di lo Scorfano
Solo pochi giorni fa ho scoperto che Alessandro Manzoni tartagliava (grazie a pensieri spettinati): e, lo confesso, ne ho tratto motivo di immediata e compiaciuta soddisfazione.
Non già perché, non illudetevi, io abbia in disistima il povero don Alessandro e il suo grande romanzo ottocentesco, come tanti tra quelli che ne hanno letto qualche capitolo a 14 anni, non ci hanno capito quasi nulla, ma ancora dopo trent’anni tranquillamente dicono e scrivono che è «noioso» o «superato» o altre simili amenità. No, è per il motivo opposto.
Me ne sono compiaciuto perché nutro da sempre grande ammirazione per Alessandro Manzoni e me lo sono immaginato, quarantenne autore dei Promessi sposi, invitato in tv, magari da Fabio Fazio, e incapace di parlarne senza tartagliare. Mica male, no? Uno dei quattro o cinque più grandi autori della letteratura italiana, uno dei massimi scrittori di otto secoli della nostra storia, incapace di presentare brillantemente il suo romanzo. E tanti altri invece, autori di facilmente e auspicabilmente dimenticabili libretti, brillantissimi nel parlarne e nel venderli e nel farli trattare da capolavori. Mica male, davvero.
Senza contare che anche gli altri come lui, i tre o quattro grandi della nostra letteratura, non avrebbero certo fatto miglior figura, in alcun salotto televisivo davanti a qualunque intervistatore e a qualsivoglia pubblico plaudente:
perché uno era gobbo, sempre sofferente, puzzava e raccontava cose incomprensibili ai più; l’altro non fece tempo a scrivere il suo grande poema che divenne pazzo, provò a cancellarlo e a riscriverlo, e passò in carcere la parte migliore della sua vita; un altro ancora, forse il più grande di tutti, se ne andava in giro per l’Italia senza fissa dimora, «con le pezze al culo» (cit.), come tanti di quelli che oggi chiamiamo clandestini, e aveva in più un pessimo carattere, quasi insopportabile; e l’ultimo passò tutta l’esistenza a cercare di scomparire, acquattarsi, nascondersi in una casetta con la donna che amava e non vedere più nessuno; e alla fine ci riuscì anche, beato lui.
Insomma, una congrega di veri e propri disadattati cronici: gente che non avrebbe venduto nemmeno mille copie, oggi che non è importante avere tante cose da dire, ma viceversa averne pochissime, tutte ovvie e scontate, e saperle dire in modo sfacciatamente e superficialmente brillante.
Ecco perché mi ha fatto piacere sapere che anche Alessandro Manzoni faceva parte di questo selezionatissimo gruppetto di disagiati: e che tartagliava e che avrebbe fatto pessime figure in qualsiasi festival della letteratura dei nostri tempi. Perché mi ha confermato in una mia recente idea: che la letteratura (e la poesia), così lontane dal mondo in cui vivo e pertanto così difficili da insegnare a scuola e anche da frequentare a casa propria (perché nel mondo ci vivo anch’io, come ci vivono tutti), che la letteratura sia ancora un potentissimo antidoto alla bruttezza e alla stupidità; o forse addirittura che sia diventata nel frattempo un veleno, nel mondo della bruttezza e della stupidità, a cui nessuno riesce a trovare rimedio. E che quindi possa essere ancora molto pericolosa. Un’arma, forse; senza uccidere nessuno, ma un’arma, senz’altro. Contro la superficialità, contro l’estro gratuito, contro l’intelligenza da supermercato o da festival letterario, contro la comunicazione, contro le relazioni socialmente utili, contro la banalità e i luoghi comuni, contro la facilità, contro tutto ciò che, alla fine dei conti, rende infelici.
E Manzoni quindi tartagliava, balbettava, incespicava sui concetti, magari sputacchiava anche, in modo ignobile. La darò subito ai miei studenti, questa splendida notizia: che senz’altro a loro non parrà nemmeno splendida. Gliela darò perché anche a scuola avviene normalmente lo stesso fenomeno che da tanti anni perseguita me e quelli che devono vendere i loro dimenticabili libercoli (che i miei studenti comprano, ovviamente): il fenomeno per cui i ragazzi che non hanno niente da dire sono gli stessi che non smettono mai di parlare, di dirlo, di ripeterlo, di urlarlo. Non sanno cosa, non sanno perché, non sanno nemmeno con quali conseguenze. Ma lo dicono e lo ripetono, sempre aggredendo con aria brillante e saputa. Spesso solo quel che pare loro efficace, a volte quello che davvero è efficace (la battuta giusta, l’allusione perfida, la considerazione puntuta), mai quello che è davvero necessario.
E altri, invece, altri che avrebbero tante e tante cose utili da raccontare e da provare a spiegare, stanno sempre zitti: per paura, per timidezza, perché non sanno essere brillanti, perché si emozionano e a volte tartagliano e sputacchiano. Come Manzoni, povero don Alessandro. Trattato da imbecille da così tanta gente che vorrebbe magari abolirne la lettura nelle scuole; e sostituirla con qualcosa di più brillante, di più divertente ed estroso, qualcosa che si possa portare ai festival o in televisione e per farci, alla fine, la propria bella figura. Qualcosa che non sia letteratura, insomma, e che non avveleni.
E allora, vado di corsa in classe a portare questa bella notizia ai miei alunni, oggi. E so che nessuno di quelli che vorrei che dicessero qualcosa dirà nulla, che nessuno di loro nemmeno fiaterà. Ma so che capiranno, loro. Gli altri, quelli che parlano sempre un po’ a sproposito, non so.
Solo pochi giorni fa ho scoperto che Alessandro Manzoni tartagliava (grazie a pensieri spettinati): e, lo confesso, ne ho tratto motivo di immediata e compiaciuta soddisfazione.
Non già perché, non illudetevi, io abbia in disistima il povero don Alessandro e il suo grande romanzo ottocentesco, come tanti tra quelli che ne hanno letto qualche capitolo a 14 anni, non ci hanno capito quasi nulla, ma ancora dopo trent’anni tranquillamente dicono e scrivono che è «noioso» o «superato» o altre simili amenità. No, è per il motivo opposto.
Me ne sono compiaciuto perché nutro da sempre grande ammirazione per Alessandro Manzoni e me lo sono immaginato, quarantenne autore dei Promessi sposi, invitato in tv, magari da Fabio Fazio, e incapace di parlarne senza tartagliare. Mica male, no? Uno dei quattro o cinque più grandi autori della letteratura italiana, uno dei massimi scrittori di otto secoli della nostra storia, incapace di presentare brillantemente il suo romanzo. E tanti altri invece, autori di facilmente e auspicabilmente dimenticabili libretti, brillantissimi nel parlarne e nel venderli e nel farli trattare da capolavori. Mica male, davvero.
Senza contare che anche gli altri come lui, i tre o quattro grandi della nostra letteratura, non avrebbero certo fatto miglior figura, in alcun salotto televisivo davanti a qualunque intervistatore e a qualsivoglia pubblico plaudente:
perché uno era gobbo, sempre sofferente, puzzava e raccontava cose incomprensibili ai più; l’altro non fece tempo a scrivere il suo grande poema che divenne pazzo, provò a cancellarlo e a riscriverlo, e passò in carcere la parte migliore della sua vita; un altro ancora, forse il più grande di tutti, se ne andava in giro per l’Italia senza fissa dimora, «con le pezze al culo» (cit.), come tanti di quelli che oggi chiamiamo clandestini, e aveva in più un pessimo carattere, quasi insopportabile; e l’ultimo passò tutta l’esistenza a cercare di scomparire, acquattarsi, nascondersi in una casetta con la donna che amava e non vedere più nessuno; e alla fine ci riuscì anche, beato lui.
Insomma, una congrega di veri e propri disadattati cronici: gente che non avrebbe venduto nemmeno mille copie, oggi che non è importante avere tante cose da dire, ma viceversa averne pochissime, tutte ovvie e scontate, e saperle dire in modo sfacciatamente e superficialmente brillante.
Ecco perché mi ha fatto piacere sapere che anche Alessandro Manzoni faceva parte di questo selezionatissimo gruppetto di disagiati: e che tartagliava e che avrebbe fatto pessime figure in qualsiasi festival della letteratura dei nostri tempi. Perché mi ha confermato in una mia recente idea: che la letteratura (e la poesia), così lontane dal mondo in cui vivo e pertanto così difficili da insegnare a scuola e anche da frequentare a casa propria (perché nel mondo ci vivo anch’io, come ci vivono tutti), che la letteratura sia ancora un potentissimo antidoto alla bruttezza e alla stupidità; o forse addirittura che sia diventata nel frattempo un veleno, nel mondo della bruttezza e della stupidità, a cui nessuno riesce a trovare rimedio. E che quindi possa essere ancora molto pericolosa. Un’arma, forse; senza uccidere nessuno, ma un’arma, senz’altro. Contro la superficialità, contro l’estro gratuito, contro l’intelligenza da supermercato o da festival letterario, contro la comunicazione, contro le relazioni socialmente utili, contro la banalità e i luoghi comuni, contro la facilità, contro tutto ciò che, alla fine dei conti, rende infelici.
E Manzoni quindi tartagliava, balbettava, incespicava sui concetti, magari sputacchiava anche, in modo ignobile. La darò subito ai miei studenti, questa splendida notizia: che senz’altro a loro non parrà nemmeno splendida. Gliela darò perché anche a scuola avviene normalmente lo stesso fenomeno che da tanti anni perseguita me e quelli che devono vendere i loro dimenticabili libercoli (che i miei studenti comprano, ovviamente): il fenomeno per cui i ragazzi che non hanno niente da dire sono gli stessi che non smettono mai di parlare, di dirlo, di ripeterlo, di urlarlo. Non sanno cosa, non sanno perché, non sanno nemmeno con quali conseguenze. Ma lo dicono e lo ripetono, sempre aggredendo con aria brillante e saputa. Spesso solo quel che pare loro efficace, a volte quello che davvero è efficace (la battuta giusta, l’allusione perfida, la considerazione puntuta), mai quello che è davvero necessario.
E altri, invece, altri che avrebbero tante e tante cose utili da raccontare e da provare a spiegare, stanno sempre zitti: per paura, per timidezza, perché non sanno essere brillanti, perché si emozionano e a volte tartagliano e sputacchiano. Come Manzoni, povero don Alessandro. Trattato da imbecille da così tanta gente che vorrebbe magari abolirne la lettura nelle scuole; e sostituirla con qualcosa di più brillante, di più divertente ed estroso, qualcosa che si possa portare ai festival o in televisione e per farci, alla fine, la propria bella figura. Qualcosa che non sia letteratura, insomma, e che non avveleni.
E allora, vado di corsa in classe a portare questa bella notizia ai miei alunni, oggi. E so che nessuno di quelli che vorrei che dicessero qualcosa dirà nulla, che nessuno di loro nemmeno fiaterà. Ma so che capiranno, loro. Gli altri, quelli che parlano sempre un po’ a sproposito, non so.
Facendo prova di grande coraggio e autocritica, vorrei chiedere lumi sull'ultimo dei grandi scrittori del quale non sono stata in grado di comprendere l'allusione. Mi cospargo il capo di cenere.
RispondiEliminaP.s. bellissimo post, come sempre.
L'ho notato dapprima con i cantanti, quelli che io penso siano bravi e in effetti sono anche famosi. Andavano a parlare in TV e mi dicevo: ma perché al posto di parlare non cantano? Poi ci ho fatto caso e ho scovato che ci sono persone molto famose (e brave) nei loro campi che sono inadatte alle interviste da Fazio. Dovresti proporre ai tuoi studenti di stilare una lista.
RispondiElimina@Tinni. Troppo facile, cara mia. Il passo sugli scrittori era un indovinello, e bisogna indoviarne quattro su quattro, altrimenti non vale.
RispondiEliminaPeraltro, se proprio si vuole vincere (niente), ce ne sarebbe pure un quinto, di grandissimo, che per amor di tesi ho dovuto lasciare fuori: lui, da Fabio Fazio, sarebbe stato brillantissimo, ahimè.
Gran bel post. Però poi ce li dici, questi quarto e quinto, vero? :P
RispondiEliminaLi dirò. Ma solo se non arriva qualcuno a dirli prima di me... (qualcuno arriva, vedrai)
RispondiEliminaChissa' se questa tua teoria (da me pienamente condivisa) trova spazio tra le leggi di Murphy?.
RispondiEliminaLeggerti e' un piacere.
Grazie, Ste. Non ricordavo fosse così un piacere avere interlocutori, dopo tanto silenzio.
RispondiEliminaPartecipo all'indovinello:
RispondiEliminaLeopardi, Tasso, Dante, Pirandello. Senza pensare, senza cercare su wikipedia e tenendo conto che l'ultima volta che studiai letteratura con un certo criterio era il 1989 e non ero certo fra i più bravi.
Mmmm... Il quarto non è proprio lui; e del quinto nessuna traccia (ad aver buona memoria, io non ano molto Pirandello)
RispondiEliminaIl quinto, sempre con le considerazioni di cui sopra, sarebbe D'Annunzio. Vuoi dire che ho indovinato gli altri tre?!
RispondiEliminaMontale? I primi tre cf. Comiz. Il quinto..bhe, ci hai detto troppo poco!
RispondiEliminaI primi tre sono quelli. Il quarto e il quinto sono due grandissimi; e il Novecento non vale, perché è troppo vicino. Ora basta, non intervengo più.
RispondiEliminaCome quinto mi verrebbe Machiavelli, da Fazio non avrebbe sfigurato, ma io lo vedo fra i grandi, non fra i grandissimi. Sul quarto c'è nebbia fitta.
RispondiEliminaScusate mi intrometto e propongo come quarto della lista il caro e vecchio Pascoli (il Novecento lo tocca appena... vale lo stesso?), a mio avviso il più disadattato di tutta la nostra letteratura.
RispondiEliminaL'intromissione è gradita, proprio perché aggiunge un nome di cui non era possibile fare a meno (io lo avevo escluso colpevolmente). Dunque lo prendiamo come sesto, che mi pare scelta ineccepibile.
RispondiEliminasto gettando al vento un intero pomeriggio di studio per colpa tua, Scorfano, sappilo.
RispondiElimina;)
Se è vero, me ne vanto. Lo studio fa crescere storti e con la deboscia.
RispondiEliminaIl quarto inizia per F
RispondiEliminae il quinto (ma qui qualche esitazione ce l'ho) per V
RispondiElimina(che poi non ho capito perché quarto e quinto anziché terzo e quarto, ma assumo che il tartagliante sia il primo)
RispondiEliminaSe non faccio male i conti, Manzoni è 0, Leopardi 1, Tasso 2, Dante 3, poi c'è quarto (quello della casetta), quinto (il brillantissimo) e Pascoli.
RispondiEliminama no, dai, non ditemi che è Foscolo! Voleva starsene nascosto? Donna amata?? Non ci credo...
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaNo, Dante è giusto, quindi: Manzoni (detto il tartagliante), Leopardi (il gobbo), Tasso (il matto), Dante (lo spiantato) X (il nascosto), Y (il brillantone), Pascoli (il disadattato aggiunto)...che bel sestetto! Brucio già di invidia per la mente che riuscirà a svelare mister X... io è tutto il pomeriggio che spulcio wikipedia senza risultati apprezzabili!!
RispondiEliminaIo avevo inteso che Dante era stato escluso dall'autore, e pertanto avevo tratto Foscolo dal cappello in sua vece (andava in giro, anche se non solo per l'Italia, e pure spiantato).
RispondiEliminaRileggendo ho capito che Foscolo non c'entra, dato che il terzo è dante; il quarto è V. (ma forse) e il quinto, entrato di soppiatto in un commentuccio, sarà senz'altro A.
A Foscolo ho pensato pure io, ma l'ho escluso poiché la donna amata con cui si ritirò in una casetta sarebbe poi stata la figlia, e non mi quadrava.
RispondiEliminaSulla V, me ne salta in mente solo uno, ma sfora nel Novecento di una ventina d'anni
(oppur anche V., lo zio di M.)
RispondiElimina@tooby - sì, sfora di 22 anni, ma nel Novecento fece poco assai.
RispondiEliminaSe A sta per "Astigiano", mi percuoto per non averci pensato prima :)
RispondiEliminadesso avevo in mente. però l'indizio è talmente vago che anche V. zio di M. ci starebbe a fagiuolo.
RispondiEliminaAllora, torno dal dentista e provo, per quel che posso, a mettere ordine.
RispondiElimina0 Manzoni; 1 Leopardi; 2 Tasso; 3 Dante.
Fino a qui siamo tutti d'accordo.
Poi, per il 4 e il 5 (non citato in quanto brillante promotore di se stesso e quindi in contraddizione con la tesi del port) è ovvio che contanto le preferenze personali. Le quali fanno sì che nessuna delle lettere da voi citate sia una di quelle da me pensate. Di più non posso dire (per ora).
Però, una A c'entra eccome, in effetti.
RispondiEliminaDue stralci (che a me piacciono tanto):
RispondiElimina1 "contro la comunicazione"
2 "contro tutto ciò che, alla fine dei conti, rende infelici."
Una considerazione: tu scrivi e mi comunichi "cose".
Davvero.
Un ringraziamento: se 2 contiene 1, grazie, perché mi rendi davvero infelice.
La differenza (vorrei che ci fosse, lo spero tanto) sta tra comunicare "cose" e comunicare il nulla imbellettato da "cosa".
RispondiEliminaMa soprattutto (lo spero tanto) non ci tengo a renderti infelice: quindi 2 non contiene 1, se 1 non è 0 truccato da 1. Chiaro, no?
Chiarissimo.
RispondiElimina(sguazzo tutto il giorno tra 0 e 1)
Ci riprovo. La nostra letteratura offre infiniti grandi autori, ma non infiniti grandissimi autori, specialmente se confrontati con gli altri grandi d'Europa. Escludendo i grandissimi "vanitosi" (Petrarca e D'Annunzio), propongo come n.4 l'Ariosto amante segreto di Alessandra Benucci (sicuramente stressatissimo dall'attività di funzionario alla corte estense sballotato qua e là) e come n.5 l'ultimo grandissimo che manca all'appello, cioè Boccaccio, che da Fazio non avrebbe potuto nascondere l'obesità, la scabbia e i 5 figli illegittimi...
RispondiEliminaScorfano, anche se non ho ragione, dimmi che almeno ti ho convinto! :)
Be', sono commosso. Il numero 4 è proprio lui, Ludovico Ariosto innamorato della sua Alessandra (e autore per cui nutro una vera e inossidabile ammirazione, ve lo confesso). E il 5 era, nelle mie intenzioni, Petrarca, capace di farsi incoronare a Roma senza avere scritto nemmeno un'opera completa... Però, insomma, fatte salve le preferenze personalissime, mi pare che l'enigma possa dirsi brillantemente risolto.
RispondiEliminaArrivo adesso dal lavoro. Caspita avrei voluto partecipare... Dai Scorfano altro post, i 5 autori piu' pessimi.
RispondiEliminaE' che lavori troppo, mi sa... Comunque, proverò un altro post con enigma, appena mi viene in mente qualcosa.
RispondiEliminaIo sono tra quelli che Manzoni vorrebbe eliminarlo dalle scuole. Per tre ragioni:
RispondiElimina1) Rifiuto l'idea di generazioni di studenti unius libri. Tutti a leggere lo stesso libro, per quanto buono? No, grazie. Io i P.S. cerco di confinarli in un angolo e ai miei studenti faccio leggere quel che pare a loro. Ovviamente io, oltre a suggerire titoli, metto anche dei veti. Moccia, Carcasi, I liceali, ecc. ecc. non sono accettati per una semplice ragione: sono libri che leggerebbero cmq, mentre io voglio che conoscano testi altrimenti ignoti. Quest'anno: Sciascia, Benni, Dumas, Pérez-Reverte, Scherfig, e PRATCHETT. In certe classi credo che mi terrei Rodari...
2) I P.S. hanno dei momenti altissimi e Manzoni è un grande scrittore, ma non va bene a 15 anni. A 19 sarebbe già meglio (ma rimane il mio punto 1).
3) Il sugo della storia fa cascare le braccia: subisci e spera in Dio. Per me laico e progressista, non è un granché di messaggio.
Infine. Non idealizziamo il passato. I difetti fisici erano stigmatizzati e derisi anche nell'800. Anzi, qualche passo avanti l'abbiamo fatto.