martedì 21 febbraio 2012

La rosa dentro il sasso

del Disagiato

La responsabile della libreria per la quale lavoro una volta era una persona fredda ed eccessivamente rigorosa, blindata dal dovere e perennemente priva di ironia. Quando mi fece il colloquio di lavoro capii che c’era qualcosa che non andava (o che a me non piaceva) nel momento in cui lei chiuse la breve conversazione dicendomi: “Ti provo un paio di giorni e poi vediamo”. Quel “ti provo”, sensibile e infantile com’ero, mi ferì a morte. "Devo essere provato come un oggetto?", mi chiesi allora. Non poteva trovare un’espressione migliore di quel “ti provo”? Così la mia prima impressione si costruì su quel primo colloquio e il tempo mi diede conferme e non smentite. In altre occasioni, infatti, si dimostrò dura e antipatica, una persona lontana da qualsiasi forma di gentilezza necessaria per gestire insieme ad altre quattro persone una libreria.

Sta di fatto che dopo "avermi provato", mi scelse. E dopo avermi scelto lei prese ad intervenire ad ogni mio errore e mancanza (ero inesperto, ero lento, ero uno studente che smetteva di essere studente) incominciando una sorta di rimprovero in questo modo: “Il signorino pensa forse di andare così lento?”. Oppure: “Il principessino mi può dire perché non trova il libro per il cliente?”. E io me ne tornavo a casa silenziosamente ammaccato per colpa di quell'apprendistato sporcato dall'umilizione e dalla fatica mentale che, a ripensarci ora, mi sembra un icubo fatto una notte di tanto tempo fa.


Il suo comportamento poco urbano si manifestava, naturalmente, non solo con me ma anche con i colleghi e con certi clienti, quelli che a pelle (per il colore della pelle, a volte) non le stavano simpatici. E poi a lei non piaceva che tra di noi parlassimo troppo, che arrivassimo con troppo anticipo in negozio, che arrivassimo puntuali in negozio, che arrivassimo sorridenti e che arrivassimo seri. Quando le cose andavano bene la sua faccia era seria, quando le cose andavano male la sua faccia era seria, quando usciva dal negozio diceva ciao a bassa voce e quando finiva il suo turno di lavoro diceva ciao a bassa voce. Insomma, spero abbiate capito dalle mie parole quale clima regnava tra quelle mura.

Poi…poi io non so dire esattamente cosa è successo. Un mattino in cui lavoravamo insieme mi si è avvicinata e, con un bellissimo sorriso, mi ha detto: “Aspetto un bambino”. E io non sapendo come comportarmi, non sapendo quanta confidenza ritagliare per l'occasione, devo aver detto qualche parola amputata, pronunciata con chissà quale tono di voce. E da quel momento i suoi lineamenti sono cambiati, e la rigidità si è dispersa e la tensione e i nodi sono scomparsi. Dopo che il bambino è nato, lei è ritornata in negozio diversa. 

Vorrei tanto avere un sostantivo o un aggettivo azzeccato per spiegare quello che è accaduto ma, mi dispiace, non ce l’ho. O forse una parola, assai approssimativa, c’è, ma ho paura di sbagliare: maternità. O mamma, magari. O madre. Una di queste parole deve aver ammorbidito ciò che era duro. Ora c’è una traccia di dolcezza che prima non c’era, gentilezza che prima era sepolta. E forse questa è la maternità. Forse, dico.

E credo che una rosa esiti dentro un sasso, scriveva Franco Fortini in una sua poesia. Ecco, forse (vado avanti a “forse”, purtroppo) molte cose di questo mondo stanno come dentro le pietre e aspettano solamente una crepa, una fessura, un incoraggiamento o un poco di luce per uscire e farsi vedere. Come una rosa che per molto tempo se ne sta, esitando, dentro un sasso.

9 commenti:

  1. Allora è semplice, Disagiato: fai un bimbo anche tu e spunterà la tua rosa dal sasso.

    Scherzi a parte, se la tua responsabile è cambiata è un bene per lei, per voi e per il nascituro, perché ogni bambino, secondo me, arriva con un credito d'amore.

    Come m'è venuta, questa...

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  2. Il fatto è che non sappiamo mai niente delle altre persone, o comunque troppo poco. Magari lei lo cercava da anni questo bambino, magari ne aveva perso uno o più d'uno, magari chissà il suo essere di sasso da quante e quali cose derivasse.
    Però è interessante che tu abbia linkato il post che riguardava i tuoi genitori e i vostri mutismi e reticenze, perché forse per sciogliere un po' di quei silenzi basterebbe pensare che *tu* sei stato la loro rosa dentro il sasso.

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    1. Penso ci sia un equivoco, scusa. Ho fatto un link per sottolineare che già in altra occasione avevo citato il verso di Franco Fortini.

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  3. Per fortuna che il figlio l'ha migliorata, ma le persone di colore adesso come le tratta?
    (quanto della maternità è istinto, quanto desiderio?).

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  4. Penso due cose: aveva un desiderio non espresso e la mancanza di quello che desiderava la faceva nemica di tutto e tutti; ora che ha conseguito l'oggetto del desiderio è cambiata. Non è scontato che avvenga né l'una né l'altra cosa. Cioè: uno può essere una persona positiva anche se tutti i desideri che hai non si avverano; e uno può rimanere una merda anche se tutti i tuoi desideri si avverano.

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  5. Condivido pienamente quanto detto da Palmy.

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  6. Penso una cosa che ho sperimentato più volte: il lupo perde il pelo ma non il vizio! La signora in questione come reagirà quando qualcosa d'altro nella sua vita non andrà proprio come avrebbe voluto?
    Ho l'impressione che sia di quel genere di persone che si rivale con cinismo sul prossimo quando ha qualche problema...
    Certamente il mio augurio è comunque che non accada mai!

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  7. Non conosco nessuna donna che non sia cambiata dopo la maternità, per la maggior parte delle volte in meglio.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)