«Ma che cosa stiamo qui a scrivere?», mi chiedo a volte. E lo chiedo a me stesso, com'è ovvio e com'è giusto, ma anche a molti di quelli che poi vado a leggere, sui loro blog, sui social di nicchia così come su quelli di moda, che ne parlano tutti i giornali. E avrei voglia di chiederlo davvero, non solo a me, ma anche a loro, e con una certa stizza: «Ma che cosa abbiamo di così urgente e imperdibile da scrivere, eh? Ma vi sembra che ci sia qualcosa di imperdibile in quello che scriviamo, eh? Ma vi sembra il caso che continuiamo a farlo, eh?» Non c'è nulla, in realtà, nulla di imperdibile e nemmeno di urgente. Solo qualche battuta, mica altro; solo qualche storia destinata a perdersi in un passare rapido di giorno, alla svelta.
E allora cosa lo scriviamo da fare ? E allora perché non facciamo dell'altro, magari qualcosa di più bello o di più utile? Ecco, sì: a volte ho voglia di dirlo chiaramente a tutti quelli che ogni tanto vengono qui a leggere: «Non venite, datemi retta. Leggete qualcos'altro, qualcun altro. Leggete Sciascia, per esempio; rileggete Manzoni; oppure prendete in mano la Recherche di Proust e dedicatevi a quella, che è molto meglio che perdere il vostro tempo qui; che tanto queste sono solo chiacchiere, futili e passeggere».
Insomma, ogni tanto mi verrebbe davvero da sbraitare contro questo continuo parlarsi addosso del web, dei social, di me e dei miei amici. Perché, ogni tanto, penso che tutto questo vocìo non possa essere indifferente, e finirà per essere dannoso, per toglierci tempo e silenzio, e quindi riflessione e quindi anche forza critica e lucidità e intelligenza.
Ma poi mi pento di averlo pensato; e mi pento di essere così inutilmente severo, quasi subito, con me e con gli altri.
Mi dico, dopo cinque minuti, che è inutile dare spazio a quel po' di nervoso che il vociare del web 2.0 suscita e alimenta; e mi dico, e so che ho ragione, che è più superficiale la polemica contro il vociare del web di quanto non lo sia il vociare stesso del web. Perché è così: perché non siamo qui a costruire verità intramontabili o sistemi filosofici inattaccabili, non siamo qui a raccontarci di vite indimenticabili e irripetibili; non siamo qui a comprendere e studiare il mondo, la politica, la società, gli uomini, i vizi, il valore, la virtù e la conoscenza; non siamo qui a comprendere un bel nulla (anche se c'è chi si atteggia un casino, eh...) e non abbiamo nulla di imperdibile da scrivere; ma scriviamo di quel poco che possiamo, ridiamo un po', troviamo ogni tanto una battuta che funziona.
E siamo qui, alla fine dei conti, soltanto a farci un po' di compagnia, nient'altro. Perché la strada è lunga ed è in salita e quattro chiacchiere, leggere come le foglie 2.0, aiutano a sentire di meno la fatica. E la compagnia, la vostra, mette un po' di allegria nei passi stanchi, nei miei, e fa venire voglia di proseguire, anche domani. È tutto qui insomma: è che abbiamo bisogno, semplicemente, di un po' di compagnia.
Che scriviamo a fare? Basterebbe smettere e ce ne accorgeremmo: le giornate sembrerebbero meno sensate, secondo me.
RispondiEliminaBisogno di compagnia e di dare un senso a quello che abbiamo in testa, memorie della giornata o di anni passati, pensieri vari, sentimenti chiarissimi o da chiarire a noi stessi o da condividere perché sì e non possiamo tenerli dentro...
Guai a voi se smetteste di scrivere, Scorfano e Disagiato!
è vero, davide, per compagnia.
RispondiEliminanon dimentichiamo mai che siamo come i nostri cani: animali di gruppo che vivono isolati in cubetti di cemento.
non ci basta.
:-)
RispondiEliminaInfatti... ;)
EliminaFarsi compagnia... sì, vero. Forse perché la compagnia del nostro privato quotidiano (famiglia, lavoro, amici) non è il teatro adatto per mettere in scena certi nostri pensieri?
RispondiEliminaAnche per quello, probabilmente. E anche perché non se ne ha mai abbastanza, probabilmente.
EliminaQuest'ultima di Luca mi pare colga nel segno. A volte siamo costretti a frequentare persone e compagnie alle quali le sciocchezze sparate sui nostri blog sembrerebbero perlomeno strambe, quando non del tutto malsane. E allora le affidiamo all'etere e a chi, stavolta per scelta, le vorrà leggere.
RispondiEliminapensa che io scriverei anche di più
RispondiEliminascrivere...magari lo facessi agevolmente. Ogni parola è un masso piazzato davanti al pensiero che è sempre più in là e alla fine gliela lasci qualche parola perchè lui, il pensiero, tuo o di qualcun altro, possa giocare a superarle :)
RispondiEliminaQuanto hai ragione!
Eliminaio l'ho sempre detto: scrivo perché mi piace scrivere :-)
RispondiEliminaA me invece, molte volte, costa sinceramente fatica. Però so, per esperienza, che se smettessi mi mancherebbe troppo la compagnia. E allora faccio lo sforzo, anche quando avrei voglia di fare tutt'altro.
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