Il calcio è tutto tranne che un gioco, ovviamente.
Il calcio è affari milionari, prima di tutto, giro di denari preoccupante e sospetto, poi è visibilità e fama e successo, per chi lo pratica e per chi lo compra, poi è spettacolo, soprattutto televisivo, e quindi è anche arma di distrazione di massa, senza dubbio, e sponsor e scommesse legali e illegali, sottocultura strisciante e pervasiva, spesso orrendamente banale, quasi mai sportiva, ed è anche corruzione e doping, omertà e morti misteriose, malattie mal raccontate, ed è anche violenza e tifo organizzato, curve politicizzate, sfogo, oblio, tensione, rabbia. Ma, nei suoi momenti migliori, il calcio è anche una grande metafora, forse la più grande, per questi nostri tempi.
Il calcio è affari milionari, prima di tutto, giro di denari preoccupante e sospetto, poi è visibilità e fama e successo, per chi lo pratica e per chi lo compra, poi è spettacolo, soprattutto televisivo, e quindi è anche arma di distrazione di massa, senza dubbio, e sponsor e scommesse legali e illegali, sottocultura strisciante e pervasiva, spesso orrendamente banale, quasi mai sportiva, ed è anche corruzione e doping, omertà e morti misteriose, malattie mal raccontate, ed è anche violenza e tifo organizzato, curve politicizzate, sfogo, oblio, tensione, rabbia. Ma, nei suoi momenti migliori, il calcio è anche una grande metafora, forse la più grande, per questi nostri tempi.
E ho dovuto pensarlo di nuovo ieri pomeriggio, mentre cercavo molti modi per perdere il tempo del mio giorno di vacanza, quando sotto i titoli cubitali che parlavano di spread ai suoi massimi storici, di titoli di stato inaffidabili, di rischio default e di Grecia e di precipizio, ho letto anche questa notizia, in apparenza (e anche nella sostanza) del tutto secondaria: «Pallone d'oro, ecco le 23 stelle 2011: non ci sono italiani».
Cioè, nessuno.
Cioè, tra i migliori giocatori del mondo non ce n'è nemmeno uno che sia nato qui, nel paese del pallone a tutte le ore del giorno e della notte, nemmeno uno che giochi in una delle grandi squadre a strisce per cui voi fate il tifo e che muovono un giro d'affari di centinaia di milioni di euro, proprio nessuno. Tanto che le nostre misere speranze erano affidate a Totò Di Natale, un ex scugnizzo napoletano che gioca nell'Udinese e che ha, largo ai giovani, 34 anni. Ed è bravissimo, ci mancherebbe: ma neanche lui è entrato tra i migliori. E mi è sembrata una terribile metafora, questa. E volevo scrivere che lo era: una metafora di un declino che facciamo fatica a riconoscere ma che forse, nei termini di questa specie di sport che ancora ci appassiona un po', avremmo potuto individuare con lucida chiarezza. Una metafora implacabile.
E poi però ho visto un'altra cosa, su quelle pagine dedicate al calcio. Ho visto che c'è una squadra di serie B, il Pescara, che, quasi senza mezzi economici, sta continuando a vincere e a segnare tantissimi gol ed è seconda in classifica, contro ogni pronostico. E ha vinto anche ieri. La guida un allenatore non proprio giovanissimo, un outsider per vocazione, uno che si chiama Zdenek Zeman, un vecchio (64 anni) immigrato partito molti anni fa dai campetti siciliani di Cinisi, Misilmeri e Licata, e mai arrivato dove forse avrebbe meritato. Uno che tutti continuiamo a chiamare «boemo» anche se è, a tutti gli effetti, un cittadino italiano da quasi quarant'anni. Un italiano, quindi, per cui il calcio può ancora essere eleganza, corsa e bellezza; e forse anche un gioco.
E anche questa mi è sembrata la metafora di qualcosa. Di qualcos'altro di più bello e di più confortante di tutto il resto, tutto quello che ho detto prima. Ma purtroppo non ho ancora capito di che cosa. Ci ho pensato e ripensato, ma non ne vengo a capo: il segno, questa volta, sembra indecifrabile. E se invece lo decifrerò, chissà quando, proverò anche a scriverlo, un giorno. Prometto.
Il mio pensiero è che il calcio sia stato e sia solo un bellissimo gioco malgrado tutte le innegabili storture che giustamente evidenzi.Rovescio la tua frase d'apertura.
RispondiEliminaCi sono storie incredibili legate al calcio. Storie magari meno roboanti delle grandi vittorie ma comunque belle, quelle dietro le quinte. E ogni maschio del mondo ha messo insieme una palla con qualsiasi cosa e fatto una porta con due ciabatte o due sassi.A me piace pensare a quello come calcio, il resto è altro e non ha a che fare con il gioco del calcio.
Perciò quoto la metafora di Zeman e di migliaia di zeman nel mondo per dire di battaglie per tenere le cose "pulite". Semplicemente.ciao
E speriamo che sia come dici tu, allora. Mi fido. E speriamo che Zeman torni in serie A, con il Pescara. ;)
RispondiEliminaCondivido rigorosamenterosso. Il calcio sarebbe e resterebbe solo (solo??) un bellissimo gioco anche se vi togliessimo da intorno tutto il resto. E anche io ho ricordi di partite fino a che c'è luce, ai giardini Margherita, con le porte piccole fatte con borse e sassi, il campo sterminato e il fuori che è "quando non ci si arriva". Che bellezza.
RispondiEliminaInoltre, il Pescara, se si esclude qualche "vecchietto" (credo siano in tre) gli altri sono tutti molto giovani tra i quali un'altro scugnizzo napoletano un certo Lorenzo Insigne al quale auguro una carriera simile a quell di Di Natale.
RispondiEliminail calcio è tutto ciò che dici tu, e forse anche peggio. però spesso ci accompagna, ci consola, ci fa dimenticare ben altri pensieri. proprio come un romanzo della kinsella, il più delle volte inutile, ma per quel tot ci permette di scordare le crepe e gli abissi, così come talvolta la dolcezza della palla che entra nella rete.
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