla proprio!!!
"Ma immaginate come mi sento io quando, magari le dico, Giulia oggi non andare a scuola, e lei mi risponde mamma, non se ne parla proprio!!!"
EliminaImmagine bellissima. Invidio il tuo rapporto con lei.
"Perché i talenti sono spesso nascosti a tredici o quattordici anni. Perché è normale che un ragazzo sviluppi un talento nel corso della sua giovinezza, a liceo inoltrato, mentre fatica a capire qualcosa di matematica o di latino. Ed è quindi normalissimo che un ragazzo fatichi nella scuola superiore e possa avere, invece, un brillantissimo percorso universitario. Perché i suoi talenti sono emersi con il tempo, perché li ha faticosamente riconosciuti con il passare del tempo, perché la scuola superiore (con i suoi insegnanti) serve anche a quello."
RispondiEliminaNon mi sono soffermato solo su questo, ci mancherebbe, e però mi andava di sottolinearlo.
Hai fatto bene a sottolinearlo. E' uno degli obiettivi che mi prefiggo io, quando insegno. Poi non è detto che lo raggiunga, ovviamente ;)
EliminaManco a farlo apposta, io non sono d'accordo. Oddio, non che abbia certezze granitiche, pero'...
RispondiEliminaNon sono sicuro che la dialettica giusta sia quella del tipo di scuola. Ovunque c'e' molto italiano, quasi ovunque c'e' piu' matematica che allo scientifico (un mio amico del nautico se la rideva a vedere la matematica del liceo scient., ed era ciuccissimo), ogni scuola ha corsi specifici non banali.
Se Giulia non studiava proprio, puo' ben essere che il suo problema fosse il latino, ma nessuna materia viene bene se studi zero. E' vero anche che non studi se non sei motivato, e se non sei nella scuola giusta non sei motivato. Ma dal punto di vista della strutturazione non mi sembra che le scuole differiscano tanto da spiegare queste scelte, se non in parte ridotta. Manzoni e Dante te li ciucci quasi allo stesso modo ovunque, nel biennio delle superiori. E la stragrande maggioranza degli studenti del classico e' mediocre in lat e gr (che peraltro vengono mediocremente insegnati -per colpa degli docenti ma non solo), per cui oggi si sopravvive abbondantemente al classico senza saper tradurre.
Quel che differisce sostanzialmente sono l'utenza (che per il liceo si auto-seleziona) e le aspettative. Con il risultato che nei tecnici si mettono voti che al classico sarebbero considerati larghi (Ah, qua non siamo mica ad un tecnico! Qua si studia!).
E' possibile che con Giulia siano stati di manica piu' larga (pero' vado alla cieca, lo ammetto: che ne so io della nuova scuola?), o che la bocciatura l'ha fatta un po' preoccupare e si e' messa a fare qualcosa di piu'.
Insomma, per rimane il fatto che se questi studenti vanno male, e sono scolasticamente poco sereni (voglio dire: se l'angoscia scolastica finisce per diventare il carico da 11 alle loro personali angosce), e' fondamentalmente colpa delle nostre scuole...pesanti, burocratiche, monomaniache, rigide. Senza spazi liberi, senza pause, senza liberta', senza ascolto (non piu' di quello che puo' prestare anche un Seneca reincarnato docente, che non e' molto visto che passerebbe il tempo in mezzo alle carte, piu' che altro). Uno che ha delle difficolta' fa meglio a nasconderle, perche' il ministero rischia di fargliele pagare care (crediti mancati e altre forme di tortura): non c'e' mai tempo per nulla.
E Scorfano, sia chiaro: tutto questo non e' una critica a te, o al singolo insegnante (anche se il singolo puo' fare molto, eccome): la scuola e' un sistema automatizzato, chi ha difficolta' e' un problema, e basta.
Uqbal
Guarda, è senz'altro vero quello che tu scrivi a un certo punto: e cioè che il ragazzo che ha delle difficoltà non riceve, in sostanza, nessun aiuto vero (che i corsi di recupero siano ridicoli l'ho già scritto altrove).
EliminaE io non penso mica che sia giusto così, ci mancherebbe. Però so che è così, per ora e da molto tempo. E duqnue deve saperlo anche chi si iscrive in una scuola italiana, che è così. E fare i conti con la realtà fattuale, non con quella immaginaria o semplicemente (forse) futura. E' per questo che la motivazione personale deve contare, al momento dell'iscrizione: perché devi sapere che, in questo contesto, è quanto di più prezioso tu possa avere per potertici affidare.
A 13 anni i professori delle medie mi diedero un consiglio, i miei genitori un altro, ma mi lasciarono libero di scegliere. Scelsi una terza cosa e oggi insegno all'università. Questo per dire che se devo rovinarmi la vita preferisco farlo per decisioni mie che di altri.
RispondiEliminaIo però non sono d'accordo. Perché tu dici, essenzialmente e semplificando, che chi non ha la motivazione giusta non studierà. Ma se chiedi a un qualsiasi bambino, nessuno ha voglia di studiare, nessuno ha voglia di fare i compiti, e se gli piace andare a scuola è per giocare con gli amici. Se dovessimo dare retta solo alle motivazioni, ben pochi deciderebbero di studiare. Il compito difficile, dei genitori e degli insegnanti, è però insegnare che invece studiare serve nella vita. E potrà essere faticoso, e ci saranno di sicuro le materie che non ti piacciono e quelle per cui non sei portato, ma alla fine ti accorgerai che quello che hai fatto serviva veramente, e ringrazierai che qualcuno ti abbia mandato a scuola.
RispondiEliminaL'istruzione e la cultura sono importanti, e queste, che piaccia o no, vengono dal liceo (classico o scientifico che sia). Perché sappiamo benissimo che il livello delle scuole tecniche e/o professionali è nettamente più basso. E sappiamo che in quelle scuole c'è un sacco di gente iscritta solo perché deve espletare l'obbligo e basta.
Credo che cercare di indirizzare i propri figli/alunni verso un liceo sia più che giusto e sia la speranza di tutti (e, per esempio, per fare un liceo scientifico normale non c'è in realtà bisogno di essere granché in matematica), e la mancanza di motivazione non può essere una scusa. Ci sono un sacco di cose che nella vita facciamo perché siamo obbligati, ed è bene che ci sia qualcuno che ti obbliga a studiare. Se poi pur studiando ore e ore non ci arrivi, allora sì che intervengono le scuole professionali. Ma non si può dire invece "Non ho voglia di studiare, vado a fare il muratore", perché non è giusto nei confronti di chi magari non ha le tue capacità, però voglia di studiare ne ha. Se hai più talento devi usarlo, sfruttarlo, e anche metterlo al servizio degli altri; non invece svilirlo solo perché non sei motivato a studiare.
A nessuno piace studiare, infatti: è vero (o comunque a pochissimi, a quattordici anni, troppo pochi perché facciano statistica). Ma quando palro di "motivazione" parlo di quella che si vede quando uno è costretto a studiare. Ci sono persone che, pur preferendo fare altro, lo fanno, con attenzione e dedizione; altre che non lo fanno, o comunque lo fanno distrattamente, o fingono di farlo. Ecco, a questi io consiglio una cultura diversa da quella liceale. Che è diversa, non è non-cultura.
Eliminaio ho un problema simile con un mio alunno: lui a studiare non ci prova nemmeno, appena può chiede di andare in bagno e ci sta delle mezz'ore, non ha mai un libro né un compito. pare che volesse fare la scuola di parrucchiere ma che i suoi l obblighino a fare l'ITC. così non solo perderà l'anno, ma rovina la vita a sé (in casa) e a noi (in classe). ma ho in serbo un colpo gobbo...
RispondiEliminaSe il colpo gobbo funziona, fammi sapere, che ho bisogno di impararne molti...
EliminaVogliamo parlare delle dottoresse del riorientamento che quando un/una alunn* dicono (nel colloquio di ri-orientamento) che vogliono cambiare scuola gli/le dicono comunque, anche a ottobre, di finire l'anno perché se no hanno paura che le scuole non le richiamino più l'anno dopo perché hanno fatto perdere una unità nel conto/previsione iscrizioni dell'anno dopo?! Parliamone!
RispondiEliminaNoi non ce le abbiamo mica, le "dottoresse" del riorientamento... Facciamo noi, artigianalmente (e non otteniamo quasi nulla, però).
EliminaBoh. Siamo esattamente nel periodo di scelta per la più grande delle due figlie (la seconda è in prima media, c'è tempo). E' stato un parto podalico settimino. Trigemino. Speriamo di aver (tutti insieme) scelto la strada giusta ...
RispondiEliminaComunque grazie ... A volte giro tuoi post alle figlie ... che sembrano apprezzare.
Io, da modesta responsabile dell'orientamento degli alunni di terza media in un modesto istituto di paese, vedo insegnanti che danno consigli spesso corretti, genitori con ambizioni contrastanti (proprio così: dal ragazzo che vuol fare il falegname ma i genitori lo iscrivono al liceo, o genitori che scelgono per i figli scuole più "redditizie" a breve termine...), e alunni "disorientati"... grazie comunque per la considerazione positiva degli insegnanti che, alla fine delle medie, cercano di fare del loro meglio per far prendere la strada giusta.
RispondiEliminaIo so che c'è una gran parte di colleghi delle medie che fa bene questo lavoro: lo so perché ne vedo, in buona misura, i frutti.
EliminaSei uno dei pochi che apprezza il lavoro o parte di esso degli insegnanti delle medie! :)
RispondiEliminaEd è proprrio per la motivazione che non riesco a dire NO a un ragazzino che vuole contro il parere di tutti iscriversi a una determinata scuola!
Ma infatti. A un ragazzino così bisogna concedere almeno un anno. E poi vedere com'è andata...
EliminaCiao, bellissimo post (come sempre). Sono d'accordo su tutto quello che hai detto. Già è brutto sopportare le pressioni famigliari e della società quando si è grandi, figuriamoci crescerci, ed in base a quelle pressioni, definire da subito la propria vita. Molto spesso penso che l'orientamento sia necessario anche alle famiglie, ma non perché penso che bisogni effettuare un qualche tipo di controllo sui genitori, ma per permettere loro di guardare ai propri figli, se è possibile, con maggior serenità, ed individuare quei nuclei profondi che spingono noi adulti a voler riaffermare le nostre (a volte mancate) ambizioni, sulle generazioni successive. Ricordo che quando mio fratello si iscrisse al liceo scientifico, i suoi insegnanti mandarono subito a chiamare mia madre, già nel mese di ottobre, per effettuare un tempestivo ri-orientamento. Ricordo che al momento, io stessa, che sono di 8 anni più grande di mio fratello, ci rimasi malissimo! E questo perché, per quanto io sapessi che lui non fosse così tanto portato a stare con il sederino sulla sedia, non potevo prescindere dal fatto di averlo in qualche modo idealizzato (il mio fantastico fratellino!). Per fortuna quell'intervento fu tempestivo (seppur doloroso). Adesso ho un fratello che è un giovane adulto brillante, un artigiano sempre in cerca di nuove idee da mettere a punto ed un lettore appassionato!
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