Io lavoro lontano da casa dei miei genitori. Mi sono spostato a diciannove anni (da loro incoraggiato e finanziato, peraltro) e non sono più tornato. Ho cambiato, in venticinque anni, una dozzina di case e almeno otto comuni di residenza: mia madre e mio padre non hanno mai visto molti di questi luoghi, anzi, a pensarci bene, ne hanno visti soltanto due. Ora abito sul lago, dove ho comprato una casa, ma per molto tempo sono stato in affitto a Milano, a Brescia, a Piacenza e in altri piccoli paesi del Nord dell'Italia, dove il lavoro mi portava. E, devo dirlo, mi è anche piaciuto questo moderno e confortevole nomadismo.
Adesso però c'è qualcosa che mi pesa, quando ci penso. C'è che i miei genitori sono invecchiati e non sempre stanno bene. Mio padre è già stato operato, è cardiopatico, ha più di settant'anni; mia madre invecchia rapidamente. E ogni tanto li penso, loro due lì da soli, nella casa in cui mi hanno cresciuto pensando solo al mio futuro, e il cuore si stringe a me, e mi pare brutto non poter fare qualcosa per loro, dopo tutto quello che loro hanno fatto per me. Certo, non sono abbandonati: c'è mia sorella, che invece è rimasta a casa e li ha felicemente resi nonni, che si può occupare di loro. Ma se non ci fosse lei, sarebbero guai: perché, purtroppo è così, le badanti costano care e i servizi sociali del comune non sono esattamente un modello di efficienza.
Poi, tornando a me, è vero che ho un posto fisso, ma è anche vero che il mio posto fisso ha meno di dieci anni e che è stato sempre accompagnato da un bel po' di posti mobili. Io ho insegnato nelle scuole private, prima di vincere il concorso nella scuola pubblica; ho lavorato per due università e per almeno una decina di case editrici, ho tenuto centinaia di conferenze e una manciata di corsi di aggiornamento. E poi, sorpresa e godimento degli economisti di ogni ordine e grado, una volta ho anche aperto una piccola impresa, diciamo così.
In realtà era un'associazione culturale, fondata da me e altri due amici: con pochi soldi investiti per affittare qualche locale, abbiamo messo su dei corsi serali sulle discipline che conoscevamo, abbiamo assunto (a contratto) delle altre persone che tenessero altri corsi e abbiamo raccolto iscrizioni a pagamento. Alla fine abbiamo chiuso, dopo quattro anni: non ci abbiamo perso ma nemmeno guadagnato molto, giusto qualche migliaia di euro a testa. Che in quattro anni non è proprio una ricchezza. Ma insomma, quello che intendevo significare è che il mio posto fisso non è stato così fisso e monotono come potrebbe apparire. È stato anche altro, e si è accompagnato con altro; e non so se questo debba rendermi soddisfatto di non essermi annoiato, non lo so davvero.
Perché, ed è questo il punto, non è mica la noia, il punto. Non è la monotonia e non è il lontano da casa, non sono mica queste vane stupidaggini. Il punto, ovviamente, è sentirsi, per quello che si riesce, un po' felici. E né il lontano da casa né l'allegria infinita del cambiare lavoro una volta all'anno, mi pare, hanno molto a che fare con questo: con il sentirsi, per quanto possibile, quel po' felici. Ed è questo quindi il punto che mi lascia perplesso, che mi fa pensare, che mi induce al dubbio, che mi fa storcere la bocca davanti ai giornali squadernati sul mio tavolo o alla televisione accesa in salotto.
Perché pare a me, e può darsi benissimo che mi sbagli, a me pare chiaramente che il Presidente del Consiglio e poi il ministro degli Interni e poi il ministro del Lavoro parlino di tutto tranne che di questo. E che non sia soltanto questione di economia e di tecnocrazia, ma che loro lo pensino davvero: che uno per non annoiarsi debba cambiare davvero lavoro e che per essere un uomo (o una donna) nel senso pieno del termine, debba allontanarsi dalla casa materna. E che chi non lo fa, chi non cambia lavoro e non si allontana dalla mamma, sia, per usare un altro felicissimo termine governativo e tecnocratico, uno sfigato.
Cioè, che non sia una necessità (perché, badate bene, lo so anch'io che, purtroppo, per i venticinquenni, è una necessità; purtroppo), ma che sia una gioia, tutto questo, che sia proprio la ricetta per vivere bene ed essere soddisfatti di sé, e che le altre ricette siano superate, appartengano al passato, che sia «bello» che sia così. E che la felicità sia appunto, secondo loro, questa che io chiamo necessità: lavorare, sbattersi, muoversi, realizzarsi, trovare lavoro, cambiare lavoro, guadagnare qualche soldo in più, andare all'estero, sbattersi, lavorare, stare lontano di genitori, stare lontano dalla fidanzata o dalla moglie (se cambi lavoro, è raro che tu lo possa trovare sempre nello stesso posto) e però fregarsene, dei genitori e della fidanzata, perché la felicità è sbattersi, lavorare, cambiare lavoro, stare lontani da casa, lavorare. Io, insomma, ho il sospetto che lo pensino davvero; e che siano così poveri (mi scuso per l'aggettivo) da pensarlo davvero. E che le gaffes non siano gaffes, ma lapsus rivelatori di un mondo, di un'intimità tutta loro. E questo mi dispiace.
Perché, vi dico la verità, oltre a provare un po' di sofferenza per i miei genitori vecchi e lontani da me, oggi, se arrivasse qualcuno e mi offrisse finalmente il lavoro dei miei sogni a mille chilometri da qui, io gli direi di no.
Perché qui ho i miei amici, perché qui c'è la mia ragazza che non può spostarsi (lavora anche lei, non è mica un bagaglio), perché questa è la mia vita (la nostra vita). Anzi, è la mia felicità. Fatta in parte (piccola) del mio lavoro, e soprattutto fatta dei miei affetti. E io, un po' noioso come sono, devo anche confessare di essere un uomo felice: ora che l'associazione culturale è chiusa, ora che l'editoria è un mondo da cui sono sempre più lontano, ora che di conferenze ne faccio sempre meno, ora che corsi di aggiornamento non ne tengo più. Proprio ora sono molto felice, e mi sento bene. E forse non è nemmeno un caso che io sia così felice: se nel frattempo ho smesso di sbattermi lavorare sbattermi cambiare casa sbattermi eccetera.
E dunque a me non piacciono certe dichiarazioni, siano esse gaffes o lapsus. Non mi piace la miseria (mi scuso per il sostantivo) che ho il sospetto che stia dietro a quelle dichiarazioni, non mi piace l'intimità piccola e asfittica che esse rivelano, mi dispiace per loro, lo trovo triste, li trovo tristi. Li trovo miseri e stupidi. E senz'altro, come qualche mese fa, io penso ancora che abbiamo bisogno di loro, per risollevare un po' i conti pubblici di questo paese. Ma, anche se so che ne abbiamo bisogno, vi dico l'ultima verità, mi stanno pesantemente antipatici, non li ascolto, non li voglio più vedere e sempre più spesso mi scopro a pensare: «Che facciano il loro lavoro, da tecnici competenti come dicono di essere, e che poi si levino dai piedi, che non li voglio vedere più, fuori da casa mia».
Ecco, l'ho detto. I tecnici mi sembrano davvero poca cosa, l'ho detto. Molto probabilmente ne abbiamo bisogno, ma mi sembrano brutti tristi e infelici. E dicono cose che mi fanno quasi ribrezzo: perché tutto sembra lavoro e tutto il resto sembra inutile, mentre tutto il resto sono le persone, i luoghi, gli affetti, l'amore. E allora mi sento uno che ha bisogno di queste persone «tecniche» che gli fanno ribrezzo e non è affatto una bella sensazione: e non so quanto tempo potrò metterci a perdonare noi (la politica, cioè noi) che siamo arrivati al punto di avere bisogno di gente che sembra così brutta, così triste.
(E non mi dite che «almeno sono meglio di quelli che c'erano prima»: questo non è un argomento, questa è solo una conferma del fatto che è colpa nostra.)
Analisi lucida, Scorfano.
RispondiEliminaIo ho cambiato quattro aziende e per un solo motivo: non mi trovavo bene. Ho cambiato anche città una dozzina di volte (e a breve dovrò farlo ancora) e non è mai stato bello ricominciare da capo, tranne quando, appunto, ti trovi male.
Per il resto, posso dire di non aver mai plaudito "i tecnici" prima ancora che si sput... ehm mostrassero di cosa fossero capaci. Sarà sfiducia nella classe politica in generale, non so.
Ho un amico che era destinato a diventare, a scelta, un grande manager o il nuovo Mario Monti. Ha mollato tutto per sposarsi e rimanere dov'era nato. Ne ho un altro all'estero, accademico, che è una delle più brillanti menti del suo campo, e non fa altro che dedicarsi alla ricerca quattordici ore al giorno. Vive solo. Sono entrambi felici, credo.
RispondiEliminaIl rampantismo liberista di questi tecnici può dar fastidio; ma toccano un nervo che bene o male si deve toccare, perché in questo Paese non siamo molto capaci a renderci conto della situazione. Il modello di cui parlano è lo standard in molti paesi esteri. Forse è peggiore, ma probabilmente è inevitabile anche per noi, e la pacchia è finita; e in definitiva credo che Monti e i suoi siano del tutto consapevoli di assumersi il ruolo degli antipatici e meschini, cercando di farci piacere la pillola.
Mi tolgo il cappello e trattengo un sospiro di commozione. Anche io sono lontano dai miei genitori che invecchiano. Grazie.
RispondiEliminail problema del tecnico, che poi è il problema del politico, è semplice: non si può essere esperti di tutto, e appena si esce dal proprio campo si dicono baggianate. Io e te possiamo permetterci il lusso di farlo, perché parliamo tra amici e anche quando non lo facciamo sono ben in pochi ad ascoltarci: loro no.
RispondiEliminaPoi è da capire se è il potere che porta a straparlare, oppure è una cosa automatica.
E' il potere, secondo me. Che porta a credere quello a cui tu alludevi sopra, secondo me: e cioè a ritenere che non siano baggianate, in quanto pronunciate dal potere. Più o meno, eh ;)
EliminaVorrei scrivere un paio di comizi su questo tema, ma ora mi accontento di sottoscrivere tutto quello che hai detto. Due puntualizzazioni:
RispondiElimina1) le persone sono diverse. Come io ho rispetto per chi cambia lavoro ogni sei mesi e guadagna, così, il doppio di me, io vorrei avere lo stesso rispetto e non essere chiamato sfigato. Io potrei guadagnare il doppio e fare lavori di maggiore responsabilità. Ho scelto di non farli per poter rientrare a casa, tutti i giorni, alle 19. Non credo di meritare la medaglia di sfigato per questo.
2) le analisi dei ministri tecnici sono impeccabili, insulti a parte. Le conclusioni sono aberranti. E sono sostanzialmente queste: visto che questo è lo stato delle cose, cari lavoratori e cittadini, adeguatevi. Così sono capace pure io di fare politica. Non ci vogliono competenze particolari né particolare intelligenza. La politica non dovrebbe proporre qualcosa di diverso, di altro, un'utopia, un futuro desiderabile? Certo, siamo esseri imperfetti, miriamo alla luna e arriviamo al massimo in cima alla collina, ma rinunciare anche a desiderare la luna distrugge l'anima. La politica ha rinunciato da un paio di decenni a proporre un'utopia qualsiasi e quando la propone - raramente, tipo la lega - puzza di bruciato lontano un miglio. Non "vola" proprio. E' questo che vogliamo? Appiattirci al reale? Desiderare il meno peggio? Pensiamoci.
ilcomizietto
@Scorfano: è proprio per evitare reazioni del genere che i tecnici parlano solo ai e dei giovani, te a vent'anni via da casa ci sei andato e lo volevi pure. Non si chiede a voi di capire *adesso* l'importanza della mobilità e di essere brillanti, ma ai giovani: reinventarsi continuamente ed essere bendisposti verso il cambiamento, proprio come hai fatto tu ai tempi.
RispondiEliminaRiusciresti a immaginare te stesso senza tutte quelle esperienze?
In realtà, francamente, io ho l'impressione che lo si chieda a tutti, non solo ai giovani. E, in ogni caso, ogni giovane è un giovane diverso dall'altro. E perché debvbano essere tutti come sono stato io e non come è stata mia sorella, questa è una domanda a cui non trovo risposta. (la quale mia sorella, detto per inciso, non si è mai spostata, ha due figli, non ha mai cambiato lavoro e adesso guadagna il triplo di me).
EliminaForse alla fin fine si tratta di interpretazione personale: per come la vedo io, non dicono dovete essere tutti così, ma – male – che non si può essere più tutti cosà. Eh, sì, magari, sarebbe bello, ma al momento non si può. È brutto, ma nel 2012 puntare all'utopia porta al default.
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
Elimina@Omar in questo contesto però andare a definire chi è "giovane" e chi non lo è diventa una operazione retorica abbastanza aleatoria. Quando si è abbastanza giovani per doversene o volersene andare per il mondo a cercar fortuna? E quando si diventa troppo vecchi per essere assunti da un'azienda? A quanti anni si sono acquisite troppo poche competenze, e a quanti troppe per essere competitivi sul mercato del lavoro? E qual è l'eta giusta per poter aspirare a un minimo di stabilità (economica e/o degli affetti) senza che sia considerato socialmente disdicevole da questi signori? Il problema di come fare con l'affitto (con la spesa, con le bollette, con tutto il resto) non è poi così diverso a venti o a cinquant'anni...
EliminaPer evitare ambiguità: con andare via intendevo metaforicamente lasciare il nido (per alcuni può significare cambiare nazione, per altri affittare l'appartamento vicino alla casa dei genitori) e con giovani intendevo quelli che iniziano a lavorare.
Elimina@maria: l'idea è di raggiungere la stabilità economica subito, solo che devi essere disposto a cambiare lavoro, posizione e, all'inizio, anche luogo ogni 5 anni.
@Scorfano: Non dobbiamo essere tutti uguali, però bisogna essere disposti a smuovere le cose e smuovere se stessi. Tua sorella ha fatto una scelta tempo fa, oggi una persona non potrebbe fare quella stessa scelta con la stessa facilità.
Non è impossibile vivere senza contratto a tempo indeterminato, il resto del mondo lo fa da sempre.
Lo so che oggi è molto difficile, lo so bene e aggiungo "purtroppo". Perché quando mi allontanai da casa io era una "scelta" che si poteva anche non fare e che è comunque meglio di un obbligo.
EliminaPoi, sul fatto che non sia impossibile vivere senza contratto a tempo indeterminato, non discuto: immagino che sia assolutamente possibile. Da qui a dire che sia il "bene" (come mi pare che dicano loro, i nostri governanti: è su questo punto che nasce il post), ce ne passa. E peraltro io penso che sia comunque peggio: alla mia età, per me, sarebbe peggio.
caro Prof, questi non sono tecnici, dicono di esserlo ma come vedi sono politici più di quegli che li hanno preceduti. Anzi, quelli erano tecnici ma del malaffare, ma questo non diciamolo perché è vero, è stata solo colpa nostra. Questi sono politici, il guaio è non siamo più abituati a riconoscerli.
RispondiEliminaConcordo su molto. Ma non sul fatto che non sia necessario allontanarsi da casa; tanto che il contrario è una particolarità dolorosamente italiana. Proprio per questo, però, la questione è appunto che non è una questione dei singoli, ma di una società intera che non ha mai accettato, che fatica tuttora ad accettare (e quindi non dà protezioni sociali giuste) questo concetto. A 19 anni si va via di casa. Ecco. Possibilmente non a spese della famiglia. Possibilmente con la possibilità di mantenersi, grazie non all'aiuto, ma alla lungimiranza dello stato.
RispondiEliminaVero. Via di casa, peraltro, non è necessariamente lontano da casa. Se è l'indipendenza, necessaria, di cui stiamo parlando.
EliminaAssolutamente, hai ragione: il mio "allontanarsi" poteva dare adito a dubbi. Diciamo che è necessaria una lontananza psicologica forte (che permette di mantenere la vicinanza emotiva). Proprio perché a 19 anni è uno stacco brusco, (moderatamente) lontano può essere di aiuto. Ma vero è che dipende appunto da quanto è radicata la cosa nella società. Per parlare delle quattro realtà estere che conosco meglio, la tradizione analitica (USA e UK) preferisce il lontano geografico, la tradizione continentale (Francia e Germania) si accontenta della lontananza psicologica. Ma in nessuno di questi paesi, e qui parlo per esperienza diretta (famiglia o ci ho vissuto), si pensa come lontanamente solo plausibile di dormire nel proprio lettino a una piazza nella propria cameretta di bimbo una volta finita la scuola. Chiaro, ci sono appunto lungimiranze sociali che lo permettono. Qui in Italia ho l'impressione che ci sia un serpente che si morde la coda: un'impostazione sociale trita fa sì che le protezioni siano stantie e insufficienti; questo fa sì che le famiglie si sostituiscano allo stato come ammortizzatore sociale; questo fa sì che pochi si rendano conto di questa cosa. E che andare fuori casa sia considerato dai più un'aberrazione (e che le soglie di "quando sarà possibile" comportino appunto posto fisso e mutuo - nessuno dei miei amici in UK o dei miei parenti in USA si è sposato o accompagnato con nessun tipo di sicurezza). Per questo - ma forse lo sai l'ho scritto anche da me - trovo le affermazioni di Martone e le altre molto, ma molto diverse tra loro.
EliminaNon ne ho molta di fantasia Perché credo che l’utopia sia la luce per un domani migliore. Per fare si che questo entri nelle menti va alimentata e credimi faccio molta fatica perché io appartengo alla generazione nata ne l’era fascista dove gli analfabeti erano la maggioranza siamo sopravvissuti al fascismo alla distruzione della guerra ma il sogno utopico non ci a mai abbandonato con sacrificio abbiamo ricostruito L’ITALIA da consegnare hai nostri figli per un domani migliore. L’ignoranza credevamo fosse la nostra debolezza ma i fatti ci hanno smentito Noi senza licenza elementare abbiamo avuto come insegnante l’esperienza che ci ha fatto capire che le ideologie non esistono sono solo create ad arte dalla classe dominante per creare fazioni da sottomettere al proprio volere Ti domanderai ma dove vuole arrivare? Ci arrivo subito al sogno utopico che se venisse coltivato è l’unica salvezza L’utopia unica luce per un domani migliore senza partiti che fanno chiacchiere da 63 anni Utopia per un popolo coeso a l’interesse comune non dei pochi come avviene da sempre con la sparizione di tutto ciò che sino ad oggi ci a ingannato per il loro tornaconto
RispondiEliminaSfruttando credenze politiche e religiose hanno approfittato dell’ignoranza per gettare radici cosi profonde del male da ingannare anche chi ignorante non è
Tutto questo ha fatto il suo tempo per questo più li lasceremo al potere
e più si avvicinerà la fine fa da spia la crisi mondiale creata dalla cupidigia anticamera della fine di tutto
L’unico antidoto è il sogno utopico che diventa realtà rispecchiando cosi il volere di chi ha creato un mondo perfetto Dominato dalla gente più imperfetta che esiste sulla faccia della terra L’utopia è il messia del terzo millennio dove quell’uno per cento che domina il mondo cederà il passo al nuovo privo dell’interesse dei pochi a beneficio di tutto il mondo unito in un solo credo la fratellanza . scusami se ti ho annoiato ma noi ignoranti con pochi vocaboli ci ripetiamo allungando lo scrivere per spiegare il nostro pensiero. VITTORIO
condivido con te... cade il velo finalmente!
EliminaPersonalmente credo invece che si debba ormai andare lontano (e molto lontano se possibile) almeno per un po', nessuno ovviamente vieta di ritornare ma non farlo è, a mio parere, handicappante Il mondo è grande ma anche piu vicino, insomma bisogna abituarsi a pensare a tutte le opportunità a prescindere della collazione geografica; gli altri lo fanno se noi scegliamo di no ci limitiamo (e ci poniamo in una condizione di svantaggio). Tutti i liceali dovrebbero fare la 4 all'estero, tutti gli universitari almeno due anni in un altro paese semplicemente per abituarsi a prendere in considerazione le altre opportunità: i miei non penserrebero mai a cercare un master in tutto il mondo unicamente in funzione della scuola che lo offre ma è semplicemente una questione di mentalità che si dovrebbe cambiare.
RispondiEliminaOk forse qui é spiegato meglio
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9513&ID_sezione=29
Ps sarebbe interessante anche solo guardare gli @IP di chi ha commentato, chisa quanta gente se n’è gia andata da casa
Io ho avuto un curriculum accademico eccellente, sono stato all'estero e tutti (proprio tutti) erano soddisfatti del mio lavoro. Eppure appena ho potuto sono tornato in Italia per sposarmi ed avere figli. Lavoro dalle 8:00 alle 17:00 intensamente e con passione, ma poi dopo c'è la mia vera vita. E' stupido pensare che ci sia solo il lavoro e organizzare la propria vita solo in funzione di quello. Tanto poi, spesso, eventi non controllabili ribaltano tutto e ci si trova con nulla in mano
RispondiEliminanon posso che concordare con te e con la 'povna.
RispondiEliminail lavoro dovrebbe essere uno dei mezzi necessari (ma non sufficienti) per la propria, minuscola, felicità individuale.
il vero problema dell'Italia è che non ci son le condizioni socioeconomiche che rendano possibile una scelta vera, sia per chi vorrebbe la dolce monotonia del posto fisso, sia per chi non vede l'ora di lanciarsi a capofitto in una nuova sfida.
Io cercavo semplicemente di dire che senza aver lasciato casa e l’Italia (anche temporaneamente) non si hanno gli strumenti necessari ad avere le stesse opportunità di tanti altri. Direi quasi che non si è neanche a conoscenza della maggior parte delle possibilità che si potrebbero avere; lo trovo sinceramente un grosso handicap. Non è un giudizio di merito (come dare degli sfigati) semplicemente una constatazione,
RispondiEliminaUn conto e scegliere di ritornare in Italia, un altro e non sapere che boh ci sarebbe un corso d'aggiornamento perfetto all'Aia o il lavoro dei sogni a Johannesburg o semplicmente che un periodo lontano nonè la fine del mondo. L'esperienza sia della mobilità (e nons to parlando dei contratti a temine italiani ma di un certo tipo di carriera professionale piu “dinamica”) che della vita all'estero da tutta una serie di aperture / stimoli che, non credo, sia possibile replicare a casa.
Quindi, concludendo, bisognerebbe "svegliare" un po’ la gente e, più o meno forzatamente buttarla lontano da casa, la scelta dovrebbe essere di ritornare non di non partire tout court. Se poi la realizzazione professionale debba venire dal lavoro o da qualcos’altro sta a ciascuno deciderlo ma un certo tipo di allontanamento e di mobilita professionale rende le persone più adatte a vivere nel mondo di oggi, ogni spinta al riguardo è, a mio avviso, benvenuta.
Caro Scorfano, sei una bella persona. Raro trovarne come te, in rete e fuori. Bellissimo post, grazie di averlo scritto.
RispondiEliminaE tu, cara Giovanna, sei obiettivamente troppo gentile nei miei confronti.
RispondiElimina(Ma, vista l'enorme stima che nutro per te, non te lo nascondo, il tuo commento mi fa immensamente piacere.)
Ci tengo a precisare che ho solamente la seconda Elementare
RispondiEliminaE poca dimestichezza con le parole
scrivo quello che penso senza pretese
cercando di raccontare esperienze fatte
nell'arco della vita
giuste ho sbagliate che siano
ripudiando ogni forma di violenza
in quanto alla Storia io lo appresa dal libro della vita
Cercando di descriverla con le parole di un ignorante di 73 anni
verità semplici non le verità taroccate dei Politologi
che scrivendo falsità nascondono i fatti realmente accaduti
creando ignoranza.
Come possono raccontare la realtà che in gran parte non anno vissuto col sentito dire ?
come avveniva nei racconti degli Eroi della Mitologia man mano che venivano raccontate
si amplificavano tanto da sembrare novelle più che Storia da tramandare ai posteri.
Per quanto riguarda la Storia più recente potreste chiedere ai sopravissuti del ( ventennio fascista e della seconda ( Guerra Mondiale )
confrontando lo scritto col raccontato
conoscereste la vera Storia vissuta dal Popolo
un consiglio ricercatela nel basso ceto sarà la più vicina alla realtà .
Altrimenti dalle Falsità verrà scritta una nuova ODISSEA
per questo io bandisco la falsità ,, crea solo ignoranza,, l’ignoranza crea violenza,, e danni al Popolo.
ho lavorato per 18 anni alla stazione di ( S .M .N) e ciò che descrivo nel post è verità
Anime sospese
le ho viste aggirarsi in tutte le stazioni
in cerca della loro identità perduta
vita vissuta ai margini della dignità imposta da una società malata
Priva di amore verso i più umili che stanchi di lottare si sono arresi
assistendo impassibili alla vita che non gli appartiene più
Vita ricercata nella folla frettolosa schiava del tempo che passa veloce
come fossero automi taluni offrono una moneta
tenendo in vita queste anime sospese condannate a fare da specchio a tutta l’umanità.
( A. VITTORIO)