mercoledì 25 gennaio 2012

gli sfogati

di lo Scorfano


«Dobbiamo iniziare a far passare messaggi culturali nuovi: dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni, sei uno sfigato. L'importante è fare qualcosa bene: se decidi di fare un istituto tecnico professionale sei bravo; essere un secchione non è male».
Queste sono state, nella mattinata di ieri, le parole pronunciate dal viceministro del Lavoro, Michel Martone, alla sua prima uscita pubblica, che hanno fatto il giro della rete e scatenato un po' di osservazioni e qualche polemica passeggera. Ma, a bene vedere, sono parole che veicolano messaggi molto diversi e non tutti immediatamente riconducibili allo stesso concetto. E quindi anche un po' confusi.


Comincio dall'ultimo, che mi pare interessante: «essere un secchione non è male», ha detto il viceministro; che immagino sia uno dei «messaggi culturali nuovi» che egli vuole che «passino» ai giovani. Ecco, vi dico la verità, io sarei più o meno d'accordo. Nel senso che anch'io penso che la retorica del secchione, il quale studia tanto ma vive poco (o male), sia una retorica fasulla, stantia e un po' imbecille. Certo, non vorrei che a questa retorica se ne sostituisse un'altra, ugualmente fasulla e stantia, per cui o sei un secchione o non vali nulla. Diciamo, insomma, che mi piacerebbe che la retorica fosse lasciata all'arte e alle poesie e che invece, quando si parla di lavoro, ci si attenesse ai dati. I secchioni trovano lavoro prima? Guadagnano di più dei non secchioni? E se non lo trovano prima e se guadagnano di meno, perché questo accade? Come è possibile che uno che studia molto non raggiunga gli obiettivi che tale studio gli dovrebbe consentire? Cosa c'è che non funziona? La domanda, tutto sommato, è questa. E la retorica, così come i messaggi nuovi che debbono passare, non risponde alla domanda. Mentre un viceministro, tutto sommato, dovrebbe.

Anche la seconda delle affermazioni contenute nella frase di Michel Martone mi pare ambigua, tutto sommato, e non del tutto pertinente. Non basta infatti «decidere» di frequentare (perdonatemi l'inesattezza: «fare» è un verbo così generico che non me la sento) un istituto tecnico, per essere «bravo». Bisognerà anche frequentarlo con profitto, studiando e imparando. E soprattutto (ed è di questo che io credo il viceministro ci dovrebbe parlare) sarà necessario che tale istituto tecnico risponda effettivamente alle esigenze del mercato del lavoro. Altrimenti sarai pure bravo ma, quando lo finisci, sei esattamente nelle condizioni di quando lo hai iniziato. Senza lavoro e senza prospettive.

Ma io credo che il viceministro volesse intendere, con questa frase, che non è l'istruzione liceale e universitaria la risposta ai nostri problemi di disoccupazione giovanile. E in questo senso sono di nuovo abbastanza d'accordo. Ma mi chiedo (perché mi ci vedo costretto) com'è che da anni, invece, ci lamentiamo del contrario. E cioè del fatto che ci sono pochi laureati, molti meno che nel resto d'Europa, che siamo sotto la media Ocse, eccetera: a questo io credo dovrebbe rispondere il viceministro del Lavoro: di cosa abbiamo bisogno, insomma? Di più laureati, come ci hanno sempre raccontato, o di più diplomati (bravi) all'istituto tecnico? Io, ve lo confesso, questa cosa non l'ho ancora capita.

E poi, in cauda venenum, la frase più discussa di tutte, quella sugli studenti universitari che hanno più di 28 anni. Anche in questo caso, a una prima lettura, io sarei nuovamente quasi d'accordo. Voglio dire, lo sappiamo tutti che le nostre università sono piene di «giovani» (benché, a 28 anni...) che tutto fanno tranne che studiare. Perché le distrazioni sono molte e perché alcuni degli strumenti formativi più in voga (come l'Erasmus) possono essere usati assai male, senza che nessuno dica niente: cioè non per studiare meglio, ma per studiare meno. Evidentemente, tra l'altro, c'è anche qualcuno che mantiene questo «ragazzi» a tali loro «non studi», non so quanto volentieri. E in questo senso mi pare che Martone abbia senz'altro colto un punto, una questione di cui si parla poco.

Ma non ci sono soltanto quelli però, e questo è l'altro punto. Ci sono studenti che lavorano, nel frattempo; magari che lavorano in nero o per pochi euro l'ora; e magari sono anche i più motivati, proprio perché non hanno nessuno disposto a mantenerli fino a trent'anni; e poi ci sono studenti che possono avere avuto problemi familiari o personali, nel frattempo; e ci sono studenti che si sono presi una seconda chance dopo aver sbagliato strada, magari dopo un istituto tecnico e un lavoro insoddisfacente, ci sono anche loro. E una seconda chance non si nega a nessuno, onestamente. Insomma, vogliamo far passare il messaggio degli sfigati che non studiano? Ecco, diciamo che «non studiano», molto semplicemente. Lasciamo perdere l'età e la «sfiga» e tutto il resto, che non sono una discriminante decisiva, nemmeno parzialmente. Diciamo che un giovane iscritto all'università che non studia ha evidentemente sbagliato qualcosa.

Ma non diciamo «sfigati», per favore. Pensiamoci, prima di dare dello «sfigato» a qualcuno che nemmeno conosciamo. Perché, altrimenti, potrebbe venire il dubbio (a qualcuno malizioso, mica a un'anima candida come me) che il professor Martone abbia qualche sassolino nelle scarpe da levarsi con una certa sgraziata foga; che negli anni qualcuno lo abbia chiamato «secchione», o magari appunto «sfigato», e che ora lui si stia sottilmente prendendo una rivincita dallo scranno che occupa con solenne fulgore. Sarebbe umano, lo so, molto umano; ma sarebbe anche patetico (e un po' arrogante e semplificatorio, come tutti gli slogan): categoria, quella del «patetico in cerca di rivincite personali», che non ha nulla a che fare con l'età, per esempio. E che invece investe altre caratteristiche personali ben più rilevanti: come il temperamento e il carattere, per esempio.

Ecco, insomma: volevo soltanto dire questo al professor Martone: a me pare che ci siano alcune valide idee nella sua analisi (quella completa, che trovate qua); che ci siano spunti di riflessione anche interessanti. Ma il tono, quello per cui lui in effetti si è scusato (gliene si dà atto volentieri), il tono è spesso ciò che rivela l'intimo di un uomo, più dei suoi argomenti, anche più di quelli buoni. E il suo tono ricordava troppo da vicino quello dell'ex ministro Brunetta, soprattutto in quell'aggettivo «sfigati», che in bocca a un viceministro, e rivolto a un'intera categoria anonima di persone, io non vorrei sentire mai. A meno che qualcuno, può darsi, non rimpianga proprio l'arroganza naturale dell'ex ministro Brunetta; della quale, gentile Michel Martone, stiamo facendo tutti felicemente a meno. E la ringraziamo per avercene fatto, di nuovo, prendere lieta coscienza.

24 commenti:

  1. Aspettavo con ansia questo post :D

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  2. Una perla, la tua analisi. Mirata, senza fronzoli e pungente al punto giusto. E la foto è 'na ciliegina.

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  3. D'altra parte, proprio da quella scuola proviene (clan Brunetta/ex-socialisti).

    Da universitario, poi, permettetemi qualche dubbio su uno che arriva, prima dei trent'anni, a quella cattedra che molti non vedranno che attorno, o dopo, i 45/50, magari con centinaia di pubblicazioni.

    Sarà senz'altro un giovane di valore, ma cosa potrà mai avere fatto prima dei 29 anni, per meritarsi una cattedra (ordinario ?) piuttosto di altri con curricola ben + robusti ?

    Anonimo SQ

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  4. Grazie, grazie, grazie. Meraviglioso post.
    ilcomizietto.secchione.sfigato

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  5. Trovo disdicevole l'utilizzo di un termine così infelice da parte di una figura istituzionale, detto ciò a me sembra ovvio che si riferisse solo ed esclusivamente a chi cazzeggia mantenuto ad libitum, e suggerire un invito a creare una cultura tale che chi si ti trovi in tali condizioni si senta inappropriato, sia per sé che per la società, è ben diverso dal dare dello sfigato a una categoria così generica. Siamo troppo intelligenti per far finta di non capirlo.

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    1. Io non voglio fare finta di non capirlo, ovviamente. Ma il suo discorso è generico e confuso e semplificatorio e si presta (come si è prestato) a qualunque tipo di interpretazione (e questo è sempre un torto di chi parla, naturalmente; a meno che non sia un poeta...). Cioè è il contrario di quello che io mi aspetto da chi vuole rappresentare un rinnovamento della classe politica precedente.

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    2. però il suo discorso non lo abbiamo letto (io almeno non l'ho trovato) e quindi dobbiamo basarci sul contesto nel quale è stato pronunciato e sul pensiero noto del viceministro.

      Comunque la mia opinione completa è su iMille</pre
      (e non è troppo dissimile dalla tua, mi sembra)

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  6. Sottoscrivo ogni parola.
    Complimenti per il blog, che seguo già da un po'.

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  7. Concordo con quanto scritto, bel post.

    Specialmente approvo il punto in cui si auspica una parola chiara sulla necessità o meno di aumentare i laureati.

    Probabilmente distinguendo tra le diverse lauree si farebbe già un po' di chiarezza.

    Saluti

    Tommaso

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    1. Io da anni chiedo che si cominci a dire la verità su alcuni corsi di laurea e a prendere qualche provvedimento ad hoc (tipo numero chiuso); ogni tanto mi illudo che qualcuno cominci a pensarci.

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    2. Consiglio a tutti di dare un'occhiata ai dati AlmaLaurea sull'occupazione dei laureati. La percentuale di contrattualizzati a tempo indefinito e le retribuzioni medie per laurea danno chiarissimamente l'immagine di cosa può aspettarsi di trovare un laureato in una certa disciplina. Quando trovate 2500 €/mese, anche se non contratt., capite che è una laurea per libere professioni richieste, quando trovate 1200 €/mese con contratto indet. è una laurea per persone "normali" (la retribuzione credo sia la media dopo 2 anni ca, poi magari migliora ?), quando trovate 300 €/mese non contratt. vuol dire andare a stages senza prospettive serie. Come direbbe Martone, è da sfigati.

      Anonimo SQ

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  8. Sono d'accordo. L'affermazione pecca di analisi, di umiltà (non nel senso di Huriah Heep) e (come ha detto qualcuno) di marketing. Ciò non toglie che un paese in cui si è studenti, e poi giovani, e dunque a carico dei genitori, e dunque ancora in casa, così a lungo è un paese che sta bruciando le future eredità dei singoli in pseudo ammortizzatori sociali.
    Il problema, io credo, è che quando un dato (negativo, preoccupante) è così generalizzato non si può solo ascrivere a mal costume socio-educativo dei singoli. Perché - anche a volere usare le parole del vice-ministro - è il paese, tutto quanto, a essere sfigato.

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  9. ben detto! Tu, non il viceministro.
    Da lui mi aspetterei parole che orientino, una pars construens ben addentellata alla nostra realtà.

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  10. Io sono una di quelle anonime persone "chiamate in causa" dal Martone, rispondo in tutto e per tutto alla categoria del non ancora laureato adulto e che ancora vive a casa. Non sto qui a raccontar della mia vita, delle mie scelte, delle circostanze e delle possibilità che ho o meno, concordo esattamente con l'analisi di Scorfano e credo convintamente sarebbe più proficuo per tutti seminare in giro un po' di sobrietà ogni tanto anziché sparare grosso per fare eco, soprattutto lassù nei ranghi istituzionali.
    Una cosa però mi va di dirla, confessarla quasi, ogni tanto prima di prendere sonno, un po' sfigato (in senso martoniano) io mi ci sento. Vinic

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    1. Probabilmente, prima di prendere sonno, se ci pensimo un po', tutti ci sentiamo un po' sfigati, mi sa. E mi sa che ci fa pure bene. ;)

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  11. Io dico che noi italiani siamo un po' troppo sensibili agli aggettivi, ne abusiamo pure, e non concordando sulla loro interpretazione facciamo a gara a indignarci.

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  12. Repubblica racconta che la media italiana di laurea è 25 anni se si tolgono le persone che iniziano l'università molto più tardi da fine diploma... Va bene discuterne, ma discutiamo di dati reali.. ora sembra che siano tutti fuori corso, e la realtà è diversa...

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  13. Scorfano, mi hai fatto venire un dubbio: i "secchioni" esistono ancora?

    Cioè, davvero in Italia esiste ancora qualcuno che per lo studio sacrifica i suoi interessi, i rapporti umani, ecc.? Secondo me no. Almeno io non li ho mai visti. Secondo me il "secchione" è una figura esistita negli anni '50 e '60, quando c'erano le famiglie non abbienti che mandavano il figlio all'università. A patto che studiasse sodo. Non poteva andare fuori corso, altrimenti non aveva più i soldi per iscriversi. Inoltre il padre l'avrebbe semplicemente massacrato di botte. Insomma, non aveva scelta che essere "secchione".

    Dagli anni '70 in poi i "secchioni" sono estinti. È curioso che la retorica "anti-secchioni" invece sia viva e vegeta. E anche un po' imbecille, come hai detto tu. Ogni tanto sento qualcuno ironizzare su "questi che studiano, studiano" ma poi "non sanno girare una vite". Oltre a essere imbecilli, forse stanno anche ironizzando sui fantasmi.

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    1. Sono d'accordo con te, nel complesso. Il "secchione" come esisteva negli anni '60 non esiste più. Oggi esistono i ragazzi che sacrificano alcuni aspetti della loro vita allo studio, perché lo amano, per senso del dovere e perché convinti di costruirsi un futuro migliore. E poi esiste chi li prende in giro e li chiama "secchioni": ma quella è appunto retorica.

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  14. mi avete fatto tornare in mente a quanto mi sentii sfigata quando, a tesi quasi conclusa, il mio relatore si prese un anno sabbatico: discussione rimandata all'anno accademico successivo!

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  15. uhm stavo per scrivere la mia opinione sui fuori corso quando mi son fermato a pensare che forse la colpa non è solo degli studenti , mi spiego , oggi quanti studenti scelgono e conoscono veramente la propria vocazione? quanti frequentano questa o quella università esclusivamente pensando al fatto che a 30anni avranno un futuro solido e quanti invece scelgono di fare quello che gli piace , quello per cui si sentono portati?pochi
    La scuola si avvicina sempre di piu' a un sistema capitalistico che non segue per niente quelle che possono essere le passioni e l'attitudine ma semplicemente votate al successo professionale ed economico futuro , penso che uno studente che segue quello che gli piace davvero , che lo fa con passione difficilmente va fuori corso perchè alla base di tutto ce la passione .
    Inoltre penso che anche la riforma del 3+2 sia stata complice di questo allungamento dell'età di laurea di molti giovani

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)