lunedì 14 maggio 2012

gli effetti dell'alcol

di lo Scorfano


Mi è di nuovo capitato, quasi per caso e a mia insaputa. Mi è di nuovo capitato di partecipare a un «incontro». Anzi questa volta nemmeno la parola «incontro» bastava più: perché questo era un episodio di peer education, «educazione tra pari», un brevissimo spettacolo in cui alcuni studenti diciassettenni del liceo raccontavano qualcosa a tutti gli studenti quindicenni del liceo, «tra pari» appunto. Una di quelle forme di trasmissione del sapere che piacciono molto al ministro Profumo, e su cui insiste ogni volta che abbiamo la dolce ventura che egli venga intervistato. Io invece ho assistito qualche giorno fa a questo episodio di «peer education» e l'ho trovato imbarazzante.

È forse anche inutile che vi spieghi esattamente di cosa trattava: in realtà era semplicemente un invito a non consumare alcol; era l'idea (giustissima) che l'alcolismo non sia una piaga sociale da sottovalutare; era un memento su quanto l'alcol possa far male quando si è giovani. E c'erano questi ragazzi sul palco che urlavano parole, che ripetevano slogan, evidentemente imparati a memoria,  ma con grande convinzione e partecipazione. E c'erano delle persone (qualificate) della nostra Asl che li imbeccavano quando si dimenticavano qualcosa; c'erano parole ripetute dal palco della scuola come se fossero dei mantra, come un rosario, come la litania degli orapronobis di qualche decennio fa. Ed è stato lì che forse ho capito e che mi sono sentito un po' in imbarazzo, per l'Asl e per me.


Ho capito che è lo slogan, il punto. Che al centro della peer education [scusatemi l'espressione: così va il mondo in questo secolo vigesimoprimo] c'è proprio lo slogan, e non per sbaglio. Perché lo slogan è facile ed è mnemonico e resta in testa; perché lo slogan va dritto al punto senza spiegare niente, perché lo slogan non convince nemmeno: semplicemente strega, come un noto liquore, infatti. E invece, le spiegazioni sono noiose, i ragionamenti sono noiosi, il pensiero articolato rischia di essere davvero noioso. Ed è forse di questo che si parla quando si dice che la scuola non deve più essere noiosa: che non deve più ragionare ma urlare slogan, scandire slogan, recitare slogan tra pari. Come Beppe Grillo? Sì, un po' come Beppe Grillo in effetti.

Perché lo slogan sa essere appiccicoso e suadente, in modo facile, in modo facilissimo. Mentre ragionare, articolare il pensiero, spiegare cosa accade e perché: tutto questo è assai più faticoso e noioso. E la noia (e con essa la fatica, ovviamente) sono cose brutte, meglio evitarle, lasciamole stare dove sono, dove le abbiamo cacciate, in un angolo della nostra vita collettiva che deve essere solo gioia e puro e spensierato intrattenimento.

Sto esagerando, lo so. Lo sto facendo in parte apposta, in parte per darvi un po' di fastidio. Non è vero che tutto sia per forza così, lo so (nemmeno l'altro giorno è sto proprio tutto così: sto volutamente esagerando anche questo). Esistono modi di insegnare a ragionare che sono meno noiosi di altri, lo so benissimo: ed è su questi che dobbiamo puntare. Ma quello a cui sto assistendo io negli ultimi anni dentro la scuola italiana non è quello che avreste voluto dirmi voi, non sono questi metodi: è tutt'altro. È piuttosto il trionfo della facilità e dello slogan, l'esaltazione della superficialità, il canto stonato di una verità troppo comoda e facile per essere anche vera.

I ragazzi, a quindici anni, possono essere facili prede dell'alcol, lo so. È giusto dire loro che facciano attenzione, che siano moderati (ma la moderazione a quindici anni, voi riuscite a immaginarla?), è giusto dire loro che queste cose esistono. Ma se lo si fa tramite gli slogan e gli urli e le risate da divertimento scemo, ho paura che molta di questa giustizia svanisca. Perché li si sta trattando da dementi, in realtà; da semplici utenti di slogan e di servizi e di consumi: non da persone responsabili, in grado di pensare e scegliere.

Poi loro sono bravi quindicenni e alla fine dello spettacolo urlato applaudono festanti: ma è solo apparenza, però. Perché quello che chiedono è esattamente il contrario: di essere trattati da persone che possono scegliere, che sanno scegliere, che sanno ragionare prima di scegliere e che proprio per questo non sceglieranno di guidare ubriachi: perché sono intelligenti, non perché sono dementi. Applaudono, ma non sono felici di farlo. E usciranno e si sentiranno trattati da scemi, da persone non in grado di capire. E non è così che si abituano i ragazzi a fare le loro scelte: così li si abitua soltanto a non pensare. Che è uno degli effetti dell'alcol, alla fine.

11 commenti:

  1. Scorfano

    Quel che tu dici sulla scuola italiana è vero. Ma è così da sempre. Il punto non è la peer education, che è una cosa molto seria, ma l'idea che le idee (peer education, cooperative learning, attività motivazionali, tutto quello che si vuole) possa essere calato dall'alto.
    Il ministro dice, l'insegnante dispone. E' una follia, per il semplice fatto che si pensa che un'idea astratta possa essere calata su decine di migliaia di scuole come se fossero tutte uguali e in cui lavorano centinaia di migliaia di insegnanti che dovrebbero reagire tutti allo stesso modo.

    Non prendertela con la peer education. Poteva anche essere la maieutica di Socrate (ah, le parole straniere...non potevamo dire ostetricia?), ma tirata sulla testa degli studenti come un sasso sarebbe risultata insulsa lo stesso.

    Al centro della peer education, cosa seria, non c'è uno slogan. Nel derubricare con un'alzata di spalle una possibilità didattica serissima ti stai creando TU un alibi comodo per evitare di cambiare. Lascia perdere le stronzate del ministero, cerca di applicarla tu da solo, la peer education, e vedrai se non ci sono fatica ed impegno...

    Perché il rischio è che tutti questi discorsi sui metodi introdotti dal ministero altro non siano che la scusa comoda per non cambiare mai un accidente. Tu non li hai avuti mai quei colleghi che stanno tranquilli e contenti e cominciano ad alzare altissimi lai di umanistica protesta solo quando si accorgono che devono confrontarsi con qualcosa di nuovo o minimamente impegnativo.

    Per quanto riguarda l'alcool il discorso è semplice: non si otterrà mai nulla, peer o non peer, finché non si avrà il coraggio intellettuale di ammettere che sbronzarsi è bello. Perché se ai ragazzi gli racconti il contrario, si renderanno subito conto che gli racconti favolette edificanti. Sbronzarsi è bello. E ammazza.

    Uqbal

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    1. Tu non li hai avuti mai....impegnativo? (mancava il punto di domanda)

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    2. Uqbal,

      non si potrebbe anche scrivere che agli studenti (ma più in generale anche a tutti gli esseri umani) non si potrà chiedere di cambiare atteggiamento mentale o abitudine al bere fino a che non si racconterà a tutti loro che esiste qualche cosa di bello e di migliore dell'ebrezza data dall'alcol?

      Sbronzarsi è bello ed uccide (lentamente o tutto d'un tratto) ma fare altre cose diverse dallo sbronzarsi è meglio.

      Il bello e l'impegnativo di genitori ed educatori è quello di proporre (anche con l'esempio e non soltanto ex catedra e in teoria) questo "meglio" che il consumismo e il capitalismo e il materialismo hanno nascosto.

      Marco

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    3. Marcolino

      Lo so anche io che c'è di meglio a 'sto mondo che sbronzarsi (sono quasi -quasi- astemio, peraltro). Ma il senso di ebbrezza, i freni inibitori che partono, l'eccitazione, il senso di comunanza legati alle ubriacature li ho provati, e non escludo di riprovarli. Solo che io sono un adulto che si sa regolare.
      Un ragazzino guarda a tutto questo come ad un'avventura epica, in cui anche gli aspetti peggiori diventano mito: "Ragazzi, ieri mi sono distrutto!" è una frase che trasuda compiacimento. Credo che Freud chiamasse tutto questo "pulsioni di morte". Ti sei distrutto ma sei stato più forte della distruzione e tiri avanti con soddisfazione.
      Qualsiasi predica, quindi, non ottiene che il risultato contrario. Se si vuole parlare coi giovani bisogna essere completamente onesti, anche se significa portare alla luce i nostri lati oscuri.
      Non c'è bisogno di tirare in mezzo il capitalismo ed il materialismo (ma sempre 'sti due? Peggio degli influssi astrali!), ma semplicemente il fatto che i ragazzini, oltre a quanto detto, vedono che l'alcool è una cosa da adulti che richiede fibra da adulti...e loro vogliono essere adulti.


      U.

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    4. Uqbal,

      non sarà che i ragazzini, loro, vogliono essere gli adulti che falsi maestri (la TV, la pubblicità, la spectre mondiale) propongono come "adulto vero"?

      Non sarà che i contro-modelli sono venuti un poco a svanire?

      Ho un sospetto: chi ci guadagna da questo stato di cose?

      Marco

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    5. Oh, grazie, ci mancava solo il complottismo...
      Cmq: tutto quello che vuoi, ma il punto rimane. Come si fa a farli ragionare senza che ti diano la ragione dei matti?
      Ripeto: non mi devi convincere che bere fa male e che i ragazzini sbagliano.

      U.

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  2. Scorfano, gli slogan sono mortificanti ed è vero.

    Il fatto che siano così essenziali nella società odierna è però normale. Viviamo in un mondo in cui siamo bombardati da mille informazioni al minuto, ed è naturale che quelle che risaltano di più siano proprio quelle lapidare, istantanee, che catturano subito l'orecchio e ti restano in testa.

    Il problema è quando agli slogan non si accompagna la spiegazione. O le proposte. Nel caso di Beppe Grillo, che mi aspettavo citassi, secondo me qualche proposta è stata accompagnata agli slogan. Gli slogan si possono usare quando servono a veicolare un'informazione più accurata. Si tratta in qualche modo di sfruttare a proprio vantaggio i meccanismi della società dell'informazione.

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  3. Questa potrebbe essere una metafora
    della scuola italiana:
    docenti che non possono più far altro che
    imbeccare studenti-consumatori, ormai
    di svariate sostanze.
    Tra queste, non l'idealismo umanista.
    Che invece potrebbe aver intossicato tutti noi.

    mapuche.

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  4. Scusami Prof ma poi questo ripetuto "slogan" durante il peer information qual'era? Hai fatto nascere la curiosità di saperlo, questo slogan tritato e ritritato dagli interventi gridati (!) dei ragazzi di due anni più grandicelli ai loro "pari" di due anni più giovani.

    Come anche scrive Mr. Tambourine anche io sono dell'opinione che la grande parte degli slogan usati da Beppe Grillo contengano al loro interno un approfondimento di già avvenuto (nel blog online) e che nei grandi incontri peer information (i comizi nelle piazze) non potevano naturalmente essere riferiti pari-pari alla platea presente per mancanza di tempo e per difficoltà nella condivisione spedita.

    Penso anche che tutte le tradizionali forze politiche fanno grande uso di slogan (non soltanto questi ultimi resi famosi da Beppe): vedi per esempio proprio il termine divenuto slogan di "antipolitica" che a mio parere viene riferito e diffuso proprio da coloro che (sempre a mio parere) ne sono ormai da tempo protagonisti.

    Marco

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  5. Concordo con Uqbal. La peer education è una cosa molto seria, che, esagerazione o meno, non c'entra nulla con lo spettacolo teatrale che tu descrivi. E la peer education, peraltro, è il contrario degli slogan. Ed quello che grazie al cielo gli studenti continuano a fare ogni giorno. Nonostante i ministri. Nonostante noi.

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  6. Ho avuto un'esperienza di peer education molto diversa. Anni fa. Progetti che durano mesi, che coinvolgono più linguaggi dall'uso della telecamera al montaggio, con produzione di video informativi che pur utilizzando slogan o scorciatoie comunicative erano di gran lunga superiori alle scorciatoie comunicative della pubblicità progresso ministeriale.
    Però ho capito che hai esagerato apposta, eh

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)