martedì 31 gennaio 2012

la felicità davvero

di lo Scorfano


Quando entro in classe, in seconda, c'è una ragazza che piange, da sola in un angolo. Non so bene cosa dire ovviamente: allora faccio un segno alla sua compagna di banco e le dico (ma solo a gesti, quasi senza parlare): «Prendila e accompagnala fuori». Lei si alza, le due ragazze escono, la porta si chiude alle loro spalle e davanti ai nostri occhi un po' stupiti, i miei e quelli degli altri ragazzi (cinquanta occhi esclusi i miei, per la precisione). Allora chiedo se qualcuno sa cosa sia successo (e penso magari a un brutto voto nell'ora precedente) e una voce non identificata mi dice: «Ha litigato con il suo ragazzo, stamattina». Io smetto di scrivere sul registro e dico, un po' a voce alta, un po' parlando con me stesso: «Ah, l'amore... Vi farà soffrire alla vostra età, l'amore...» E poi sarei pronto per cominciare la lezione.

Ma una mano si alza e uno sguardo si rabbuia un po', lo vedo bene. E la voce (maschile) mi dice: «Ma dopo non si soffre più, per amore?» «Mah, dico io, si soffre sempre in realtà. Magari si soffre per altre cose, magari a un certo punto si trova anche, l'amore... Io l'ho trovato, per esempio». Ed è forse quest'ultima osservazione che li mette in allarme; un'osservazione molto personale, in effetti. E un'altra voce (femminile) mi dice: «E quindi adesso è felice?» Io sorrido.
Poi dico: «Sì, per quanto riguarda l'amore sono felice... Poi ci sono anche altre cose, è ovvio. La salute, il lavoro, gli amici, i genitori che invecchiano, i soldi, la squadra del cuore che perde... (qualcuno ride) I pensieri non mancano mai, le lacrime servono sempre». «Ma c'è un periodo della vita in cui lei è stato davvero felice?» Ed è sempre la stessa voce che chiede, quella femminile; e allora io mi fermo, poso la penna sulla cattedra e li guardo. E provo a dire (badate bene: ci provo, che non è mica che uno ha queste risposte pronte, nella sua vita un po' felice un po' turbata); provo a dire:

«Be', dipende. Ci sono momenti, periodi, mesi e giorni di felicità. Però ci sono anche problemi e fastidi e rotture e compiti da svolgere e doveri e tutto quello che già c'è nelle vostre vite, di adesso. Non è che a vent'anni sarete felici, o a trenta o a quaranta. Si è felici sempre come si hanno problemi sempre; si è felici se si riesce a dare peso e importanza a quello che si ha, per esempio, a non desiderare troppo di altro, senza per questo smettere di desiderare qualcosa, che anche questo, in certo modo, è felicità. Ma "felicità" è una parola astratta, un contenitore vuoto, siamo noi (siete voi) che dobbiamo riempirlo di cose concrete: che sono le nostre giornate, i nostri affetti, le cose che facciamo che ci vengono bene, quello che sappiamo migliorare, i progetti a cui abbiamo la voglia e la forza di dedicarci. E quindi no, insomma: non c'è un periodo della vita in cui si è più felici che in un altro. Voi siete giovani e dovreste essere felici già solo di questo, di tutto il futuro che avete davanti. Ma lo so che non basta; lo so che volete dell'altro. E anch'io voglio dell'altro. Tutti vogliamo dell'altro. E già questo basta a renderci non perfettamente felici. Però, ragazzi, si può essere in parte felici e soprattutto dare rilievo a quella parte per cui si sta bene, sapendo che è qualcosa, più di qualcosa, sapendo che forse è già molto...»

E insomma, io sono lì, in discreta confusione (l'avete capito), che cerco una risposta che abbia un senso e che non sia né una visione fiabesca né un quadro inutilmente tragico, sono lì che annaspo dentro le mie parole mentre le due ragazze che erano uscite rientrano e la prima non piange più e l'altra le fa un pizzicotto sulle braccia e lei sorride pure. E allora mi viene in mente una cosa, a cui forse non avevo mai più pensato; ma che forse mi era sempre rimasta lì, nella testa, nascosta in chissà che angolo.

Mi viene in mente che da ragazzino giocavo al pallone nel prato vicino a casa mia, con i miei amici del quartiere. Erano gli anni della scuola media, avrò avuto dieci o undici anni. Ma io non ero capace a giocare a pallone, sempre stato negato. Facevo quello che potevo, ma era troppo poco e i miei amici spesso se la prendevano con me per un passaggio sbagliato o un mancato controllo ed ero sempre tra gli ultimi a essere scelto dai «capitani» e questo mi faceva soffrire. E poi, mi ricordo, ci fu un giorno che eravamo in pochi e mancavano proprio quei tre o quattro ancora più scarsi di me, quelli che normalmente erano relegati in porta, tanto erano scarsi. E toccò quindi a me, quel giorno, andare in porta. E io vivevo male quella cattiva sorte: un po' perché era il segno del mio pochissimo talento, un po' perché mio padre era stato, da giovane, un portiere. Piuttosto bravo, tra l'altro. E mi raccontava spesso delle sue imprese sportive, e io sapevo che ero un po' una delusione calcistica, come figlio: perché giocavo molto male, e in porta peggio che in difesa.

M;a quel giorno fu diverso, non so perché. Mi ricordo che quasi subito ci fu in tiro forte, di uno di quelli bravi (si chiamava Massimo), una palla violenta di cui io avevo avuto paura, appena l'avevo vista partire. Ma mi ero messo in traiettoria e, non so come, l'avevo presa, anche se mi aveva fatto male alle braccia. E i compagni di squadra mi avevano dato pacche sulle spalle, mi avevano detto «Bravo». E poi ci furono altri tiri e colpi di testa e attaccanti soli davanti a me e io che mi buttavo per terra, tra le loro gambe, saltavo verso la traversa, e paravo tutto, non so come, non so per quale miracolo, forse perché mi sentivo bene, perché ero bravo, perché gli altri mi guardavano pensando che fossi bravo.

E poi la partita finì, qualcuno portò via il pallone, io avevo parato quasi tutto e avevamo vinto nettamente e allora mi misi a correre, verso casa. Perché dovevo dirlo a mio padre. Dovevo raccontargli subito di quelle parate, di come mi buttavo e deviavo la palla oltre la traversa o al di là del palo. E correvo per le scale, i soliti tre piani, e facevo i gradini due alla volta e volevo dire tutto subito a mio padre, che era appena rientrato dal lavoro. Ed ero contento che tra pochi secondi sarebbe successo.

Ecco, insomma, quel momento lì. Quello sulle scale. Quei gradini senza fiato.

Insomma sì: in quel momento, ora me lo ricordo, io credo di essere stato davvero felice, perfettamente. La felicità perfetta, limpida e senza ombre. Mentre correvo per dire una cosa a mio padre. Ed ero, mi pare di poterlo dire, felice davvero.

Ma poi, ai miei ragazzi, non l'ho detta questa cosa. Sono stato zitto, e anche loro non hanno più parlato: abbiamo fatto la nostra lezione di storia, sui cesaricidi. Ho avuto paura che ci rimanessero male, vi dico la verità. Magari mi avrebbero chiesto com'era andata la partita successiva e io avrei dovuto dire loro che la partita successiva ero andato di mia spontanea volontà a fare il portiere e avevo preso una decina di gol. E così quella dopo ancora. Perché non ero mica un bravo portiere, era stato solo un caso. E mi pareva brutto dire loro che la felicità davvero esiste solo per un attimo, mentre perdi il fiato sulle scale e poi non la ritrovi più. Non mi pareva il caso, e quindi sono stato zitto.

30 commenti:

  1. Chissà se anche i padri se ne rendono conto, ad un certo punto, che sono così decisive le loro reazioni alle nostre gioie.

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    1. Non lo so. La cosa curiosa è che io non mi ricordo affatto la reazione di mio padre a quella mia felicità. Mi ricordo che mi confortò la volta dopo, quando non parai niente, e mi disse che a tutti poteva capitare una giornata storta. Non sapendo che a me ne era capitata una eccezionalmente dritta... ;)

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  2. Concordo con Ste.

    Grazie Scorfano, mi fa piacere far parte del club dei negati a pallone, insieme a te e Plus1gmt.

    Per il resto ne parlavo giusto ieri con una coinquilina, che si lamentava del suo lavoro e stava pensando, come aveva fatto spesso, di cercarne uno con molte meno responsabilità. Allora io le ho citato "Generazione X" di Douglas Coupland ma le ho anche detto che non ci si accontenta mai: lasci un impiego per un altro e poi quello non ti soddisfa più. Come hai detto tu, la felicità, almeno in parte, dovrebbe consistere nel farsi bastare quello che si ha, ma non ci si riesce.

    Scusa il lungo commento.

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    1. Grazie del lungo commento. Anch'io lo penso, quello che tu scrivi.

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  3. quante robe mi smuove questo racconto... come se l'avessi vissuto io e in effetti l'ho fatto.

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  4. Ci fu un anno, però, che spaccammo su campo da basket... fino alla finale!

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  5. Ecco, se posso entrare con un mio ricordo personale, che poi è anche tuo, mi viene in mente quella partita di basket al pensionato universitario, in cui non ce ne fu per nessuno. Tu facevi il pivot, e quel giorno ti entrò ogni tiro possibile, da sotto, nell'area piccola, da tre. Ed anche io feci un discreto lavoro da assistman. Beh, quello è stato uno dei giorni felici di cui ho memoria, non tanto per il campionato vinto, che era ben poca cosa, ma piuttosto perché fu una delle (tante poi) volte in cui ho avuto conferma che la felicità sta nella condivisione. Anche raccontarsi le sfighe può paradossalmente essere un momento di felicità. Basta avere qualcuno con cui andare avanti, da guardare e che ti guarda mentre fai la strada.

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    1. Verissimo per la condivisione. E verissimo che anche quella piccola partita di basket fu un mezzo miracolo. E fu tra l'altro la prima occasione in cui io e te fummo amici: nacque tutto da lì, a pensarci ora (quasi venticinque anni dopo) quasi ci si commuove...
      Ma è anche vero che quella fu la semifinale, non la finale. E la finale poi la perdemmo, perché tu non giocasti (forse eri tornato in Sicilia, non mi ricordo). Il che conferma che di perfezione non si parla ;)

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  6. Mentre ti leggevo, ho rivissuto la sensazione. Quella della perfetta felicità. Anche se è rimasta solo la sensazione e ricordo a malapena il contesto. Chissà perché mi sembra che quelle sensazioni forti, di grande felicità o di profondo dolore (per cose banali, in fondo), le ripesco solo dall’adolescenza. Ma si provano pure dopo i 30 o i 40 anni? Che dici, prof?

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    1. Io credo di sì. O almeno io le ho provate, dopo i 30 e anche dopo i 40. Ma io ho un rapporto un po' complesso con la realtà, per cui forse faccio eccezione, non è impossibile...

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  7. ma Lei non era quello che diceva che negava tutto sul suo tifo calcistico?

    (io a calcio ero peggio che schiappa, ma tanto non mi è mai piaciuto giocare: in compenso ero schiappa anche a basket, e quello sì che mi dava fastidio)

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    1. Si figuri se io nego. Non ne parlo mai, che è diverso ;)

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  8. Io è da un po' che ci penso, e prima o poi lo scriverò meglio, è da un po' che penso che la felicità più pura e vera si trovi in quell'età lì, i dieci undici anni. Poi si è felici a volte, certo, ma in un modo un po' diverso, credo. Ma devo pensarci ancora bene, a questa cosa (io mi ricordo un giorno, di aquiloni fatti a scuola).

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  9. Ieri sull'autobus ho visto la felicità negli occhi di mio figlio, ancora piccolo. Due occhi pungenti e luminosi dopo avere con fatica letto un librino, "Mamma so leggere!!" Gli ho sorriso e non ho detto niente, non aveva bisogno di nulla in quel momento, la condivisione era sufficiente. :-))
    Mary

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  10. Emozionante e coinvolgente questo racconto!
    Non credo che Massimo sappia scrivere così bene :)
    Io sono sempre stata negata per qualsiasi sport.
    Venivo cacciata dalla lezione di piscina perchè mi rifiutavo di fare i tuffi.
    L'insegnante di Karate diceva che, da come mi muovevo, sembravo una ballerina (e non era certo un complimento!).
    Nonostante ciò, ho avuto diversi momenti felici nella mia vita...anche in età adulta, fortunatamente.
    Sembrerà banale, ma io mi sono sentita davvero felice il giorno del mio matrimonio ed il giorno in cui è nata la mia bambina (ovviamente dopo il parto, i momenti precedenti sono stati i più brutti in assoluto).
    Da bambina, invece, mi sono sentita felice quando mi hanno scelto per recitare la parte da protagonista in uno spettacolo teatrale (sì perchè sono negata per lo sport ma, grazie al cielo, ho altre doti).

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  11. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.

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    1. Se però prendi 10 gol a partita, la tua fantasia viene assai poco apprezzata, come ben ti immagini... ;)

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  12. Ecco, l'ho detto che era un po' che volevo scriverlo. Con questo mi hai dato il via, e l'ho fatto: http://spherasfera.blogspot.com/2012/01/stand-by-me.html

    (P.S. è perfetta quella foto che hai scelto. :)

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    1. Leggerò stasera, quando avrò la calma per farlo. E grazie.

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  13. "Ma "felicità" è una parola stratta"
    Manca una "a".

    E riguardo alle cose più sostanziose, è un bel post.
    Forse, ai tuoi studenti, dovresti raccontare quell'episodio. Perché vale più di un tentativo di razionalizzare e bilanciare e spiegare...

    Poi, di fronte all'inevitabile domanda a proposito della partita seguente, si può sempre rispondere: "Ve lo racconto un'altra volta, adesso facciamo lezione."

    Se ricordo bene, non più di un mese fa si dissertava su questo stesso blog a proposito di letteratura: ecco, mi sembra che quel breve episodio, raccontato a voce o per iscritto, sia un buon esempio del "fine" della letteratura, in quanto condivisione.
    I ragazzi impareranno di più da quel racconto che da qualsiasi discussione teorica sull'argomento felicità.

    (Interessante comunque come a una certa età l'equazione amore=felicità sia così assoluta...)

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  14. Volo illam tibi domi nasci: nascitur si modo intra te ipsum fit.
    Seneca-"Epistulae Morales ad Lucilium" Lettera 23

    Per quel che mi riguarda io andavo in discesa, in bici, senza mani.
    E aggiungerò: quando ci ho riflettuto quell'attimo era già trascorso.

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    1. La discesa in bici senza mani cantando a squarciagola è un altro bellissimo ricordo che ho di quegli anni, infatti. A volte mi chiedo come è possibile che non sia morto sull'asfalto...

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  15. Perchè allora non c'erano suv in circolazione!

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  16. E' bello quello che scrivi, soprattutto è bello il rapporto che traspare con i tuoi allievi, direi raro di questi tempi.
    Grazie
    Emilia

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  17. Un professore con questa sensibilità e con un rapporto così intenso con i ragazzi, mi fa nutrire qualche speranza che la scuola riesca, nonostante tutto, a svolgere ancora il suo compito formativo.

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  18. Io sono molto ansioso ma la felicità la ritrovo ogni sera giocando con la mia piccola. Un altro ricordo felice: il giorno in cui riconquistai la mia ex-ex. Me ne ritornai soddisfatto a casa all'alba in motorino con un sole enorme estivo che sorgeva. Avevo un sorriso smagliante. Purtroppo ci lasciammo la sera stessa. Ma in fondo la felicità non è nello stare sulle nuvole ma nell'arrivarci

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  19. Scusa se mi autocito una cosa che ho messo nel mio profilo un bel po' di tempo fa ma è una cosa che per me è ancora vera e importante, la mia chiave personale della felicità: "Niente dura per sempre, tocca rassegnarsi alla vita. E però c'è chi non ha nulla e io ho avuto molto e la fortuna di saperlo nel momento in cui succedeva e di saperlo apprezzare e di poterlo preservare."

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  20. Bellissimo post; bellissimo. Felicità di poter essere come la persona che stimiamo di più; felicità di essere arrivati al suo livello, con le nostre forze, e di avere qualcuno a cui dirlo, da uomo a uomo (felicità che non ci porta via neanche la pessima partita giocata dopo...)

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  21. bello. bello che i tuoi alunni si e ti facciano queste domande.
    credo che la felicità cambi come cambiamo noi.

    OT: in storia sono più avanti di teee pappappero pappappero! (momento di felicità) :P

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    1. Non esultare troppo... E' che io in storia sono molto indietro.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)