di lo Scorfano
In terza, inizio finalmente a leggere il canto V dell’Inferno. Sono contento, perché c’è Francesca da Rimini, perché c’è il discorso sull’amore, nucleo incandescente del poema, perché è questo il momento in cui posso far cogliere loro il senso di quello che sta avvenendo nella storia dantesca, il punto decisivo, l’attimo in cui tutto cambia.
Ma il canto V inizia lentamente, non c’è subito Francesca. Prima c’è altro, c’è Minosse che ringhia, la bufera infernale e anche un piccolo elenco di altri dannati, tutti morti per amore. Io leggo. Poi mi fermo e provo a spiegare qualcosa. Ci sono due terzine che potrei anche saltare; parlano di un’antica regina assira, Semiramide, e dicono che era famosa per la sua lussuria.
Le terzine suonano così:
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell' è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa
Spiego il senso di quel verso che incrocia «libito» e «licito», lussuria e legge, peccato e liceità; provo a evidenziarne il contorcersi anche verbale, che ripercuote nei suoni la contorsione etica e interiore, il male che si avvita su se stesso. Dico che Semiramide aveva modificato le leggi pur di poter continuare a comportarsi come credeva e voleva. Dico che aveva in questo modo convinto i suoi sudditi che tutto fosse lecito.
Poi mi fermo. Perché mi rendo conto, improvvisamente, quasi a mia insaputa, che non sto più parlando di Semiramide. E anche loro mi guardano e stanno zitti e fermi. Tutti, alunni e insegnante, sappiamo che non stiamo più parlando di Semiramide ma di qualcosa d’altro, di oggi, di contorcimenti di oggi; e per un attimo ci prende quasi una vertigine, perché era imprevedibile che succedesse proprio ora, mentre leggiamo un testo di settecento anni fa.
Li guardo negli occhi e li vedo spaesati; e nei loro occhi vedo i miei occhi, spaesati anche i miei. Spaesati come non mi era capitato prima di sapere di averli. E penso che quello che sta succedendo oggi non dovrebbe affatto succedere, soprattutto per loro, che hanno sedici anni. Gli dico: «L’inferno dantesco è l’infelicità, l’infelicità, l’infelicità»; e spero con tutto il cuore che abbiano capito e che mi credano.
Il nostro mondo, e i lider minimi che lo governano, non meritano una critica tanto elegante. E noi, cioè lei -che pur si definisce scorfano-, ci si vergogna così tanto da mantenere anche 'distanze verbali'.
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RispondiElimina@Alan
RispondiEliminala ringrazio per l'eleganza. Le distanze sono tra le poche armi che so portare.
(il commento precedente è stato cancellato dallo scorfano medesimo, che si vergognava di essersi dimenticato l'italiano)
Caro Scorfano, da Divina da te commentata è quello che mi manca di più del tuo vecchio blog.
RispondiEliminaPer quanto riguarda Dante, la grandezza degli scrittori bravi sta nel fatto che passano i secoli e le loro opere hanno ancora qualcosa da dire, una passione da raccontare, una verità da rivelare.
ilcomiziante
Mi fa molto piacere questo tuo commento, comiziante. (Succede sempre così: quando io penso di avere scritto un post riuscito, perché sobrio ed efficace, nessuno lo commenta; non ho mai capito perché)
RispondiEliminase il post è perfettamente riuscito, cosa c'è da aggiungerci? Nulla.
RispondiElimina(In effetti il tastino like ha questo grande vantaggio, di dare una segnalazione di positività quando non c'è nient'altro da dire)
E lo che hai ragione, lo so. Mi tengo i miei piccoli dispiaceri irrazionali, così, per passare la domenica fredda e inospitale.
RispondiEliminami piace Dante e la Divina Commedia spiegata cosi è ancora più attraente grazie
RispondiEliminamonica