Tutti gli uomini, per loro natura, sono fallibili (sono anche mortali, in effetti: ma questo, ora come ora, mi interessa di meno). Pertanto, in quanto fallibili, tutti gli uomini, prima o poi, falliscono. Cioè commettono errori, sbagli, si comportano in modo superficiale, trascurano dettagli che forse non erano dettagli, pasticciano. È così ed è normale che sia così: e vorrei ogni tanto ricordarlo a tutti i miei colleghi che invece, in tutta evidenza pensano che no, che alcuni uomini (o donne) non commettano mai errori. E, generalmente, quando questi miei colleghi pensano che alcuni uomini non commettono errori, si stanno riferendo, guarda un po' il caso, a loro stessi.
Ma tutti gli uomini sbagliano, invece, per definizione: anche «loro stessi». Eppure, chi pensa di non sbagliare mai è lo stesso che in genere pensa che ci sia qualcun altro che sbaglia sempre (proprio sempre), secondo un'altra petizione di principio che, naturalmente, non ha alcuna probabilità di essere realistica. E allora succede questo: succede che nei consigli di classe, dove si dovrebbe parlare magari dei ragazzi, si discute di noi stessi, di chi ha sbagliato sempre e di chi non ha sbagliato mai.
Succede pertanto che il collega Mario pensa che la collega Rita sbagli sempre, qualunque cosa dica o faccia; mentre la collega Rita ritiene che sia il collega Mario a sbagliare sempre, in ogni occasione.
Ed entrambi lo pensano e non sempre lo dicono, ma fanno facce mentre l'altro parla. E poi il consiglio di classe finisce e il collega Mario ti aspetta, dietro un angolo, e ti dice: «Hai sentito quante cazzate ha detto la collega Rita, oggi?» E tu non fai nemmeno a tempo a fingere un sorriso accondiscendente (è tardi, hai mal di denti , vuoi tornare a casa, non te ne frega nulla di nessuno dei due) che passa la collega Rita e pensa che allora tu stai «dalla parte» del collega Mario, sei un nemico, uno degli «altri». E anche il collega Mario, ovviamente, lo pensa: che tu sei uno che sta dalla «sua parte».
Ecco, io vorrei dirlo al collega Mario e alla collega Rita, a entrambi (ci ho provato tante volte, non crediate: non è servito a niente): vorrei dire al collega Mario che lui fa un sacco di errori, secondo me, come insegnante; e alla collega Rita, invece, vorrei dire che lei fa un sacco di errori, secondo me, come insegnante. E poi, già che ci sono, vorrei dirlo anche alla collega Claudia, e al collega Giovanni, a e ai colleghi Pietro e Paolo, e alle colleghe Maria e Maddalena e a tutti quanti i nomi del calendario liturgico dei santi diventanti, nel frattempo, insegnanti. Vorrei dire a tutti i miei colleghi che loro, secondo me, fanno un sacco di errori, quando entrano in classe e provano a fare il loro mestiere: tantissimi errori.
Ma infine, poiché ho ancora qualche sparuto neurone che si agita insonne nella mia fallibile calotta cranica, vorrei dire anche al collega Scorfano che, in tutta evidenza, visto che non conosco nessuno che non faccia errori, come insegnante, è chiaro che anche lui ne fa, e non pochi. E che è giusto che si rassegni: è fallibile (e anche mortale, ma a questo ci pensiamo un'altra volta) anche lui. E quindi, forse, rinfacciarsi gli errori l'uno con l'altro, tra colleghi, nei consigli di classe in cui invece si dovrebbe parlare dei ragazzi, ecco, forse non è proprio la strategia giusta per farne, chissà mai, qualcuno di meno. Non mi pare, ecco.
Anche perché gli uomini, si sa anche questo, oltre che fallibili (e mortali) sono pure deboli: e poi finisce che il collega Mario entra in quinta e dice ai ragazzi di quinta: «Fate attenzione alla collega Rita: quello che lei vi insegna non serve a niente...» Mentre, nella stessa ora, qualche muro più in là, la collega Rita è entrata in quarta e ha detto: «Certo che non vi invidio, poverini, che dovete sopportarvi il collega Mario». E poi, non è mica escluso, le stesse parole il collega Mario le dice il giorno dopo alla mamma di del ragazzo Carletto di terza; mentre la collega Rita le dirà domani al papà della ragazza Giuseppina di seconda. E a questo punto (ora sì) entrambi hanno fatto il peggiore degli errori possibili, il più marchiano, il più patetico, quello che nessun insegnante dovrebbe fare mai, quello che fanno generalmente tutti; e quindi non è più nemmeno questione di essere fallibili (o mortali) ma solo di essere incapaci, che è naturalmente peggio.
E poi, un'ultima faccenda, tanto perché il collega Mario e la collega Rita, forse, si possano tranquillizzare: sostenere che l'altro è un pessimo insegnante implica che io sia un insegnante bravo. O che lo sia qualcuno, nel mondo. E, francamente, io non penso che esista l'insegnante «bravo». Ne esiste il modello, questo sì, forse esiste nel mondo delle idee platoniche. Ma nella realtà egli, quello «bravo», mi dispiace per gli esperti di didattica, non esiste.
Esiste l'insegnante «bravo» in quell'occasione, in quel momento; esiste l'insegnante «bravo» con un ragazzo, o con un gruppo di ragazzi; esiste addirittura l'insegnante «bravo» con un'intera classe. Ma lui stesso, quello così «bravo», l'anno dopo sarà scarso con un'altra classe, perché non la capirà. E nello stesso istante in cui è bravo con un alunno sarà non bravo con un altro alunno. Simpatico a uno, antipatico all'altro. Mitico per uno, povero idiota per l'altro. È normale. Non solo, è più che normale: è sano e giusto.
È bello che sia così, è formativo. I ragazzi hanno davanti persone adulte che agiscono in modo diverso l'una dall'altra, che interpretano in modo differente il loro ruolo e il loro mestiere. Da questo, i ragazzi imparano molto. Se avessero davanti tutti insegnanti «bravi», imparerebbero di meno. È il concerto di voci, anche quelle dissonanti, che lascia a loro la possibilità di scegliere e giudicare. E alcuni vorranno essere un po' simili al collega Mario, altri alla collega Rita, altri al collega Scorfano: e io penso che sia bello che sia così. E continuo a pensare che entrambi sbaglino molte cose, come le sbaglio io: ma che, tutto sommato, vada assolutamente bene così. O almeno, che andrebbe bene così, se tutti accettassero che siamo fallibili, così come siamo mortali.
Ecco, lo avete capito. Un po' mi sono arrabbiato agli ultimi consigli di classe della mia scuola, pazienza. Un po', però, non credo affatto agli insegnanti «bravi», a come devono essere, a come credono di essere, a quello che dovremmo fare per essere come loro. Non ci credo, per niente. Credo alla buona fede, invece, e all'aggiornamento, e al tentativo di migliorarsi giorno dopo giorno, e all'autodisciplina, e credo anche agli errori che si fanno e che si ammettono. E trovo tutto questo molto più educativo degli insegnanti «bravi», che sanno come si fa e che soprattutto sanno come non si fa: e quello che non si fa è sempre quello che fanno gli altri. Che non sono abbastanza «bravi».
[E un'avvertenza, prima che commentiate furibondi seguendo il filo della memoria dei vostri ex insegnanti di scuola: ci sono poi gli insegnanti fancazzisti, quelli che se ne fregano e che trovano tantissimi modi per fregarsene del tutto. Sono una minoranza ma, ahimè, neppure troppo esigua: lo so, lo so fin troppo bene. Ecco, ci mancherebbe: il discorso di cui sopra vale per tutti tranne che per loro. Loro, i fancazzisti menefreghisti, non sono né Mario né Rita. Sono peggio.]
Invidio i tipi come Mario: quelli convinti di non sbagliare nulla, e se qualcosa va storto non è mai colpa loro, quindi non sentono nemmeno la responsabilità di rimediare. Quante tribolazioni in meno.
RispondiEliminaChe realtà. Quello che ripeto spesso è che nella vita, e in particolar modo nel nostro lavoro, sbagliare non è segno di negligenza e incapacità. Si fanno delle scelte che in quel momento ci sembrano quelle più giuste. La loro verifica avverrà solo con il tempo.
RispondiEliminaP.s.
Non avete idea di quello che succede alle elementari..ambiente di donne ;)
permesso..
RispondiEliminail profumo promesso dall'immagine è diventato aroma soave sin dalla prima frase. quanta filosofia si cela nei racconti quotidiani. ho visto babele riproporsi con una grazia inaspettata, sincronicità sottili snodarsi tra le aule. l'alchimia non muore mai. grazie del momento.
Sono giorni un po' convulsi in cui lo sceneggiatore agisce, la crisi di governo anche e non riesco a prendermi del tempo per leggere con calma. E anche ora vado OT per dirti che ho cambiato casa:
RispondiEliminal'immagine dell'8 settembre è calzantissima. Da oggi sono qua: http://nemoinslumberland.wordpress.com/
Ti aspetto!
Ah, io sono fallibilissima :-)
RispondiEliminaMi sembra molto più divertente così, però.
vangelo!
RispondiElimina@xfantasminax
RispondiEliminaPer esperienza personale (mia: e quindi fallibile) non mi è parso in questi anno che gli uomini siano tanto meglio delle donne...
@vocedi1
RispondiEliminaFin troppo, davvero. Tu esageri ;)
@'povna
RispondiEliminaNon sai quanto ti invidio quella piattaforma lì. Il mio socio ha fatto l'errore di scegliere Blogger e non glielo perdonerò mai...
@Lucia
RispondiEliminaNon esagerare, dai.
Il professore bravo esiste. Non è quello perfetto (che non esiste), ma è bravo perché se con una classe fallisce si chiede perché. E poi fallisce di meno.
RispondiEliminaCerchiamo di non essere troppo penitenziali...
Cmq oggi mi riproponevo di riprendere il mio blog (o forse no) per una cosa che ho notato, anche se la sapevo già: noi professori siamo incazzosissimi.
Vedo persone che con me sono mitissime, addirittura timide che con la classe si trasformano: diventano delle ire di Dio. Perché? Boh.
Però la sensazione è che noi professori entriamo in classe con l'idea che tutto ci è dovuto, e che gli altri (gli studenti) siano in difetto. Sempre. Eci sentiamo in diritto di reprimere, rimproverare ed emendare. Noi siamo i depositari di qualcosa che gli studenti devono graziosamente accogliere. Se non lo fanno, punizioni divine.
Però: boh.
Uqbal
Parto dal fondo: il tuo discorso ha senso a patto di togliere dal mucchio il fancazzista, quello che non ha voglia, su questo concordiamo (anche se io non credo che siano una sparuta minoranza, anzi...).
RispondiEliminaConcordo anche sul resto, anche se sono d'accordo con Uqbal sul fatto che se l'insegnante 'perfetto', bravo sempre, è un'idea platonica, ci può essere un insegnante che tende al bravo, e il suo modo di tendere è cercare di fare presenti a se stesso e poi cercare di imparare dai suoi errori.
Aggiungo che tutti questi insegnanti che dicono che Rita sbaglia e Mario sbaglia, di solito, individuano sempre una categoria che per loro sbaglia sempre più di Mario e Rita messi insieme, i.e. gli alunni. E questo è triste, perché ci si dimentica chi sono gli educandi e chi gli educatori.