martedì 28 febbraio 2012

l'eccezione

di lo Scorfano


Ci sono regole, o anche solo consuetudini, abitudini, comportamenti dati e acquisiti che si suppone non debbano essere differenti da come sono. E poi ci sono eccezioni: che devono essere rare e occasionali, altrimenti diventano regole anch'esse e quindi non erano eccezioni, ma soltanto i dettagli incompresi (da noi) di una regola più grande. E infatti io, da sempre, temo che non ci siano eccezioni ma solo regole più grandi, che noi facciamo troppa fatica a interpretare, e che quindi ci sfuggono, e che quindi chiamiamo eccezioni soltanto per comodità.

Ma non è questo il discorso che volevo fare oggi, comunque. Oggi volevo dire che ci sono regole e consuetudini, atteggiamenti che chiamiamo «normali» e sulla cui ripetitività tutto sommato ci appoggiamo con sollievo. Per esempio è normale (una consuetudine, quasi una regola) che io entri in una classe, che dica «Buongiorno», che compili il registro, che chieda se quanto detto la volta precedente è chiaro, che poi aggiunga: «Avete qualche domanda da fare?» e che infine io faccia lezione, per come avevo pensato di farla. Ma, oltre a questa normalità, esiste anche l'eccezione. E ogni tanto , non so perché, capita che mi venga voglia di entrare in classe, non compilare niente e chiedere ai miei alunni se stanno bene, se sono felici, come va, cosa pensano, se hanno cambiato idea rispetto a qualcosa. E allora succede che io lo chieda, qualche volta: «state bene?»; «siete contenti?»; «come state, ragazzi?»


In genere non ottengo quasi nulla. Al massimo ottengo questo: «A parte la scuola, stiamo bene». Che è una grossa bugia, in realtà, ma siccome fa parte di quelle consuetudini che rassicurano viene anch'essa data e presa come rassicurante. Si fa una mezza risata e tutto va meglio; e in qualche modo tutto ritorna a essere rassicurante come deve. E siamo così di nuovo nell'ambito delle regole, insomma; e nessuna eccezione ha scompaginato niente, e, so che farete molta fatica a crederci, nessuno ha più bisogno della noia delle regole di un ragazzo di sedici anni; perché, è chiaro, nessuno ha più bisogno di sentirsi protetto e rassicurato di un ragazzo di sedici anni.

Un'altra regola naturalmente è che sia io, sempre e comunque, ogni tanto e sotto forma di eccezione, a chiedere a loro come stanno, e non viceversa. È da sempre così: la regola è che loro sono adolescenti, e in quanto tali (spero non vi allarmi troppo il saperlo) sono clamorosamente egoisti, e in quanto tali vogliono parlare di sé non di altro da sé, quando vogliono. Che non è detto nemmeno questo, ovviamente. Ma, badate bene, anche questa è una regola che ha la sua eccezione. E l'eccezione, questa volta, ha anche un nome e un cognome. E il cognome non ve lo posso dire, ma il nome sì; e il nome è Riccardo.

Nel senso che Riccardo, di regola, mi chiede come sto. Io entro nella sua aula e magari sono di cattivo umore per qualcosa e lui, alla fine dell'ora, mi si avvicina e mi dice: «Tutto bene, prof?» E io mi stupisco, perché la regola vuole che a loro non interessi affatto se a me le cose vanno bene o no, e io trovo anche del tutto giusto che sia così. Ma a Riccardo interessa, credo. O forse è stato educato a chiederlo, o forse (ed è quello che in fondo penso) Riccardo vuole saperlo, ne è curioso, si domanda i motivi per cui posso essere più o meno nervoso, più o meno arrabbiato, più o meno felice quel giorno. E Riccardo arriva da me e me lo chiede.

E io, non lo nascondo, le prime volte mentivo. Dicevo: «Sì, grazie, tutto bene», anche se non era vero. Mi dicevo poi che mentivo per proteggerlo, perché è un ragazzo giovane, perché non è a lui che devo dire certe cose. Ma poi ho capito che invece mentivo per un'altra ragione: e cioè perché avevo paura. Perché Riccardo diventava una strana eccezione e le eccezioni non rassicurano: ci sono le consuetudini che sono fatte apposta per quello, per rassicurarci. E io cercavo quella, come spesso fanno loro, come facciamo tutti: cercavo una sicurezza magari solo apparente e banale, ma la cercavo e la volevo, e mentivo per averla. E lo faccio ancora, tante volte, come tutti.

E però Riccardo, devo dargliene atto, non si è mai arreso e ha continuato a chiedermelo; ogni volta che a lui pareva che qualcosa non andasse bene. E così è finita che, piano piano, io ho cominciato a dirgli che qualcosa non andava bene, se era vero. E, per esempio, in questi giorni la voce di Riccardo è una delle voci che con più chiarezza e decisione mi stanno aiutando a non fumare più. Perché lui mi aspetta, ogni mattina, e mi chiede come va, se sto resistendo, se ce la faccio, e poi mi dice: «Mi sembra che vada un po' meglio...» E non è vero, non va un po' meglio per niente. Ma in quel momento, va davvero un po' meglio. Perché c'è qualcuno, un'eccezione, che ti dice che forse va un po' meglio. Il che, alla fine dei conti, è appunto meglio, anche se non dovrebbe esserlo, anche se non si fa così, anche se magari qualcuno dirà che c'è qualcosa di strano in un ragazzo che si interessa di come sta il suo prof...

Boh, non lo so. So che ci sono regole e ci sono eccezioni. E poi ci siamo noi, lì in mezzo. E le regole vanno bene, e anche le eccezioni, solo se fanno stare meglio noi, lì in mezzo: altrimenti non valgono niente, ed era semplicemente meglio che non ci fossero.

12 commenti:

  1. lei ha il potere di portarmi a una diciottina di anni fa, tempo in cui a parte la scuola andava tutto bene.
    mi auguro che a lei, a parte le sigarette, vada tutto bene.

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    1. "a parte le sigarette" è espressione che in questi giorni non ha senso, per me: penso solo a quelle...

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  2. Eccezioni così sono belle. Qualcuno che si interessa a come stai, Scorfano, soprattutto al di là delle regole. Già questo, se ho capito bene, ti fa stare meglio. E' vero, uscire dalla rassicurante routine può spaventare, perché non sai come affrontare qualcosa di nuovo. Per di più rispondere a chi ti chiede se tutto va bene, vuol dire mettersi a nudo, il che può essere pericoloso, soprattutto in un rapporto tra docente e discente. Spero che tu possa dire "Questa eccezione ci voleva proprio", riuscendo a prendere il meglio di questi dialoghi senza troppa ansia.

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  3. Ma Riccardo è un alieno? O il tuo angelo custode travestito da allievo? O è solo meraviglioso?
    Perché invece per i ragazzi i prof sono solo nemici da combattere e possibilmente distruggere? Forse è colpa di noi genitori?
    Capisco che ciò che vuoi esprimere è altro, cioé l'effetto che ha su di te questa eccezione ma è che mi sono messa per un momento nei panni del ragazzo.

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    1. Boh, non lo so. E' anche uno che ha rischiato di perdere l'anno, pochi mesi fa...

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  4. C'è un canzone di Silvestri, il titolo non me lo ricordo. Mi ricordo le parole: a domandarti come stai si corre sempre un certo rischio. Il rischio che risponderai, e questo, sai, non è previsto. È una gran canzone, parola di regole ed eccezioni. Gli hai dato una mano?

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  5. Sono sempre più convinta che mi sarebbe piaciuto averti come insegnante.

    (La qual cosa è impossibile, essendo io più vecchia di te -.-)

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  6. Caro prof,

    mi fa piacere proporti una previsione: l'eccezione chiamata Riccardo in breve tempo, in questo prossimo futuro, cesserà di essere eccezione per diventare la regola.

    Come potranno reagire i professori ad una nuova falange di studenti agguerriti e poco intimoriti da un antiquat...antico timore e reverenza?

    Marco

    P.S.
    Qui nel mondo facciamo tutti il tifo per te, aggiorna il numero delle ore di astinenza, che ci interessa che tu lo faccia.

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    1. (sono 6 giorni e 3 ore, adesso; penso che andrò avanti...)

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)