L’indicazione della necessaria e imprescindibile attività di supplenza la si trova scritta al mattino, appena si entra nell’edificio, su un foglio appeso alla bacheca del primo piano: devo sempre ricordarmi di controllare, perché l’ora libera non è veramente un’ora libera (come erroneamente a volte finisco stoltamente per pensarla), ma un’ora a disposizione; e quindi, se qualche collega è ammalato o impegnato su altri fronti o per altri misteriosi incarichi (che io non ho mai, però, chissà perché), è possibile che tocchi a me di sostituirlo, in qualche classe di ragazzi sconosciuti.
E oggi tocca a me infatti. L’ora è la seconda, dalle 9 alle 10; la classe è una terza geometri: classe abbastanza temibile, in realtà, piuttosto nota per le sue intemperanze, ben diversa da una prima liceo in cui tutti stanno buoni e ti chiedono se possono studiare con il loro compagno di banco, durante la tua ora di supplenza, e si spaventano anche un po’ quando entri, perché sei il professore della quinta.
Ma quando arrivo nella terza geometri quello che trovo non è proprio uno sfacelo, anzi. Molti ragazzi si alzano in piedi; aspettano addirittura che io gli dica che possono sedersi, per sedersi. Altri sono un po’ più distratti ma nessuno urla o schiamazza, in realtà, nessuno si esibisce in comportamenti assurdi, nessuno riprende niente con il videofonino. E io mi tranquillizzo; e la temibile terza geometri non mi sembra poi così temibile come nei corridoi la si dipinge.
Dopo pochi secondi, però, mi accorgo che c’è un banco desolatamente vuoto e che nessuno risulta assente. Chiedo ai presenti dove sia il misterioso occupante del banco e che cosa stia facendo nel luogo in cui inopinatamente è (non glielo chiedo in questi termini, naturalmente: il lessico ha il suo peso…). «È fuori» mi risponde qualcuno. «Fuori dove?» insisto io un po’ preoccupato e pure già un po’ innervosito.
Ma proprio mentre arrivo al punto interrogativo che dovrebbe esprimere tutta la mia irritazione, la porta si apre ed entra bel bello un giovane di gentile aspetto, assolutamente sorridente e piacevole nei modi, stiloso nel vestire e ondeggiante nella sua andatura da uomo di mondo. Io gli chiedo dove fosse e perché mai ci fosse, nel luogo in cui era. Lui si scusa, che è già qualcosa. Poi inventa un assurdo e inammissibile pretesto. Io mi alzo e lo invito ad accomodarsi. Lui, effettivamente, si accomoda, sempre gentilmente sorridendo. Poi gli chiedo come si chiama e lui mi risponde: si chiama Giulio. Gli dico che la sua assenza è un segno di maleducazione; lui annuisce, gentile. Poi si scusa per la seconda volta.
Nel frattempo l’ora comincia a passare, inevitabile. I ragazzi cominciano a loro volta a fare un po’ troppo rumore: li invito alla calma e al silenzio. Non ottengo molto. È proprio Giulio, in particolare, quello che si distingue per la sua propensione al caos indiscriminato e al colloquio acceso con i compagni di classe, su qualsivoglia argomento di non pacata conversazione. Mi avvicino più volte a lui, che peraltro continua a essere garbatamente sorridente ogni volta che gli rivolgo la parola. In un paio di occasioni lo prendo per le spalle e lo giro verso la cattedra. Lui è educato e si gira, obbediente; ma poco dopo riprende come se niente fosse le sue accese conversazioni. Mi tocca alzarmi per andare a invitare alla tranquillità anche alcuni degli altri: in fondo sono più di venti maschi diciassettenni, è normale che ci sia in giro un po’ di agitazione e di tumulto.
E proprio per questo, perché sono tutti maschi, la butto un po’ sul piano della fisicità. Ho quarant’anni, sono alto e all’apparenza ancora abbastanza in forma, siamo tutti appartenenti al cosiddetto sesso forte, ci possiamo permettere quel po’ di cameratismo virile che fa tanto rudezza ed efficacia. Racconto loro qualche cosa delle mie materie per provare a tenerli tranquilli e intanto giro tra i banchi, appoggiando virilmente la mano sulla spalla di uno o di un altro e mollando un leggero scappellotto a Giulio, tutte le volte che si gira.
E ottengo il mio meritato successo. Loro mi fanno diverse domande e alla fine dell’ora siamo praticamente quasi tutti amici, in particolare io e Giulio. E mentre la campanella sta suonando e inizia l’intervallo, è proprio lui ad avvicinarsi a me e a dirmi, compiaciuto: «Prof, ma lei non ha mai pensato di fare il buttafuori in una discoteca?» Io rimango ovviamente perplesso; poi gli dico: «No, che non ci ho mai pensato. È un lavoraccio…» Ma lui mi guarda e insiste: «Secondo me potrebbe», mi dice; e se ne va, salutandomi.
E mentre me ne vado anch’io, per il mio intervallo, capisco che la sua domanda è il frutto di quel po’ di successo della mia supplenza: Giulio voleva farmi un complimento, un gran bel complimento. E il suo complimento si chiama «buttafuori»; professione rispettabilissima, intendiamoci, ma che Giulio pone ovviamente un paio di gradini sopra la mia, sopra l’essere «insegnante». Tanto da incoraggiarmi, secondo lui, a intraprendere con fiducia una piccola scalata sociale, sfruttando le mie buone possibilità per salire un gradino nella graduatoria del prestigio sociale. «Io sono con lei, non molli!» sembra volermi dire con quell’aria da grand’uomo.
Grazie Giulio, vorrei dirgli. Ma è già lontano e non lo vedo più. Con le sue gerarchie professionali ben chiare, con i suoi jeans stropicciati quanto basta, starà attaccando discorso con qualche ragazza giù nel cortile: con il bel suo sorriso impunito da giovane che sa stare al mondo e che, all’occorrenza, è anche abbastanza generoso da distribuire consigli assennati. A chi se li merita, naturalmente.
Ho male alla pancia per le risate!. Il nome d'arte in effetti si adatta benissimo al temuto buttafuori "Lo scorfano"!.
RispondiEliminacome al solito quando non parli di politica sei fantastico :-P
RispondiEliminauna notazione di carattere gnerale. da "dentro" si tende a rappresentare a noi "di fuori" un'immagine della scuola molto diversa (parlo proprio degli aspetti legati alla "disciplina") da quella che abbiamo frequentato noi vent'anni fa.
mentre leggevo la descrizione che hai fatto tu in realtà mi è venuto da pensare che le cose "ai miei tempi" non erano così diverse
Beato te che hai la "fisicità"! E se fosse capitata una classe simile ad una trentenne alta un metro e 60 (peso 50 chili), su cosa avrebbe dovuto puntare tutto? (è un consiglio spassionato!)
RispondiElimina@Marco. Io sono fantastico anche quando parlo di politica. Sei tu che non capisci la mia fantasticaggine.
RispondiElimina@Tinni. Una trentenne di 50 kg deve puntare tutto sulla superiorità culturale e sui minuti che inevitabilmente passano. Sui minuti, soprattutto.
RispondiEliminaIl carisma non ha niente a che vedere col fisico...però ad una trentenne in una classe completamente maschile, se poco poco posso immedesimarmi, consiglierei una certa dose di umorismo e zero permalosità...
RispondiEliminaBe', l'umorismo senz'altro. Quello serve a tutti, a prescindere dal peso.
RispondiEliminapure io usavo la fisicità all'alberghiero, anche se sono donna. Sono arrivata a far fare le flessioni in classe agli scalmanati, oltre a mimare calci nel sedere e coppini. Ci sono categorie di ragazzi con cui funziona a meraviglia, al limite del miracolo. Ora che sono in una scuola più tranquilla ho smesso, coi buoni non si fa. Al limite minaccio cose truci: mi diletto a immaginarne di creative.
RispondiEliminaQuando ho fatto la prima supplenza (quasi un mese) avevo ventitre anni. Era un professionale, ottici: tutti maschi, diversi coetanei.
RispondiEliminaAvevo molti più problemi coi colleghi, in realtà. Anche quelli erano quasi tutti maschi, ma molto più vecchi ;-)
Però, a voi gentildonne nessuno ha mai proposto la carriera di buttafuori... Insomma, è un privilegio per pochi, questo.
RispondiEliminasei anche alto? ah, se avessi vent'anni di meno!
RispondiElimina:-))
P.S. io li pizzico, fa un male! e per disorientarli parlo in inglese. restano perplessi e in silenzio, almeno per un po'.
ah, ti ho ritrovato, Scorfanuzzo caro! che bellezza! :)
RispondiEliminaPS: concordo con i tuoi alunni la carriera del buttafuori è molto più dignitosa (e ben retribuita) di quella dell'insegnante.
RispondiEliminaEh già, cara Lanoisette, non sono mica riuscito a stare rintanato del tutto come volevo...
RispondiEliminaIo quoto Lucia
RispondiElimina(ma invece di 20 anni in meno mi servirebbero 20 chili in meno :-\)