Due o tre volte l’anno la direzione del centro commerciale organizza un’assemblea parecchio importante alla quale sono invitati a partecipare i responsabili dei negozi o addirittura i titolari (difficile, in questo centro commerciale, che un titolare sia anche un responsabile). L’assemblea, dicevo, è importante perché si discute di quello che è stato e soprattutto di quello che sarà: si parla di ricavi, di perdite, di spese fatte e da fare, di eventi da organizzare, di orari, di ordine, di pulizia, di saracinesche abbassate prima dell’orario di chiusura, di saracinesche abbassate molto ma molto prima dell’orario di chiusura e poi di altre cose che mi sfuggono.
Io, non essendo un responsabile e tanto meno un proprietario, non ho mai partecipato ad alcuna assemblea ma in negozio di queste riunioni se ne parla. Bene, un paio di settimane fa una guardia del centro commerciale è entrata in negozio per consegnarci un documento in cui si diceva che nel giorno x alle ore y si sarebbe tenuta una riunione importante. Lui mi dà il documento, io firmo una sorta di ricevuta e poi, prima di continuare le sue consegne negli altri negozi, mi chiede con fare aggressivo di esserci. Io gli rispondo che no, non ci sarò per il semplice motivo che non sono io il responsabile e che comunque deve stare tranquillo, che la mia responsabile leggerà quel documento.
A questo punto la guardia mi si avvicina e, rosso in volto e con una rabbia ben gestita, mi dice: “Allora devi dire alla tua responsabile che alla riunione deve appoggiare la protesta degli altri negozianti. Sono in molti ad essere arrabbiati per il fatto che il direttore e la sua segretaria non sono mai presenti il sabato e la domenica. Perché noi dobbiamo lavorare e loro no? Se succede qualcosa chi chiamiamo? Vogliono che lavoriamo (e a questo punto la guardia alza la voce) tutte le domeniche? Che allora muovano il culo anche loro! Troppo facile volere aprire il centro commerciale di domenica, mentre si sta in barca. Ecco, devi dire queste cose alla tua responsabile. Che anche lei faccia sentire la sua voce!”.
E mentre dice queste cose, io muovo la testa su e giù, come a dire: “hai tutte le ragioni di questo mondo”, “che sia fatta giustizia”, “buona protesta, questa”. Una volta finito il suo comizio, io gli faccio questa domanda: “Ma quanti sono i negozi che alla riunione faranno emergere questa cosa?”. “Più di quaranta”, mi risponde lui. Più di quaranta. Tanti, tantissimi negozi, quindi.
Alla mia responsabile, qualche ora dopo, le racconto del documento in cui si dice della riunione. E poi le racconto della guardia, della protesta, del direttore e della segretaria che il sabato e la domenica sono in barca (a me questa cosa della barca è rimasta qui, in mezzo alla fronte) mentre noi lavoriamo e della quarantina di negozi che all’assemblea faranno sentire la loro voce su questa cosa. E mentre le riferisco tutte queste parole da socialista rancoroso, lei, la mia responsabile, mi guarda come a dire, “abbiamo ragione”, “che sia fatta giustizia”, “buona protesta, questa”. E poi torniamo alle nostre faccende.
Il giorno x alle ore y la responsabile va alla riunione, che dura circa un’ora e mezza. Una volta finita la riunione lei torna in negozio, io le chiedo come è andata, lei mi parla del volume di affari del centro commerciale, della crisi che ha colpito tutti quanti, della struttura che vuole ampliarsi e rinnovarsi, degli orari che forse cambieranno ancora e poi mi dice: “Di quella cosa del direttore e della segretaria che non ci sono mai il sabato e la domenica non ne ha parlato nessuno”. “Cioè? Nessuno ha tirato fuori il discorso?”. “No, nessuno ha fatto il minimo accenno a questa cosa”. E allora il mio cervello è riandato a toccare quell’espressione della barca: “Troppo facile voler aprire il centro commerciale di domenica, mentre si sta in barca”. La barca. Sempre la barca si tira fuori quando c’è un ricco e un povero, un lavoratore e un nullafacente. E la barca? E i quaranta e passa negozianti arrabbiati che loro in barca e noi no?
Sta di fatto che dal giorno di quella riunione (qualche giorno fa), la guardia passa davanti al negozio senza mai buttare uno sguardo verso di me. Una volta lo faceva, adesso no. Cammina con la sua andatura da guardia che deve stare in guardia senza fare più un cenno di saluto, un sorriso. Nella sua testa deve essere accaduto qualcosa di importante. Magari oggi, invece, passerà davanti al negozio e con la mano mi farà ciao ciao e allora io sempre con la mano gli farò ciao ciao. E magari avrò anche il coraggio di fermarlo per dirgli: “Ma lo sai che nessuno ha tirato fuori quel discorso di cui mi parlavi? Lo sai che nessuno ha protestato per quella cosa del sabato e della domenica?”.
Oppure no, non tirerò fuori questo discorso. Speriamo che lui torni a salutarmi, come sempre. Speriamo che torni l’armonia tra me e lui, che lavorare senza salutarsi non è bello. Ecco, io ho bisogno di armonia. Tutto il resto non mi importa.
Oppure no, non tirerò fuori questo discorso. Speriamo che lui torni a salutarmi, come sempre. Speriamo che torni l’armonia tra me e lui, che lavorare senza salutarsi non è bello. Ecco, io ho bisogno di armonia. Tutto il resto non mi importa.
ma lo sai che anch'io, in mezzo a tutto il resto, oggi ho bisogno solo di un po' di armonia?
RispondiEliminaTutti, penso...
RispondiEliminaDagli tempo, alla guardia. Poi un giorno, quando meno te l'aspetti, ti saluterà di nuovo. Sicuro.
RispondiEliminaMa questa è la guardia fascistona di cui scrivevi tempo fa o mi confondo?
RispondiEliminaUqbal
Verò è che tempo fa scrissi di una cosa simile (riguardava una guardia e la tifoseria bresciana), ma la guardia non è la stessa.
EliminaPero' sono attento, eh?
EliminaU.