C’è uno scrittore che qualche anno fa mi ha curato. Letteralmente, dico. Questo scrittore si chiama Raymond Carver e lo conobbi più o meno una decina di anni fa. Se volete vi dico anche il salto che feci: passai da Ernest Hemingway a Carver. Anzi, posso anche dirvelo meglio: Calvino, poi Hemingway e poi Carver e quest’ultimo fu con me così professionale ed educato da farmi dimenticare gli altri due. Stavo facendo noiose ricerche su un bellissimo racconto di Hemingway, “Gatto sotto la pioggia”, quando in mano mi capitò un saggio, di non mi ricordo più chi, che a un certo punto diceva: un racconto, questo, che sarà la cifra letteraria di Raymond Carver. Ecco, vi assicuro che c’era scritto “cifra letteraria”, anche se ora, a pensarci bene, trovo l’espressione bruttina. Cifra letteraria? Vabbè. Insomma, dopo cazzotti, savane, battaglie e bevute lessi un racconto su un gatto che se ne stava sotto la pioggia.
Nella storia c’è una coppia di americani, marito e moglie, che alloggia in un albergo italiano, di fronte al mare. Piove e lei, guardando fuori dalla finestra, vede un gatto sotto un tavolo gocciolante. “Vado giù a prendere quel micino”, dice la moglie. No, vado io, dice il marito che intanto sta leggendo il giornale. Però si capisce che lui non ha mica tanta voglia di uscire. Insomma, vado io, dice lui, no no, vado io, dice la moglie. E il marito allora le fa: “Non bagnarti”. E poi riprende a leggere il suo giornale. Così la moglie scende al pianterreno e al proprietario dell’albergo, che se ne sta vicino al suo scrittoio, dice: “Piove”. Sì, sì, brutto tempo, risponde lui. La donna non fa in tempo a mettere la testa fuori dall’edificio che una cameriera le si avvicina con un ombrello, per coprirla. Che pensiero gentile, vero?
Hemingway non ce lo racconta, ma molto probabilmente il proprietario dell’albergo deve aver detto alla cameriera: segui la signora con un ombrello. Anzi, visto che l’albergatore è molto gentile deve aver aggiunto anche un “per favore”: segui la signora con un ombrello, per favore. Sta di fatto che la signora esce e guarda sotto il tavolo che vedeva dalla finestra della sua stanza. Ma sotto il tavolo non c’è nessun gatto. Lì c’era un gatto, dice lei alla cameriera. “Peccato, non c’è più. Volevo tanto un gatto”. Così la signora rientra e l’albergatore, quando lei passa davanti a lui, le fa un inchino. “Che persona garbata”, pensa la signora dell’albergatore e così, per tutte queste cortesie, lei si sente una persona importante, straordinariamente importante.
Quando la signora rientra nella sua stanza il marito, ancora con il giornale in mano, le chiede se ha trovato il gatto. “No, è sparito”, dice lei sedendosi sul letto. E un attimo dopo la signora si rimette in piedi per sedersi poi di fronte allo specchio della toeletta. E così incomincia a guardarsi di profilo, chiedendo al marito se non gli piacerebbe che lei si facesse crescere i capelli. No, a me piaci così come sei, risponde lui guardandola. “Sei maledettamente bella”, le dice. Ma si capisce che lei è una donna infelice. Lo si capisce anche dal fatto che incomincia a far i capricci, a dire che vuole pettinarsi i capelli all’indietro, farsi sulla nuca un bel nodo grosso e pesante e che vuole mangiare a tavola con la sua argenteria e le candele e che vuole la primavera e poi un gattino.
Sì, un gattino come quello che stava sotto il tavolo gocciolante di pioggia. “Voglio un gatto, voglio subito un gatto. Se non posso avere i capelli lunghi e se non posso divertirmi, posso almeno avere un gatto”. Poi qualcuno, mentre lei fa i capricci, bussa alla porta. “Avanti”, dice il marito. E sulla soglia compare la cameriera tenendo in mano un gatto, con le zampe posteriori penzoloni. La cameriera dice: “Mi scusi, il padrone mi ha ordinato di portare questo alla signora”. E qui il racconto finisce.
Insomma, quello mi sembrò un bellissimo racconto, così bello che lo regalai, trascritto su alcuni fogli, a una persona che chissà cosa sta facendo adesso. E così, leggendo un saggio sui racconti di Hemingway, scoprii Carver. Carver mi tenne a galla in un periodo della mia vita che è meglio dimenticare. Capitano a tutti i momenti bui, no? Ecco, nei racconti di Carver c’erano persone che smettevano di amarsi e che cambiavano casa. E c’era gente che aveva pochi soldi e che aveva una macchina scassata e che per cena mangiava schiacciatine. Io stavo andando giù in fondo quando a un certo punto è arrivato Carver.
E i racconti di Carver mi tennero a galla, allora, non solamente per i personaggi miserabili, le macchine scassate, i traslochi e gli amori finiti ma perché nei racconti non c’era una bella donna in una stanza d’albergo, la pioggia, i vetri bagnati dalla pioggia, un ombrello, uno specchio e l’argenteria e poi le candele. Non c’era nulla di così bello, e irreale, da leggere. Ma c’era, e spero di spiegarmi, un tavolo che assomigliava al mio tavolo e una forchetta che assomigliava alla mia forchetta, un cameriere poco gentile o un albergatore poco gentile e stanze con finestre che non guardavano il mare. E gatti che non stavano sotto tavoli gocciolanti. Che quando piove i gatti non stanno sotto i tavoli gocciolanti. O almeno nella mia vita sotto i tavoli gocciolanti le cose vanno così.
Credo che Carver sia stato per te quello che per me è stato Bukowski.
RispondiEliminaDi Bukowski mi piaceva, tra l'altro, l'avversione per il lavoro, per l'ordine costituito, per quelli con le belle auto e i sabati sera al drive in con le cheerleader. Adoro "Panino al prosciutto", ove narra il suo tormentato rapporto con la famiglia, il suo aspetto e l'adolescenza. Bukoswki era uno che aveva capito come gira il mondo: c'è sempre qualcuno che ti vuole fregare, cercando di convincerti che devi dare tutto te stesso per parole vuote quali patria, società, ideologia, doveri, puntualità mentre poi la vita è sostanzialmente un tirare avanti per arrivare a fine mese, trascorrere qualche momento non proprio felice ma magari dimenticando l'affitto da pagare.
EliminaPiace anche a me. Però lo preferisco di più nelle poesie e quando scrive di solitidine e piatti da lavare. Mi ricordo, ad esempio, una sua bellissima poesia sulla poca voglia di legarsi i lacci delle scarpe. Non ricordo in quale raccolta si trovi, però. E memorabile è quella scena in cui lui entra in bagno, si pettina e poi pensa: "Se solo potessi pettinarmi anche la faccia".
EliminaHank poeta mi manca, per incapacità mia all'epoca, credo. Prima o poi dovrò colmare questa lacuna, ma se dovessi mettere insieme tutte le mie mancanze, verrebbe fuori un muro insormontabile. Così tanto da leggere e così poco tempo, maledizione.
EliminaIl racconto di Hemingway mi ha fatto tornare in mente quando da bambina, durante le vacaze estive, sofrissi un pochino di solitudine e davo il tormento a mio padre affinchè mi comprasse un cagnolino.
RispondiEliminaDi Bukowski ho adorato la raccolta "Sotto un cielo di sigarette e cetrioli" immagine molto evocativa (per un fumatore). Di Carver ho letto solo una raccolta di poesie prestatami da un amico, ma ho serie intenzione di leggere "Cattedrale", me lo consigli Disagià?
"Insomma, quello mi sembrò un bellissimo racconto, così bello che lo regalai, trascritto su alcuni fogli, a una persona che chissà cosa sta facendo adesso".
RispondiEliminaChissà se questa persona si è mai soffermata a pensare quanto fosse prezioso un regalo del genere. Anche io sono solita fare questo genere di doni sull'onda di entusiasmi letterari e non solo, poi a volte mi guardo indietro e mi chiedo se, in quei casi, i due pezzi di puzzle (il mio e quello dell'altra persona) combaciavano o no, e di solito mi rispondo di no.
Comunque tutto questo per dire che, come sempre, è un post da annodamento di budella (= bellissimo).
Ricordo che apprezzò quei fogli scritti a mano. Però secondo me apprezzò non tanto il racconto ma il fatto che le avessi regalato il racconto. Il gesto.
EliminaE poi grazie per le parole, davvero.
Carver sta lì, sul comodino, SEMPRE. Puoi tirarlo su ogni volta che devi riprendere fiato, ogni volta che vuoi fare a fette un pensiero, ogni volta che hai bisogno di una sterzata e ogni volta che vuoi sapere come si fa.
RispondiEliminaCarver dipinge i suoi quadri con una semplicità inarrivabile.
Carver è l'azzurro di Matisse.
e ti avevo linkato questo post...
Eliminaognuno ha una storia con Carver, bisognerebbe scrivere un libro e raccontarle tutte.
Da giovane non leggevo autori americani. Un giorno ho provato Carver.
RispondiEliminaCi sono parole, canzoni, frasi che in determinati momenti della vita risultano salvifici oltre ogni aspettativa. Forse non sempre, e di sicuro non sempre le stesse parole. Carver per me è un racconto di tre facciate che ho letto una sera a primavera, invece di telefonare al mio fidanzato e piangere. Ogni volta che guardo il libro che sta lì sullo scaffale, anche senza aprirlo, mi ricordo della sensazione che mi ha lasciato dentro quella lettura - è una sensazione difficile da raccontare, ma credo possa essere abbastanza simile a quella che descrivi tu, e sinceramente non mi ero mai chiesta se Carver potesse fare lo stesso effetto anche a qualcun altro... pensavo di essere stata ipersensibile io in quel momento, mi dicevo che in fondo è solo un tavolino sotto la pioggia...
RispondiEliminaE comunque il 17 febbraio è la giornata mondiale del gatto...
RispondiEliminaGatti e scrittori, un bel binomio.