Il pomeriggio precedente doveva essere stato davvero rissoso e confuso, nessun dubbio. Perché, quando sono entrato in classe, convinto di fare la mia tranquilla lezione sul capitolo quarto dei Promessi Sposi (quello in cui frate Cristoforo, che non è ancora frate Cristoforo, ammazza un nobile per una banale questione di precedenze stradali), non ho fatto nemmeno in tempo a sedermi per compilare il registro degli assenti, che un ragazzo, il più rapido di tutti, ha alzato la mano. E mi ha chiesto, a bruciapelo e infervorato: «Scusi, prof, è vero che se noi facciamo gli errori di ortografia su facebook è grave come quando li facciamo nel tema?»
E io mi accingevo a rispondere, con pazienza. Ma non ho fatto nemmeno in tempo a provare ad aprire la bocca, che subito è intervenuto un secondo ragazzo, altrettanto infervorato, e questa volta senza nemmeno alzare la mano: «Perché qui dentro [sottolineando qui dentro, e poi guardandosi in una precisa direzione] c'è chi sostiene di no, che su facebook possiamo fregarcene, dell'ortografia...» E io ero ancora lì, pronto a rispondere con molta pazienza, che già interveniva un terzo alunno, molto nervoso, senza darmi nemmeno la possibilità di parlare: «Diteglielo, diteglielo pure che sono io, chissenefrega... Non mi vergogno mica! Sono stato io, prof, a dire che l'ortografia su facebook non conta, sono stato io. Però non sono mica l'unico a fare gli errori, anche gli altri li fanno...»
E io ero davvero pronto a dare un mio parere, a questo punto, ma ancora il clima si scaldava, perché il dibattito del pomeriggio prima doveva essere stato davvero furente e pieno di acrimonia. «Sì , però tu fai gli errori più gravi di tutti. E ieri hai scritto ho senza l'h!» diceva un quarto alunno. E poi rivolto a me: «È vero, prof! L'ha proprio scritto». Ma l'altro, il "colpevole", non si arrendeva, e ribatteva: «E allora? Tu scrivi sempre perché con la x e la k [così: xkè] , da più di un anno. Anche quello è un errore ortografico, cosa credi?» E poi rivolto a me: «È vero, prof, che è un errore ortografico anche quello? È vero che è grave?»
E io stavo per rispondere sul serio, questa volta, ma il dibattito non era finito: altre voci, due vere e proprie fazioni, innocentisti e colpevolisti, neutralisti e interventisti, una specie di guerra che era scoppiata il pomeriggio prima, nel loro gruppo facebook di classe, e a cui io ero chiamato a porre fine con una sentenza, senza che però, lo avete capito, mi fosse mai data la possibilità di pronunciarla. Tutti che intervenivano, tutti che si rinfacciavano i pò scritti con l'accento («Guarda che questo è l'errore in as-so-lu-to più grave di tutti, vero prof?»), e poi gli è, voce del verbo essere, senza accento, e i ma però, e i congiuntivi, e i fù con l'accento («Ma sei scemo? Guarda che fu si scrive davvero con l'accento...!»), e poi risate e tutto il repertorio del loro analfabetismo quindicenne. Insieme, ovviamente, alle tecniche più sottili della sporca delazione scolastica e dello spionaggio ortografico, insieme alle rivalse e agli insulti appena camuffati e al ricorso ai gesti plateali di disprezzo in mancanza di altri più efficaci argomenti. Finché, dopo dieci minuti di dibattito che mi vedeva impotente spettatore, desideroso soltanto di leggere il Manzoni, alla fine sono riuscito a intervenire anch'io. E ho detto:
«Secondo me, ragazzi, gli errori di ortografia non si devono fare. Punto. Nemmeno su facebook, nemmeno al pomeriggio. Non ci sono scuse né contesti. Poi, è ovvio, che tra di voi ci badiate di meno, lo capisco. E soprattutto io non sono lì a correggere, che per voi è cosa che conta moltissimo, lo so. Ma non abituatevi, però. Perché ci scriverete tanto sul web, forse ancora per altri decenni, e non è affatto bello che facciate errori banali di ortografia, mai; nemmeno se vi scrivete l'un l'altro».
E loro mi guardavano attenti. E io parlavo a tutti, accusati e accusatori, ché tanto lo so che non ci sono innocenti in questo campo di battaglia. E poi ho aggiunto: «Vedete, ragazzi, l'errore di ortografia assomiglia a un pezzo di insalata. Avete presente quando qualcuno vi fa un discorso tutto appassionato, assolutamente vero e intelligente, un discorso in cui si coinvolge e vorrebbe coinvolgervi? Ecco, immaginate che quest'uno, che vi sta facendo il suo discorso appassionato, abbia nel frattempo un grosso pezzo (ma deve essere molto grosso, eh!) di insalata verde che gli copre un dente... Cosa vi succede? Vi succede che non riuscite più a seguire il discorso, per quanto sia interessante. Perché vi fissate sul pezzo di insalata. E quell'uno, per quanto bravissimo e intelligentissimo, avrà parlato inutilmente. Così, nella scrittura, fa l'ortografia: potrete scrivere cose bellissime, ma se ci infilerete un ho senza l'h tutti noteranno quello. E magari ve lo diranno malamente. E nessuno baderà più alla sostanza di quello che avete detto. Non vi pare?»
E subito arrivava la risposta, dal secondo banco: «È come quando uno ha una caccola che gli pende dal naso mentre ti parla!» E tutti giù a ridere; e le poche ragazze a fare la faccia schifata. «Ecco» ricominciavo io, «magari no. Magari teniamoci l'esempio del pezzo di insalata, che è un po' più elegante ed è ugualmente efficace. Però il concetto è esattamente quello. Fateci attenzione, datemi retta: fateci attenzione anche quando scrivete sui social network, perché non è bello stare a sentire uno che ha un pezzo di insalata infilata tra i denti o una caccola che gli penzola giù da una narice del naso. E nessuno si lascia convincere da uno che fa [senza accento] troppi errori ortografici...»
E poi il tutto si è placato. C'è stato ancora qualche gesto di stizza, ma poca roba. E, mentre cominciavo a parlare del capitolo quarto dei Promessi sposi, stavo in realtà pensando a come, in pochi anni, il mondo dei quindicenni sia profondamente mutato. Una volta uscivamo di casa, finiti i compiti, e andavamo in piazza, o all'oratorio, o al campo sportivo. E con i nostri amici parlavamo: era un'ora, al massimo due, e nemmeno tutti i pomeriggi.
Oggi loro si frequentano molto più spesso, di continuo, ma in realtà non si parlano: si scrivono. Sms, facebook, mail. Non c'è mai stata, credo io, una generazione che per comunicare abbia usato così tanto la scrittura. E allora, è normale, l'ortografia può diventare, per quelli più consapevoli, oggetto di polemiche e discussioni anche tra di loro. E si possono autonomamente porre il problema se scrivere fa, terza persona del verbo fare, con l'accento sia qualcosa di grave o non lo sia. E sono costretti a pensarci e forse a impararlo meglio (e prima) di quanto l'abbiamo imparato noi. E non è vero che facebook distrae di ragazzi dallo studio, come mi dicono tante mamme. O meglio, forse un po' è vero. Però li fa anche litigare sull'ortografia dei monosillabi italiani... Cosa che, ci scommetto, alle loro mamme non verrebbe mai in mente di fare.
Mi cade a fagiuolo, questo post. Ieri sera ho fatto tutto un lungo pippone a Nichita, per spiegargli che anche nella brutta del compito, e non solo nella bella, deve cercare di scrivere in modo leggibile e senza errori di ortografia: gli ho spiegato che la scrittura è un automatismo, per cui l'errore della brutta necessariamente un giorno diventerà errore nella bella; e che non si possono fare le "a" uguali alle "o", anche se tu sei in grado di capire perfettamente quali segni sono le une e quali le altre.
RispondiEliminaStasera gli leggo questo brano.
Condivido totalmente. Vorrei avere l'email di Paola Mastrocola per mandarglielo, visto che la sua opinione su internet e affini mi lascia molto, ma molto perplessa e contrariata (cfr. Togliamo il disturbo).
RispondiElimina@m.fisk
RispondiEliminaFai in modo che non si senta obbligato, Nichita: non ho mica voglia che cominci già ora, in quanto prof noioso, a odiarmi...
@micra
RispondiEliminaLa Mastrocola, che pure in quel libro scrive alcune cose assai condivisibili (tutta la seconda parte, a mio parere), dimostra anche di non aver capito una cippa dell'Internet. Peccato, per lei.
Parlo perché ci sono passato anch'io (non c'era FB, c'erano i forum nella BBS della mia città) e posso confermare: gli errori di ortografia distraggono dal contenuto. Rendono meno credibile ciò che si scrive. Ma non credo serva molto dirlo.
RispondiEliminaQuando mi facevano notare come scrivevo mi innervosivo, trovavo scuse. Mi sentivo libero, finalmente!, di scrivere come volevo e il senso di libertà era più forte di ogni altra cosa. Poi, piano piano, imparai la lezione.
Personalmente penso che sia più importante che scrivano, i tuoi alunni. E più scriveranno pezzi lunghi, più dovranno stare attenti all'ortografia. Se ne renderanno conto da soli. Consigliali di aprire un blog. :-) (Comunque come prof devi dire quello che hai detto.)
ilcomizietto
Questa è una riflessione interessante che fortunatamente si affranca dal solito, e fine a se stesso, "ormai di persona non si parla più".
RispondiEliminaNel senso, l'affermazione di cui sopra c'è (e direi che è comunque immancabile), ma quantomeno la associ a un qualcosa di più costruttivo (lo stimolo del dibattito sull'ortografia).
Premessa: sono assolutamente d'accordo sulla distrazione dovuta agli errori di ortografia. E anche con ilcomizietto quando dice: "Mi sentivo libero, finalmente!, di scrivere come volevo e il senso di libertà era più forte di ogni altra cosa."
RispondiEliminaDetto questo.
Scrivere con una grafia scorretta. O gggiovane (errore di ortografia? o voglio dire qualcos'altro? forse è proprio questo il punto).
La libertà è sicuramente una delle cose che ricerchi da gggiovane. La corretta grafia è associabile agli insegnanti, ai genitori, ovvero: alle regole, allo stare in classe composti e in silenzio mentre fuori c'è il sole, i campi di calcio ecc.
Pensiamo allo scrivere in maniera differente da quella ufficiale e volontariamente: vuole (più o meno consciamente) comunicare un "meta-messaggio" a chi sta leggendo: io scrivo di una cosa ma ti sto anche dicendo, indirettamente, a quale mondo appartengo.
Io che scrivo "xkè" al posto di "perché" comunico al lettore che appartengo a una certa generazione, che non ha bisogno della corretta grafia per comprendere la singola parola o l'intera frase. Faccio parte di quelli che danno scontate cose come gli SMS o i Tweet, dove puoi mostrare abilità nell'esprimerti in maniera efficiente, cioè sfruttando le risorse disponibili, cioè lo spazio a disposizione ridotto.
D'altro canto, il mondo con gli occhi di un gggiovane è più rapido di quello a cui erano abituate le generazioni precedenti. Centinaia di anni fa c'erano i libri e qualcuno sapeva leggere, poi è arrivata la TeleVisione, ma anche all'interno della TV ci sono programmi con caratteristiche diverse: Bill Lawrence (l'ideatore di Scrubs) si rendeva conto che i meno gggiovani trovavano difficoltà a seguire il programma, in quanto caratterizzato da scambi di battute molto rapidi, più difficili da seguire per le generazioni precedenti, non avvezze ai video di MTV, i film d'azione più recenti, i videogiochi più recenti.
Tornando alla scrittura, usare "cmq" o "nn" è come parlare in codice. Estremizzando, è come usare la crittografia: il mittente sta cifrando il messaggio, per cui sa che potrà comprenderlo solo chi fa parte di una certa "rete sociale" di sua fiducia.
Il problema è naturalmente l'opposto: sapersi esprimere nella maniera definita "corretta" dal mondo delle regole: oggi si tratta degli insegnanti, domani saranno clienti, fornitori, colleghi, superiori, ecc. Ma il motivo sarà lo stesso: inviare informazioni e meta-informazioni, comunicare che si è capaci di seguire le regole, indice quindi di adesione al "sistema" in cui si vive (l'azienda, la comunità, la società) e quindi di affidabilità: da noi ci si aspetteranno azioni o reazioni adeguate alle varie situazioni, non imprevedibili, inappropriate, pericolose.
Il modo di esprimerci è uno dei nostri biglietti da visita. E' inevitabile.
Scusate per il lungo commento, che diventerà un post.
@Speaker
RispondiEliminaAttendo il post, allora. Il tuo discorso di "codice" linguistico è un discorso assolutamente sensato; e infatti il problema che ponevano alcuni di loro era proprio quello: in questa sede (facebook) quale codice dobbiamo adottare? La mia risposta è quella del mio post, in realtà.
Il post c'è già e sostanzialmente è il mio commento con qualche modifica e alcune parolacce in più.
RispondiEliminaTornando all'ottimo esempio dell'insalata tra i denti, la grafia corretta è come presentarsi in giacca e cravatta; quella gggiovane è vestirsi in jeans, camicia fuori, converse semisporche, capelli out of bed. (E non potevi scrivere solo questo, Speaker?)
Molto interessante. Anche io avrei dato la tua risposta; però, riservandomi la possibilità di riprendere l'argomento secondo quanto scritto da SpeakerMuto. Anzi, alcuni miei compiti di italiano in prima sono strutturati proprio così: "Scrivi qualcosa utilizzando un registro; poi, mantenendo invariato l'oggetto, cambia registro; e soprattutto COMMENTA quali aspetti hai modificato, e perché...".
RispondiEliminaSui ragazzi e internet, ho tante domande aperte. Per esempio, quello sulle discussioni che nascono via facebook: la virtualità (soprattutto fra studenti; ma non solo...) rischia facilmente di trascendere in liti furibonde...
Io l'ortografia non la sopporto: è in linea di massima soltanto un fatto convenzionale e non sopporto chi pensa di usarla come un metro di accettabilità sociale.
RispondiEliminaCi sono professori che martirizzano chi scrive quì...ma chi se ne importa!
Fatta salva la comprensibilità, il resto non mi interessa.
xké e cmq paiono giovanilistici e non andrebbero usati. Perché questa cosa deve essere rimproverata solo ai giovani e non agli enciclopedisti che scrivono qcsa, qcno, e tante altre belle abbreviazioni?
Uqbal
Secondo me bisogna distinguere, un po' come fa @spekar, tra errori di ortografia e uso di un'ortografia diversa. Scrivere xké non è un errore, è semplicemente l'uso di un'ortografia con regole diverse.
RispondiEliminaUn insegnante dovrebbe essere capace, come fa Monica, di spiegare agli studenti che, come il linguaggio, l'ortografia va adattata al contesto, e che una persona è quanto più competente e esperta nel linguaggio e nella scrittura quanto più è capace di adattarsi al contesto.
L'insegnante dovrebbe anche spiegare ai suoi studenti che additare e ridere della gente che commette errori non è solamente maleducato, è anche pericoloso, perchè su facebook e twitter, dove tutti scriviamo rapidamente e in tono informale, gli errori li fanno in tanti, giovani e meno giovani.
@Uqbal
RispondiEliminaIo, a questo proposito, sono molto più rigido di te. E infatti, se potessi, rimprovererei anche gli enciclopedisti...
I'penzo ke una turta dev esserre bella oltre chè bbuona.
RispondiEliminaE soprattutto, m.fisk, una turta non ci deve havere ne pezzi di insalatta ne kakkole di naso, sopra.
RispondiEliminaCioè, ma hai delle classi veramente meravigliose.
RispondiEliminaNon mi sono mai presentata, ma faccio ( o meglio, tento di fare, visti i chiari di luna) lo stesso lavoro che fai tu, e su questo blog ci sono arrivata per giri tortuosi, ma mi piace.
io sarei pure d'accordo, pero' soffro anche. C'e' un po' di piu' dell'ortografia.
RispondiEliminaHo lasciato l'Italia da piu' di otto anni ormai (e parlo 5 lingue, perdonate la modestia) e nel mio quotidiano -a parte le email con amici e parenti poco blog- non c'e' molto italiano scritto e letto. L'ortografia si dimentica cosi' come si e' imparata. Penso di scrivere molti strafalcioni, ma sinceramente ho smesso di preoccuparmene. Come non bastasse non sono dotata di tastiera italiana quindi anche quel poco di ortografia che ricordo la scrivo come posso.
Per dirne una : e' invece di è oppure é, ché mica sono uguali
Certo potrei correggere il tutto con tanta santa pazienza, ma ad un certo punto ho deciso che preferivo scrivere.
Non ricordare piu' l'ortografia e' una cosa gravissima alla quale dovrei riparare, pero'
mi dispiace molto se si considerano i miei accenti raccattati come un grosso pezzo di insalata nei denti. Sono d'accordo con Uqbal che non e' bello "usarla come un metro di accettabilità sociale".
con rammarico, ma questo blog e' troppo veloce per me, arrivo sempre tardi...
Scorf, però i tuoi alunni fanno il liceo scientifico... già i miei, credo, non si pongono proprio il problema.
RispondiElimina@ lo scorfano
RispondiElimina"Io, a questo proposito, sono molto più rigido di te. E infatti, se potessi, rimprovererei anche gli enciclopedisti..."
Spero stia scherzando, mi sembra completamente ottuso non considerare la necessità di risparmiare spazio.
@squa
La capisco in pieno! Io sono fuori da 11 anni e non avendo fatto l'università in Italia non scrivo più in modo formale dalla maturità. Il fenomeno di degradazione della lingua madre quando la si parla poco e' molto studiato, si chiama attrito linguistico. (http://it.wikipedia.org/wiki/Attrito_linguistico (se sa l'inglese la pagina in inglese e', come al solito, migliore)
«risparmiare spazio»?!?
RispondiEliminaScusatemi, ringrazio Manuela per il link sull'attrito linguistico.
RispondiElimina@squa
RispondiEliminaNon sei arrivata tardi, non si arriva mai tardi su un blog. Anzi, ti ringrazio per il tuo commento che ho letto con interesse.
@m.fisk
RispondiEliminaSì, "risparmiare spazio".
ah, «risparmiare spazio». allora avevo capito bene.
RispondiEliminacredo che ti ruberò un pezzo di insalata (no, la caccola, no)
RispondiElimina