domenica 22 gennaio 2012

Uno che voleva migliorare il mondo

del Disagiato

Primo Levi nel suo L’altrui mestiere e più precisamente nel capitolo intitolato "Perché si scrive?" ci dice che sovente gli alunni o i lettori gli chiedono perché mai uno scrittore ha scritto un certo libro o perché l’ha scritto in un determinato modo o perché, detto più semplicemente, lo scrittore scrive. Levi indica nove motivazioni invitando, per levarsi quel poco di presunzione che nasce da questo compito (Primo Levi è gentile, sempre), i lettori a trovarne altre. La prima motivazione (e a me basta riassumere, senza dilungarmi) è: si scrive perché se ne sente il bisogno. La seconda per divertirsi e per divertire, la terza per insegnare qualcosa a qualcuno, la quarta per migliorare il mondo, la quinta per far conoscere le proprie idee, la sesta per liberarsi da un’angoscia, la settima per diventare famosi, l’ottava per diventare ricchi e la nona, e ultima, per abitudine (che Levi indica come la più triste visto che serve solo a "tener viva la firma"). Ogni motivazione è, scusate il pasticcio, ben motivata dallo scrittore e se ancora non l’avete fatto vi consiglio di inciampare in questo capitolo che rischia di venir soffocato dalle opere più famose e utilizzate di Primo Levi.

Tra tutte queste motivazioni ce n’è una molto particolare, la quarta, che secondo me serve a caricare di responsabilità non solo gli scrittori ma anche il suo pubblico: i lettori, gli acquirenti, i venditori (eccomi), gli insegnanti, gli intellettuali, gli opinionisti e i critici. Perché si scrive? E Primo Levi dice che si scrive anche per migliorare il mondo e in questo caso, se pure voi siete d’accordo, “ci stiamo allontanando sempre più dall’arte che è fine a se stessa”. Poi continua: si possono scrivere libri ignobili per ragioni nobilissime, ed anche, ma più raramente, libri nobili per ragioni ignobili. Tuttavia, provo personalmente una certa diffidenza per chi “sa” come migliorare il mondo; non sempre, ma spesso, è un individuo talmente innamorato del suo sistema da diventare impermeabile alla critica. C’è da augurarsi che non possegga un volontà troppo forte, altrimenti sarà tentato di migliorare il mondo nei fatti e non solo nelle parole: così ha fatto Hitler dopo aver scritto il Mein Kampf… 




Qualche giorno fa è stata data la notizia che in Germania verranno pubblicati da una casa editrice inglese estratti del Mein Kampf. È una notizia importante perché questa pubblicazione, che rimarrà comunque parziale, rimetterà in maniera pubblica e trasparente il popolo tedesco di fronte a Hitler e alla sua teorica (ma non fu solo teorica) intenzione di migliorare il mondo. In libreria, dove lavoro io, vendiamo il Mein Kampf e spesso i clienti ci rimproverano di tenerlo sugli scaffali. È giusto che la libreria dia spazio al libro di un sanguinario dittatore? È giusto vendere il libro, qui e in Germania, di un politico che ebbe l’idea di migliorare, alla sua maniera, il mondo? Secondo me l’unico modo per far sì che un libro o, come lo chiama Levi, un sistema non diventi impermeabile alla critica è criticarlo. E per criticare è necessario conoscere e per conoscere è bene avere pubblicamente e in modo trasparente a che fare con ciò che vogliamo criticare. 

Il Mein Kampf (che purtroppo, in passato, un ruolo decisivo l'ha avuto) ha il diritto di essere rivestito di un paratesto, di un contesto e soprattutto di un apparato critico (per poi fare confronti e avere una valida unità di misura con la quale misurare i nostri drammi politici) e per far sì che questo avvenga non dobbiamo nasconderlo. Che al buoi, di nascosto, poi chissà cosa accade e cosa cresce. Un ottimo lavoro intellettuale, per fare un esempio, è stato fatto in questi decenni con "Comandante ad Auschwitz" di Rudolf Hoss, che è un memoriale autobiografico di un aguzzino. Il libro è stato letto, interpretato, analizzato, discusso e, per fortuna, anche aspramente contestato: siamo stati capaci (grazie all'intelligenza, alla sensibilità e allo spirito critico che nascono dalla visibilità dei drammi) di dare dignità e importanza alle parole del nemico. 

Insomma, chi vuole migliorare il mondo ha spesso una volontà forte e un grande amore, acritico, per se stesso e solo noi lettori possiamo per mezzo della lettura, e alla luce del sole, sconfessare e disinnescare le sue parole (ma alcune parole possiamo anche confermarle). Una cliente qualche settimana mi si è avvicinata con il libro di Hitler in mano e, badate bene, mi ha detto con evidente tono di accusa: “Va bene tutto, ma tenerlo così in vista…”. Ecco, la cosa che mi ha toccato non è stato il tono di accusa ma il fatto che il libro fosse “in vista”. Cosa devo fare? Devo venderlo ma sottobanco? Devo negarne l’evidenza e far sì che pochi sappiamo e vedano? Che il libro divenga un oggetto lontano dalla mia e dalla vostra critica, dal mio e dal vostro giudizio? 

Davanti a tutti, penso, ci vergogniamo di voler migliorare o solo cambiare il mondo. Davanti a tutti, in una società che, a differenza dell'Italia fascista e della Germania nazista, dà ancora importanza alla cultura e alla capacità di vedere e analizzare e giudicare, è difficile essere impermeabili alle critiche. E, mi viene da dire, è bene così, visto che le cose "cattive" nascono anche dall'abbandono, dall'incuria, dall'invisibilità e, perché no, dalla non condivisione.

                                                              
                                                                   ***

(Come avrete letto, in Germania gli animi si sono agitati non solo per l’uscita di questi estratti ma anche per la loro data di uscita e cioè il 26 gennaio, che è il giorno che anticipa la Giornata della Memoria. Su questo io ho poco da dire: secondo me è una coincidenza, chiamiamola così, pubblicitaria. Ma questo è un altro discorso).



5 commenti:

  1. Quoto in pieno questo post!
    Vorrei però avanzare anche un'ipotesi più in buona fede riguardo alla scelta della data d'uscita: ricordare per me non significa solamente conoscere quei fatti, ma anche capire il loro perchè e soprattutto capire che cosa si è sbagliato. Il Mein Kampf rappresenta sì una tesi, ma anche una sintesi di quell'errore ed è quindi strettamente legato alla memoria di quei fatti.
    Buona domenica!

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  2. Sì, hai ragione. Non solo conoscere ma anche capire.

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  3. Bellissimo post, Diagiato. Sia riguardo il "Mein kampf" che le motivazioni per scrivere, anzi soprattutto queste per quanto mi riguarda.

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  4. Sempre belle le logiche che inneschi, che ci spieghi. Condivido le tue conclusioni e ti ringrazio per scriverle così dannatamente bene.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)