lunedì 3 gennaio 2011

Muri, aule vuote

di Lo Scorfano
Leggo una bella lettera di una studentessa liceale, pubblicata sul quotidiano locale di Pavia. La leggo e la rileggo: avrei qualcosa da ridire sulla prosa, ogni tanto, ma lascio perdere, perché non sempre è la sintassi a fare la differenza: e la studentessa, che si chiama Irene, si merita anche un po’ di benevolenza sintattica, questa volta.
Irene ha provato, negli scorsi giorni, a occupare la scuola; pacificamente, senza tirare sassate, senza buttare giù porte. Le è stato impedito (a lei e a molti altri suoi compagni che erano con lei) dal preside e da alcuni insegnanti, troppo occupati e preoccupati dei possibili rischi di quello che stava avvenendo. E lei allora ha scritto una lettera ironica, terribile, caustica e brutale. Che comincia così:
Caro direttore, vorrei ringraziare il nostro dirigente scolastico e alcuni tra gli insegnanti del liceo classico Ugo Foscolo perché in questi giorni di occupazione, scontro tra generazioni e protesta, mi hanno impartito notevoli lezioni e valori morali. Mi è stato insegnato che non bisogna mai parlare con gli studenti, perché notoriamente il compito di un preside è quello di mandare avanti un istituto. Mandiamo avanti cosa, i muri? Il tetto che non c'è? Gli insegnanti che spiegano ad aule vuote? Credo di avere ancora qualche dubbio a proposito di cosa sia una scuola, a questo punto, se non includono le centinaia di ragazzi che la animano e ne motivano l'esistenza.
Ecco, carissima Irene, temo tu abbia ragione. Cioè temo che quel che tu dici con ironia, come se fosse la più stupida delle possibili verità, sia proprio la verità. Sono i «muri» che contano. E le aule vuote. È l’istituzione nel senso burocratico e scheletrico del termine, è questo che ormai chiamiamo «scuola». Io credo che se tu avessi letto il Pof del tuo liceo classico con un po’ di attenzione, te ne saresti già accorta. O forse sarebbe bastato uno sguardo minimamente lucido alla homepage del sito web della tua scuola; non lo hai fatto e questo è un po’ una tua colpa.
Perché, carissima Irene, già da quei minimi particolari (che non sono affatto particolari) ti saresti accorta che da anni la tua scuola, in nome dell’autoniomia, è stata trasformata in un’azienda. La quale deve farsi pubblicità, offrire benefits, promuovere un’immagine vincente sul territorio, soddisfare la sua «utenza» e produrre risultati misurabili. «Produrre», non so se hai colto; e «immagine vincente» e soprattutto «utenza», ci mancherebbe. Come quella di una compagnia telefonica. E anche «risultati misurabili», naturalmente: ecco perché tra pochi anni avremo i nostri test Invalsi, le nostre valutazioni di merito, le nostre classifiche regionali e nazionali, in cui i "singoli" risultati dei singoli istituti saranno messi in colonna, come squadre di basket.
Tu continui a ragionare come se la scuola fosse un luogo di apprendimento autentico; il tuo preside non più, lui ragiona in termini di utenza, di marketing e di produttività. E ti do una cattiva notizia, gentile Irene: ha ragione lui. La legge è dalla sua parte; anche l’opinione pubblica, nella sua confusione, lo è. La politica è dalla sua parte, la cosiddetta economia è dalla sua parte, il mondo è dalla sua parte, la schifosa società civile è dalla sua parte. Tu non conti nulla; e tra pochi anni sarai anche tu, temo, dalla sua parte. A ragionare di immagine, di produzione, di utenza e di valutazione. A ragionare di muri e di burocrazia. Contano proprio le aule vuote, rassegnati. Tra qualche anno, quando sarai diventata grande e avrai capito come funziona il mondo fuori da quei muri, leggerai la tua lettera pubblicata sul quotidiano della tua città e ti stupirai di essere stata così ingenua, cara piccola Irene.

17 commenti:

  1. niente, volevo solo dire che sono contento, ecco.

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  2. e non farmi stringere il cuore, pure tu.

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  3. Non posso lasciare che si stringa solo il mio...

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  4. Diavolo di uno Scorfano! Bentornato!

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  5. anno nuovo, scorfano vecchio... che bello rileggerti!
    un bacione!

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  6. scorfano sempre più vecchio, lucia

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  7. non sapevo come passare le prossime ore e credo che le passerò a risponderti .-)

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  8. Concordo con Lo Scorfano sulla follia della misurabilità.
    Un giorno ero in areoporto e ho incontrato un mio ex studente. Mi saluta e mi dice che è diventato manager di un’azienda a Londra. Commento dicendo “Allora il Politecnico ti è stato utile”. Lui mi dice che in verità un giorno a lezione io dissi “Se non capite questa cosa davvero forse è il caso che vi fate delle domande sulla scelta di frequentare questa università”. Mi disse che si fece le domande e cambiò strada. E anche se allora mi odiava a posteriori me ne è grato.
    Come si misura una cosa così?

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  9. Io invece sono piuttosto favorevole alla valutazione. Il binomio aziendalismo/valutazione non ha ragion d'essere, in realtà.

    Facciamo il caso degli ospedali pubblici: non servono a far profitto (si spera), ma siamo tutti d'accordo, da pazienti, nel voler essere sicuri che i chirurghi che ci mettono le mani addosso siano persone competenti. Per saperlo dobbiamo valutarli.

    Perché non dovremmo applicare la stessa logica alle persone cui affidiamo i nostri figli?

    Ancora: se dovessi costruire un ponte, mi affiderei ad un ingegnere laureato con 90 in otto anni o in un 110 e lode non fuori corso? La decisione, abbastanza facile, comporta una valutazione.

    Un insegnante, che si occupa di cose ben più importanti dei ponti, è diverso?

    Dirò la verità: mi amareggia vedere che gli insegnanti si rifiutano di sperimentare la valutazione in sole 72 scuole,: non fosse altro per dimostrare, con i fatti e non con le dichiarazioni, che il sistema congegnato dalla Gelmini non va bene.

    Io non credo esista una valutazione oggettiva "giusta" in assoluto o che si debbano stilare classifiche al centesimo: ma mettere il sale sulla coda a chi non si sforza abbastanza e dare soddisfazione a chi si fa il mazzo, questo si può.

    Buona notte!

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  10. come sono d'accordo con te, scorfano!

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  11. Una breve risposta a Champ (che in parte vale anche per Francesco) sul suo blog, dove lo stesso Champ mi tratta, affettuosamente, da "cattivo maestro".

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  12. Secondo me è un piacere rileggerti ;)

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  13. cattivo maestro... bella definizione

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  14. Non vedo perchè non si debbano premiare i migliori professori, incentivandoli a continuare nei loro sforzi e supportandoli.
    Poi si può discutere su quali siano i criteri per scegliere chi sono i migliori, ma sono a favore dell'idea di premiare chi fa meglio, qualsiasi cosa voglia dire "meglio" in questo contesto.
    Quindi non condivido la critica ai "risultati misurabili".

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  15. "Qualsiasi cosa voglia dire 'meglio'" è esattemente il punto su cui sarà impossbile mettersi d'accordo. E misurare, infatti.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)