mercoledì 23 maggio 2012

Uomini soli

del Disagiato

Un paio di sera fa ho visto in televisione un programma-documentario di Carlo Lucarelli sulle battaglie condotte contro la mafia dai magistrati Giovanni Falcone, morto il 23 maggio 1992, e Paolo Borsellino, morto 57 giorni dopo e cioè il 19 luglio 1992. Uomini che hanno fatto tanto per la Sicilia e per lo Stato ma, come avrà detto una ventina di volte Carlo Lucarelli durante la trasmissione, uomini a un certo punto della loro esistenza rimasti soli, lasciati soli, abbandonati. Da chi? Dallo stesso Stato, dalle varie istituzioni, da quelli che una volta erano colleghi e amici. Perché? Perché sapevano, perché si stavano avvicinando, sigaretta dopo sigaretta, alla verità. E i due, infatti, muoiono a 57 giorni di distanza, numero, il 57, che sta anche nel titolo di un film per la televisione trasmesso ieri sera che si intitola “Paolo Borsellino, i 57 giorni”, in cui si parla della morte di Paolo Borsellino, magistrato che, e lo si capisce anche dai pochi spezzoni che ho visto, a un certo punto si sente solo e abbandonato.

Pochi giorni fa, tanto per ritornare alla solitudine, in libreria è anche arrivato sugli scaffali il libro della sorella di Giovanni Falcone, “Giovanni Falcone un eroe solo”, e sempre pochi giorni fa per il Post Filippo Facci ha scritto un articolo (a me, ultimamente, Facci piace tanto, chiusa parentesi) sulla distanza presa da Leoluca Orlando nei confronti di Giovanni Falcone. Orlando, riassumendo, vuole diventare l’unico paladino dell’antimafia e per questo, come un carro armato, intraprende una campagna denigratoria nei confronti del suo ormai ex amico ed ex collega Giovanni Falcone, lasciandolo solo, isolato e, aggiungo io, in preda alla vulnerabilità. Uomini soli, quindi. E sentendo, in queste ultime settimane, pronunciare così tante volte la parola “solitudine”, mi è ritornata in mente la vicenda di Renato Candida che era un generale dei carabinieri siciliano che pubblicò, nel 1956, un libro sulla mafia che si intitola Questa Mafia.

In questo libro Renato Candida afferma che esiste una cosa chiamata Mafia nel momento in cui le autorità negano l’esistenza della Mafia. Certe cose, per colpa dei tempi che sono cambiati, oggi è difficile apprezzarle e afferrarle del tutto e si finisce quindi per ritenerle scontate. Poi Renato Candida in questo suo libro fa una cosa speciale e cioè trova dei collegamenti tra politica e mafia ed economia e mafia. Ecco, non è stato Roberto Saviano il primo a dire che le mafie stanno anche là dove si possono fare affari, ma è stato, prima di lui e in anni ben più oscuri e claustrofobici, Renato Candida. Renato Candida per colpa di questo libro viene lasciato solo. Ma come, ci si dice, un carabiniere che si azzarda a scrivere libri e a ragionare sulla figura del mafioso? Renato Candida venne per silenziosa punizione trasferito nella sua Torino: un uomo lasciato solo e abbandonato dalle istituzioni. Sapeva troppo, ficcava il naso dove non doveva ficcarlo.

Leonardo Sciascia scrive di lui sui giornali e scrive pure una prefazione a Questa mafia. E qui comincia il bello e cioè uno strano gioco delle solitudini. Nel 1961 Einaudi pubblica un libro di Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, in cui è il capitano Bellodi, uomo non capace di comprendere e accettare l’omertà che serpeggia tra i siciliani, a intraprendere le indagini che innervano il romanzo. Ecco, dopo l’uscita del giorno della Civetta il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che in quegli anni si stava impegnando contro Cosa nostra, si rivide nel capitano Bellodi; e anche i lettori e i critici presero ad affermare che Bellodi era Dalla Chiesa. Pure Wikipedia scrive che per il protagonista del romanzo, il Capitano Bellodi, Sciascia si è ispirato a Dalla Chiesa. Niente di più falso. Se invece di musicare su youtube i monologhi e le interviste di Sciascia noi leggessimo i suoi libri scopriremmo che per il capitano Bellodi lo scrittore si è ispirato a Renato Candida, uomo lasciato solo.

Sciascia lo dice chiaramente in un articolo pubblicato per La Stampa l’11 novembre 1988 e lo scrive anche tempo prima in altri articolo che potete trovare in rete o, meglio raccolti, in uno splendido libro di Sciascia che si intitola A futura memoria (se la memoria ha futuro) : "Non solo per Il giorno della civetta, ma per ogni mio racconto in cui c'è il personaggio di un investigatore, la figura e gli intendimenti di Renato Candida mi si sono presentati alla memoria, all'immaginazione" (La Stampa, 11 novembre 1988); "Che il generale si identificasse in quella figura, mi faceva piacere e mi pareva un fatto assicurante. E mi pareva inutile ristabilire la piccola verità che allora, nel 1961, io non sapeva dell'esistenza di Dalla Chiesa e che, se mai, a darmi l'idea del personaggio era stato il maggiore Renato Candida" (L'Espresso, 20 febbraio 1983). Più chiaro di così non si può.

Scusate se l’ho fatta lunga ma è a questo punto, e questa volta per davvero, che tutti cominciano a sentirsi soli. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa viene ucciso, nel 1982, dalla mafia e da quel momento in poi si dirà di lui che era stato lasciato solo dalle istituzioni. Il suo funerale fu un funerale non senza contestazioni e l’unico ad essere risparmiato dai fischi fu il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. La figlia di Dalla Chiesa, Rita, non volle le corone di fiori della Regione Sicilia. Intanto Leonardo Sciascia scrive che Dalla Chiesa, a differenza di Renato Candida, non aveva capito esattamente quali fossero i meccanismi e gli ingranaggi che muovevano la mafia. Scrive, poi, (trovate tutto quanto sempre nel libro A futura memoria) che anche Pertini non aveva capito un bel tubo della mafia e scrive anche che il fenomeno del pentitismo non può che portare scompiglio e caos nei palazzi dove lavorano i magistrati e giudici: i pentiti, dice Sciascia, moltiplicano le piste da seguire invece di ridurle e ciò non può che portare all'arresto di chi colpevole non è (vedi l'arresto di Enzo Tortora e vedi, per quanto riguarda il brigatismo, l'arresto di Adriano Sofri).

Risultato? Il risultato è che Sciascia comincia a sentirsi un uomo solo tra uomini soli. Il figlio del generale, Nando, afferma con dolore e rabbia che hanno abbandonato il padre e ora, dopo la sua morte, anche un intellettuale come Sciascia sta sporcando la sua immagine, la sua memoria. Sciascia ribatte che è lui che si sente abbandonato dagli intellettuali e dai giornalisti (dopo le critiche di Scalfari, di Bocca e di Pansa che non sto qui a raccontarvi, altrimenti facciamo notte), che si sente insultato dalla famiglia Dalla Chiesa e che non si sente ascoltato dal Presidente della Repubblica Pertini al quale aveva posto delle domande e richieste importanti (un intervento a favore di Tortora, per dirne una). Domande che non riceveranno mai risposta e che porteranno Sciascia a scrivere queste parole: "Non mi aspettavo che Pertini mi rispondesse di essere d'accordo e mi promettesse di intervenire nel senso che io auspicavo, ma che almeno mi desse un cenno di aver ricevuto la lettera. Il più assoluto silenzio, invece". La solitudine dello scrittore siciliano si fece ancora più palpabile e pesante dopo aver palesato qualche dubbio sul modo in cui Paolo Borsellini (uomo che presto si ritroverà solo e abbandonato) prese a ricoprire il ruolo di procuratore della repubblica a Marsala. 

Così, mentre guardavo il programma di Carlo Lucarelli, pensavo che se si approfondiscono meglio certi legami e certi avvenimenti si scopre che siamo tutti uomini soli. Certo, c’è chi se la gode. C’è chi muore o va in miseria per le troppe feste, per l'eccessiva compagnia, per la poca solitudine. Ma prima o poi, statene certi, si dirà che questi uomini festaioli andavano alle feste perché erano uomini infelici e soli. Siamo stati capaci di dirlo anche di Silvio Berlusconi. Insomma, gli uomini che stiamo mitizzando erano uomini lasciati soli da altri uomini lasciati soli. Chiudo così: siamo in tanti a essere soli.

14 commenti:

  1. Grazie. Grazie per avermi fornito tanti spunti di riflessione in un solo post. Grazie davvero. È che poi ciascuno si ritira nella sua solitudine e dimentica di approfondire la storia di questo disgraziato Paese.

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    1. Mi unisco al ringraziamento e credo che rileggerò il post ancora, per non perdermi nessuno degli spunti ricevuti.

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    2. A questo punto ringrazio io voi di aver letto un post così noioso e per certi versi approssimativo.

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  2. ottimo il programma di Lucarelli

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  3. Grazie per il ricordo di Sciascia, era da tanto che non ne sentivo parlare. Mi manca tanto.

    (ti segnalo un piccolo refuso: "ha intraprendere" --> "a intraprendere")

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    1. (ho corretto io il refuso; grazie, Giuseppe)

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    2. Ringrazio per la segnalazione e ringrazio per la correzione.

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  4. ero si viene a scoprire che erano stati lasciati soli da uomini soli...

    ma ci vuol tanto a dire che erano stati lasciati soli dai CITTADINI,
    che erano stati lasciati soli da quelli che dovevano difendere,
    che erano stati lasciati soli da una da una popolazione di conniventi,
    da gente che , che tutti , ma proprio tutti, avevano e hanno almeno un parente invischiato in quello schifo.
    Questa è una nazione di pecore pronta solo a trovar scuse.

    e scusatemi lo sfogo

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  5. Bellissimi spunti di riflessione. Ne abbiamo davvero bisogno, anche per sentirci un po' meno soli.
    Grazie. Te lo scrivo da meridionale. Grazie, grazie, grazie.

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  6. Anche perché Sciascia aveva parlato di Borsellino come uno dei "professionisti dell'antimafia", lasciando intendere che si dedicavano a combattere la mafia per carriera, o per diventare dei simboli o... non so, non ho mai capito bene questa cosa, so che quando l'ho letta ho provato sconforto, perché di Sciascia adoro molti libri, e però Falcone e Borsellino, insomma, dai...
    http://www.italialibri.net/dossier/mafia/professionistiantimafia.html

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  7. Sciascia non criticava Borsellino ma criticava il Consiglio superiore della magistratura che aveva falsato, a suo dire, il concorso per diventare procuratore. Sciascia era anche nemico dell'intoccabilità della magistratura e della loro immunità in caso di arresto o giudizio sbagliato. Criticava l'utilizzo dei pentiti perché, sempre a suo dire, i pentiti mentivano o depistavano (interessantissime le pagine di Sciascia sulle parole in aula di Buscetta). Ecco perché i "professionisti dell'antimafia" (Borsellino no; capì subito cosa Sciascia pensava e intendeva), alcuni noti giornalisti e intellettuali lo accusarono, e non esagero, di stare dalla parte della mafia.

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  8. Non "della loro immunità" ma semmai "della sua immunità" (della magistratura). Scusa

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  9. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  10. Pensavo fosse dello Scorfano, questo post (non avevo fatto attenzione alla firma). Invece era tuo: molto interessante. Condivido tantissime cose, specie il brano sull'inutilità dei pentiti.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)