Mi piacciono gli alunni che parlano, da sempre. Che dicono quello che pensano, anche quando non è scontato che lo pensino o quando è chiaramente diverso da quello che penso io, e che loro sanno che io penso. Mi piacciono gli alunni che quando li chiami e chiedi loro: «Cosa stai dicendo?», non rispondono «No, niente», come la stragrande maggioranza degli alunni fa, ma anzi dicono quello che stavano dicendo, che non è mai cosa facile; oppure inventano sul momento un'altra qualsiasi cosa, che a me va bene lo stesso.
Ma, più in generale, a me piacciono le persone che parlano, e soprattutto quelle che usano le parole non per scontrarsi, non per difendersi, non per costruire una trincea che li protegga dagli altri (come fa troppo spesso anche il silenzio), ma per il contrario. La parola come incontro, direi, se non mi suonasse un po' stucchevole il dirlo. La parola come possibile ponte, tra me che parlo e te che ascolti; o, meglio ancora (per me), tra te che parli e me che ascolto.
Mi piace in genere ascoltare, che è un'altra misura del leggere (ed è per questo, infatti, che mi piace). Ma ascoltare mi piace ancora di più; mi piace pensare che l'incontro e l'ascolto siano i due occhi della cultura, magari miopi, magari indeboliti dal tempo che è passato e dal cinismo che li ha molto a lungo abbacinati, ma pur sempre i suoi occhi. La cultura, o la civiltà, o semplicemente (e banalmente) (ma mica tanto banalmente) l'umanità, come preferite.
Mi piacciono gli alunni che parlano di se stessi e che raccontano il loro mondo e la loro cultura, infatti, perché per qualche secondo fanno tacere la mia voce, mi costringono ad ascoltarli e questo, lo so, mi fa bene. E infatti ho amici che parlano molto e molto a lungo, almeno con me. Amici il cui uso delle parole è sempre limpido e corretto, una forma di onestà, un tentativo di incontrare me (e anche gli altri) senza troppi infingimenti (è vero che anche le parole sono spesso infingimenti; ma si può anche fare a meno che lo siano, tentare, diminuire la finzione il più possibile, si può: i miei amici lo fanno). Non ho altri amici che non siano questi, se ci penso.
È uno dei motivi, questo delle parole dette con limpida trasparenza, per cui il Disagiato, per fare un esempio a caso, è un mio amico. Perché, io lo so (e lo sapete anche voi, che lo leggete), lui è uno che non usa le parole per fare finta, per fare il brillante, per pretendere un'intelligenza o una spregiudicatezza da supermercato, pronta per essere impacchettata e venduta a chi fa l'offerta migliore. Ecco, ce ne sono tanti così, brillanti in 140 caratteri spazi inclusi, intelligenti come se l'intelligenza fosse un barattolo da fighetti sul bancone dell'ipercoop, pronti con le parole come se le parole fossero proiettili di una pistola, ce ne sono talmente tante di parole pronunciate così: ma lui no, lo posso garantire... E nemmeno ce n'è bisogno, perché lo leggete e lo sapete. E i ragazzi a scuola nemmeno, perché sono giovani: per questo mi piace quando mi parlano e mi raccontano il loro mondo, le loro idee.
E quindi continuano, anche se gli anni mi passano sopra e mi schiacciano, continuano da sempre a piacermi le parole dette con la forza di chi non si nasconde più, perché sa che non ne vale affatto la pena, né di proteggersi né di fingere; perché non coltiva più l'illusione della sua forza o della sua intelligenza, perché sa che non c'è niente che sia più debole e stupido che nutrire queste due illusioni, la forza e l'intelligenza. E nutrirle con le proprie inutili parole, per di più.
Mi piacciono pertanto tutti (alunni e non) quelli che parlano senza nascondersi, usando parole limpide, per costruire ponti e non per avere ragione o fare guerre o essere meglio. Mi piacciono molto perché so che è difficile e costa molto impegno farlo. Perché so che essere intelligenti di parole è molto meno difficile e impegnativo; e che avere ragione con le parole è semplicemente da stupidi. Ed è avere torto.
E mentirei se dicessi di avere fatto e di essere sempre stato così: in realtà ho passato anni in sdegnoso silenzio e altri anni a usare le parole per difendermi o per attaccare, con violenza, come fanno tutti, o quasi tutti; o per fare finta di essere furbo come fanno altri, o per avere ragione sopra di voi, come abbiamo fatto in molti. Forse è per questo che non mi piacciono più quelli che fanno così: perché so a cosa assomigliano.
Trovo questo post "vero". E sì che ai post "veri" ci hai abituati. Grazie, Scorfano!
RispondiEliminaGrazie a te;)
EliminaAscoltare è ancora più difficile che parlare con limpida trasparenza, è un mestiere in cui si può migliorare ma che non è mai finito.
RispondiEliminaSai che ti invidio? Ti invidio perché fai il lavoro più bello del mondo.
Anche se bello è una parola così trita, qui non ce n'è un'altra da usare.
Io temo che ascoltare sia difficile perché chi parla non è limpido. Quando chi parla è limpido, ascoltare (così è per me) diventa facilissimo...
EliminaAlla fine dell'ultimo anno di liceo la mia professoressa di italiano regalò una cartolina ad ognuno di noi. Per salutarci a modo suo, disse. Dietro c'era scritto: "Con la speranza di averle fatto intravedere che la cultura è comunicazione e ascolto". Conservai quella cartolina con cura, ci ragionai, la gradii, sì, ma non capii subito. La conservo ancora oggi e il messaggio, scritto a mano sulla mia come su quella di altre venti persone, mi pare denso nella sua brevità.
RispondiEliminaOggi mi scopro a fare cose simili, con studenti un po' più grandi e tutti stranieri, per esempio scrivendo brevi lettere alla fine del corso, o regalando un segnalibro a ciascuno. Sorridono, sorrido anch'io.
Oggi leggo post come i tuoi e quelli del Disagiato, e, non so, mi sento contenta.
Io invece ho studenti che, quando chiedo loro, per cortesia, PER CORTESIA, di non chiacchierare perché sto spiegando qualcosa e vorrei l'attenzione di tutti, mi dicono "No, prof., stavamo parlando del compito che ci ha assegnato prima la prof./della versione che ha assegnato per domani/della prossima assemblea di classe". Il sottotesto è che stavano parlando di cose importanti, che i prof. trovano importanti, e che quindi non devono essere rimproverati. Il sottotesto del sottotesto è che interrompere il prof. per chiarire questa cosa, per loro così ovvia, non è un problema. E tanti saluti al filo del discorso.
RispondiEliminaUn'altra risposta di queste, soprattutto in questo periodo, e mi trovate in cronaca nera.
Uqbal
Provo a fare l'avvocato d'ufficio per "quelli che non parlano?" ;-)
RispondiEliminaPerché non parlano? Perché non costruiscono i loro ponti?
Se diamo uno sguardo alla loro vita forse scopriremo che il loro modo di essere lo hanno ereditato dai loro genitori che a loro volta, ecc, ecc...
Questa non deve essere presa come scusa e, facendo un esempio estremo, non possiamo accettare/subire il fatto che una persona rubi solo perché anche suo padre era un ladro.
Non escludo che da queste persone si possa tirar fuori qualcosa di buono, il loro "ponte", se magari riusciamo a vincere il nostro disagio nei loro confronti. Certo non lo facciamo di proposito ma quel pizzico di "energia negativa" che proviamo verso chi non ci è del tutto affine qualche danno (piccolo) lo fa.
Ti dico la verità (oltre ad accettare volentieri le tue osservazioni): mi aspettavo molti avvocati d'ufficio in più...
EliminaForse sono "oberati" di lavoro come tutti i bravi...avvocati oppure non hanno colto il senso delle tue parole.
EliminaScegli tu. :)
Leggendo il commento di Caigo mi viene in mente di un ragazzo che esce in compagnia con me, che io e la mia ragazza per scherzo chiamavamo "Mutu", in quanto parlava molto raramente, era sempre chiuso (so che il padre è quasi identico a lui come carattere)... Ma a dire della sua ragazza quando erano solo loro due era completamente diverso.
EliminaBeh, da tre o quattro mesi sembra che si sia sbloccato, semplicemente perchè in compagnia si parla un po' di più di argomenti che sono la sua passione: calcio, moto e macchine. Non che adesso parli in continuazione, ma dal momento in cui si accenna anche solo in parte ad uno dei sopracitati argomenti si unisce anche lui alla conversazione, anche se poi si passa a parlare d'altro.
Posso supporre che per far costruire i ponti a queste persone si debbano "semplicemente" fornire loro i giusti tiranti per sostenere tutta la struttura...
Io fatico a costruire un ponte, non arrivo alle persone, non a molte.
RispondiEliminaSolo poche, pochissime, importanti persone per me.
Non soffro della cosa sia chiaro, ma sin da piccola ho avuto sempre un posto, il mio posto. In questo posto non è stato sempre possibile costruire un ponte di comunicazione perché qualcuno lo aveva già fatto oppure perché c'era sempre un'attrazione diversa che distoglieva l'attenzione dal mio ponte, per cui poi un po' per scelta un po' perché è stato più semplice ho smesso di costruire il ponte a vuoto. Il ponte ce l'ho solo con le poche persone a cui sono riuscita ad arrivare.
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RispondiEliminaMi piacciono i professori come te.
RispondiEliminaProfessori che capiscono anche "quelli che non parlano".
Ricordo bene "Chiara".
un pò scontato ma bello.
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