lunedì 30 aprile 2012

psicologia fragile


di lo Scorfano


Sabato mattina, mentre prendevo il caffè davanti alla rassegna stampa di La7, come faccio tutti giorni prima di andare a scuola, il conduttore ha letto il titolo di un articolo che io credo fosse sul Corriere della Sera, ma che non ho più trovato e che quindi non vi posso nemmeno linkare (vi chiedo di fidarmi di me, insomma). Il titolo dell'articolo (che era nella pagina relativa al censimento della popolazione italiana) parlava dei giovani secondo l'Istat; e nel titolo si usava l'espressione «fragilità psicologica» e si diceva che questa «fragilità» è assai più diffusa oggi di quanto non lo fosse un tempo. E che quindi i giovani, oggi, sono psicologicamente assai più fragili di quanto non lo fossero ieri o l'altro ieri; e cioè, a bene vedere, di quanto non lo fossimo noi, quando eravamo giovani.

Poi sono uscito di corsa, pensando alle ore di lezione che avevo davanti e a quello che avrei dovuto dire ai miei alunni di prima perché capissero come si usa l'imperativo in latino. Ma non mi sono dimenticato del tutto di quel titolo e di quell'espressione, la «fragilità psicologica», questi ragazzi che ho davanti e che sono psicologicamente fragili, e così ieri, quando ho potuto finalmente respirare, ho provato a cercare l'articolo sul web. Ma non ho trovato niente. E mi sono dispiaciuto perché questo è invece un argomento che mi interessa, una questione per cui non riesco ancora a trovare una chiave di lettura, una matassa, se mi passate l'immagine così frusta, il cui bandolo mi si è nascosto da qualche parte.


Perché, vi dico quello che vedo io da qualche anno, questa cosa della fragilità psicologica a me è sembrata vera: verissima, purtroppo; talmente vera da metterci di fronte a un mondo che (noi insegnanti adulti) rischiamo di non capire più.

Perché è vero, per esempio, che sono sempre più frequenti gli attacchi di panico e di ansia, anche nelle classi di un liceo, anche tra i quattordicenni; perché è vero che sono sempre più abituali i certificati degli psicologi o degli psichiatri che attestano che un ragazzo non può frequentare regolarmente le lezioni, per non ben specificati problemi psicologici; perché è vero (e forse questa è la cosa più sorprendente di tutti), ed è ogni anno che passa più vero, che queste difficoltà (non so come chiamarle, perdonatemi) capitano soprattutto agli alunni bravi, a quelli che hanno voti alti, a quelli che studiano e che avresti detto (io avrei detto) che invece stavano bene nel mondo ed erano tranquilli. Ed erano tutto tranne che tranquilli, invece; ed erano sempre un po' a disagio, se ci capiamo.

Ed è per questo che sabato mattina, davanti alla rassegna stampa del canale La7, con il mio caffè in mano, mi sono irrigidito guardando quel titolo di quel giornale e leggendo quell'espressione: la «fragilità psicologica». Perché non so spiegarmela; perché noi, venti o trent'anni fa non eravamo così, non del tutto; perché io non ho mai avuto, in tredici anni di scuola, dalle elementari alla fine del liceo, un compagno che soffrisse di attacchi di ansia o di panico, o a cui uno psicologo avesse certificato un disagio i qualsiasi tipo, mentre oggi tutti i ragazzi ne hanno almeno uno, di compagno così. Ma la maggior parte ne hanno più di uno. E la minor parte, invece, non ne hanno nessuno, perché sono loro, quelli con gli attacchi di panico.

E vorrei capire, quindi. Vorrei capire com'è che questi ragazzi riescono a essere così fragili quando così tanta parte del mondo che ruota attorno a loro è stata costruita proprio per ruotare docilmente attorno a loro e non metterli in difficoltà; molto più docilmente, per quello che sembra a me, di quanto il mondo non ruotasse intorno a me, quando avevo quindici anni. E allora, la domanda bisogna farsela e bisogna formularla bene (perché è la formulazione della domanda che fa la risposta, quasi sempre): e la formulazione giusta deve coinvolgere anche noi, così mi pare, perché loro sono troppo giovani per avere fatto tutto da soli, e per essersela costruita da soli, questa loro «fragilità psicologica». E dunque, forse, la formulazione giusta della domanda giusta potrebbe assomigliare a questa domanda qui: Cosa abbiamo fatto noi perché i nostri figli o alunni si sentissero, oggi, così «psicologicamente fragili»? Cosa stiamo facendo loro che non va bene?

Ecco, è esattamente questa la domanda che oggi mi pongo e a cui non so trovare una risposta.

59 commenti:

  1. Stiamo facendo ruotare docilmente il mondo attorno a loro. Troppo docilmente.
    (forse)

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  2. Secondo me non gli offriamo speranza, quelle che trovavamo noi pronte e abbastanza credibili di un mondo sensato almeno possibile in cui darci senso a nostra volta. Da adulti magari ci si riesce a attaccare all'orizzonte del lavoro, ci si può chiudere in famiglia continua qualche passione di contorno per i più vitali e amicizia relativa per i più socievole. Da ragazzi c'è bisogno di un senso più grande, non ci si può rassegnare di botto. Oggi è difficile: la religione è difficile da credere, ma anche il suo sostituto consumista alienante appare utopistico. Della politica, non parliamo, se non per ricordare che, se è da vent'anni che il socialismo di stato è difficile da credere, non è molto che le democrazie liberista e i mondi migliori possibili sembrano illusiioni evanescente, nemmeno abbastanza consistenti da poter attutire l'urto

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    1. La risposta politica è la più interessante, per me. Forse perché non ero mai riuscito a pensarloa così lucidamente.

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    2. SAPETE PERCHè OGGI I RAGAZZI SONO SEMPRE SCONTENTI E LAGNOSI NONOSTANTE CHE HANNO TUTTO ? APPUNTO HANNO TROPPO !DANNO SEMPRE COLPA AI GENITORI ! IO VEDO CHE ANCHE NELLE FAMIGLIE CHE VA TUTTO BENE ,AMORE E QUANDO SI STà A TAVOLA CHE SI PUò DIALOGARE SI PARLA DI TUTTO COSA FA ? VA IN CAMERA E SI GUARDA IL VIDEO GIOCO ! ECCO COSè CHE NON VA NEI GIOVANI NON SOCIALIZZANO NEANCHE CON I GENITORI E CI CREDO CHE SONO FRAGILI NON SONO CON LO SPIRITO DI FORZA E ALLEGRIA !!!!IO SONO LA 5 DI 10 FIGLI E NON AVEVO NEANCHE UNA BAMBOLA X GIOCARE E SAPETE COME MI SONO FATTA LA BAMBOLA DI PEZZA FATTA DA ME E SEMPRE FELICE FINO AD'ORA CHE NE SONO PASSATI DI ANNI . BISOGNA AMARE LA VITA TUTTO QUI' !!!!!

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  3. Io comincio a pensare che sia proprio per quello: perché abbiamo costruito un mondo che gira attorno a loro. Loro lo sanno, ne sentono tutto il peso. Pensano che se ci deludono, dopo che abbiamo investito tanto, sarà un fallimento totale, non sanno come muoversi, sono paralizzati dalla paura. E per di più han l'impressione, visto che abbiamo sempre spianato attorno a loro tutte le difficoltà, di non saperle davvero affrontare, di essere impreparati. Sono una generazione che è cresciuta senza sbucciarsi (metaforicamente) nemmeno un ginocchio. Hanno paura di cadere e sbucciarselo, perché non sanno come reagiranno alla sbucciatura. Anche se è una sbucciatura piccola piccola. Per questo sono terrorizzati e non si sentono all'altezza di quello che pensano possa loro capitare.

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    1. Anch'io comincio a pensare così, anche se con molta vaghezza. Però sono ocnfeortato dal vedere che anche tu, che insegni e li vedi, non neghi che questa fragilità ci sia...

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    2. Concordo. La mia generazione non è assolutamente abituata a sbattere la faccia contro il muro. È il principio per cui se uno ha imparato a guidare con l'ABS non ha idea di cosa sia la distanza di sicurezza.

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  4. Sono fragili perché sono spaventati dal nulla che la società propone per il loro futuro. Sono fragili perché appartengono a una generazione che la Storia ha cancellato, ha schiacciato, ha neutralizzato nelle sue potenzialità. Sono fragili perché nemmeno in noi genitori trovano l'aiuto per occupare un posto nella vita, in quanto noi abbiamo occupato il nostro in tempi duri finché si vuole, ma mai mai mai duri come questi. Secondo me sono fin troppo bravi, quelli che resistono almeno; altro che fragili.

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    1. Non lo so. Il periodo è difficile, è vero: però ncontinuo a non capire da dove precisamente venga questo stress di cui soffronto. Visto che non mi pare si chieda a loro di più di quel che si chiedeva a noi...

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    2. Forse è invece proprio il fatto che a loro si chiede molto meno di quanto si chiedeva a noi, in quanto a responsabilità: oggi, noterai, nessuno è mai responsabile di nulla, tutte le responsabilità sono diluite e distribuite, nessun genitore ha mai "colpa" (responsabilità) per aver educato male un figlio; la Scuola non ha "colpa" per non riuscire, nella situazione in cui l'hanno messa, a istruire i ragazzi quanto sarebbe auspicabile; i giovani non hanno "colpa" di non avere ideali (così come va il mondo!); i drogati non hanno colpa di aver scelto di drogarsi, e i delinquenti "Non toccate Caino!". È chiaro che una situazione del genere destabilizza un giovane, che ha invece bisogno di certezze, e di sapere che ad ogni azione buona o cattiva sempre corrisponderà il premio o il castigo.

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  5. Forse in parte hai centrato il punto, Scorfano: succede a quelli più bravi.

    Magari quelli i cui genitori nutrono più aspettative. Immagina una famiglia in cui padre e madre lavorano. Guadagnano abbastanza per poter comprare l'ultimo giocattolo al figlio; contemporaneamente però si fanno sentire distanti perché impegnati nella loro vita professionale e fanno pesare al figlio "tutti i sacrifici fatti per lui", che devono essere ripagati con degli ottimi risultati scolastici.

    D'altro canto, nonostante l'impegno, un/una ragazzino/a può incontrare difficoltà in certi ambiti, per cui si ritrova i genitori come giudici e nessuno che possa capirlo veramente.

    Almeno io l'ho vissuta così.

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    1. Sì, è possibile. Anche io l'ho vissuta così, in effetti. Quello che stupisce è l'aumento numerico di questi ragazzi in difficoltà, davvero notevolissimo.

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  6. E' vero, anche all'università vediamo sempre più ragazzi incapaci di controllare l'ansia da esame.
    Noi però abbiamo cominciato a fare gli esami in seconda elementare !!!

    Ora non sanno neanche più parlare, e pensano che l'esame sia un compito a risposte chiuse, al massimo; d'altra parte le teorie pedagogiche son cambiate: ho scoperto per esempio essere passata di moda la brutta copia (specie nelle materie scientifico-tecniche), bisogna saper fare tutto in fretta (tipo 14 esercizi di matematica in un'ora), non viene insegnato, evidentemente, a poter sbagliare e correggersi, con calma.

    Si vede che l'ingegnere + bravo è quello che progetta il ponte in mezz'ora: che poi cada è marginale. Ma è così anche nel lavoro: bisogna avere almeno 4/5 cose "sul fuoco" contemporaneamente, sennò non si è moderni.
    Insomma, c'è troppa fretta, fonte di stress generico, da una parte, e scarsa esperienza di situazioni di stress da assumere in prima persona (interrogazioni).

    Anonimo SQ

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    1. @SQ
      Vado leggermente OT per risponderti (e anche per vantarmi un po', scusatemi ;) ).
      Io sono rimasto uno dei pochi insegnanti del liceo a non aver rinunciato a interrogazioni orali di lettueratura serie e complesse (e programmatae, nel mio caso). E' una cosa che odio, mi stancano tantissimo, torno a casa e vorrei non parlare più per tre mesi, davvero: però so che ho di fronte ragazzi che faranno l'università e so che dovranno abuituarsi anche a questo tipo di prova e di stress. Per questo continuo a farlo.

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    2. Ciao, seguo da poco il blog ed è la prima volta che scrivo. Comunque, scrivo perchè giusto ieri sera ho parlato con mia mamma al telefono del problema della "velocità" di cui parla Anonimo SQ.
      Ho 29 anni (quindi della generazione che è cresciuta come quella dei quarantenni, ma che poi si è ritrovata scaraventata nei problemi che ora affliggono i ventenni)e sono un tipo che, nel lavoro, ama fare le cose in maniera accurata, fin nei minimi particolari. Ieri mi lamentavo del fatto che in Italia (ora vivo in Giappone) questa cosa non è mai, dico mai stata apprezzata da nessuno. Mi è sempre stato urlato (in senso letterale) di fare più veloce, più veloce, piùvelocechissenefregadicomeviene. Tanto che mi ero anche convinta che il mio fosse un lato negativo.
      Ebbene, finalmente ho scoperto che invece è un lato molto molto apprezzate. Ma dovevo venire all'estero per capirlo.

      Scusa, forse il commento è un po' OT, ma ultimamente anch'io penso molto a questo genere di cose.

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    3. (o meglio, dovevo venire in Asia...e qui potremmo riallacciare l'articolo di Severgnini, ma sarebbe un discorso un po' contorto)

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  7. L'articolo evidenziato dalla rassegna stampa dovrebbe essere questo:
    (trovato qui:http://spogli.blogspot.it/2012/04/lunita-28.html)

    Corriere 28.4.12
    La generazione rassegnata
    Se i genitori sono più istruiti dei loro figli
    di Beppe Severgnini

    Scrive Wall Street Journal: il nel corso della storia americana, i figli sono sempre stati più istruiti dei genitori. Oggi non è più così. Gli americani nati nel 1980, quando hanno compiuto 30 anni nel 2010, avevano studiato soltanto otto mesi più dei genitori. Un'inezia, destinata presto a scomparire.
    Claudia Goldin e Lawrence Katz, gli economisti di Harvard University autori della ricerca, sostengono che questa tendenza avrà conseguenze pesanti. In un mercato globale competitivo, gli Stati Uniti si troveranno presto in difficoltà. «La ricchezza delle nazioni non dipende più dalle materie prime. O dal capitale fisico. Sta nel capitale umano» afferma Ms. Goldin.
    Alcuni dei motivi del declino nell'istruzione appaiono decisamente americani: i costi del college (primo livello universitario); la scelta degli studenti di non indebitarsi, com'è stata finora la regola. Altre ragioni sembrano comuni a tutto l'Occidente, con poche fortunate eccezioni: il numero crescente di ragazzi che lasciano (drop out) durante le scuole superiori; il fatto che lunghi studi non garantiscano più maggiori guadagni; la fragilità psicologica di una generazione cresciuta in un lungo periodo di prosperità.
    Un altro elemento che sta allontanando i giovani dagli studi potrebbe essere questo: la minore spinta dei genitori, restii ad avviare i figli verso studi che non procurano gli impieghi o il prestigio sociale di un tempo. L'ambizione delle famiglie asiatiche appare invece feroce, e accademicamente produttiva. Alcune università negli USA hanno dovuto introdurre un sistema di quote per garantire il posto ai ragazzi americani. Un accesso basato soltanto sul merito li avrebbe visti soccombere davanti ai motivatissimi asiatici, che già dominano le migliori università. Assistere a una lezione in un corso undergraduate di Harvard porta a chiedersi, davanti a tanti volti orientali: in che continente ci troviamo?
    In Europa l'immigrazione è più recente (come in Italia) e, comunque, di origine diversa. Ma il cammino di una generazione sembra comunque segnato. Per motivi demografici ed economici, i giovani inglesi, spagnoli, francesi e italiani staranno peggio dei genitori. E sarà la prima volta che accade.
    È un'inversione pericolosa per molti motivi. Il primo dei quali si chiama dipendenza. Dipendenza economica, culturale, psicologica. La generazione dei figli del boom (nati tra il 1946 e la fine degli anni 60) appare spesso egoisticamente felice di conservare il primato; ma dovrebbe comprenderne anche l'ingiustizia e valutarne i rischi. Veder ciondolare nella proprie case «la generazione rassegnata» non può costituire motivo di orgoglio: soprattutto in Italia, il paese più anziano d'Europa, quello dove il ricambio s'annunciava comunque più difficile. Cresce il numero dei giovani connazionali convinti che gli studi non servano a costruirsi il futuro. Le rigidità del mercato del lavoro, e gli egoismi generazionali mascherati da editti sindacali, non aiutano.
    Per questo appare grave la vicenda denuncia ieri sul Corriere dall'on. Guglielmo Vaccaro. La legge «Contresodo/Italians», che concede benefici fiscali a molti connazionali di rientro, approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento nel 2010, è di fatto bloccata dalla mancata adozione di una circolare attuativa da parte dell'Agenzia delle Entrate (sempre solerte quando si tratta della nostra puntualità fiscale). Se non arriverà entro il 27 maggio, l'onorevole Vaccaro ha annunciato le proprie dimissioni, perché — ha detto — «ci ho messo la faccia di fronte a decine di migliaia di giovani italiani potenzialmente interessati al provvedimento».

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    1. Sì, grazie! Penso anch'io che l'articolo possa essere questo: anche se in realtà, leggendolo, mi rendo conto che di "fragilità psicologica" si parla poco: o meglio, la si dà addirittura per scontata... Come dire che non è nemeno una notizia.

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  8. Ma la faccia, davanti alle nuove generazioni, ce l'abbiamo messa anche tutti noi. Non solo verso i 300.000 italiani all'estero con una istruzione superiore (dato OCSE 2011), ma verso i milioni di giovani connazionali che — dovunque — aspettano un incoraggiamento e una prospettiva. Gli Stati Uniti d'America, se le università perdono iscritti e smalto, rischiano il futuro. Noi rischiamo subito: lo dicono il buon senso, l'osservazione e i numeri. L'ha detto anche Mario Monti, più volte, all'inizio del suo mandato, per giustificare i sacrifici richiesti: dobbiamo farlo per i nostri giovani. Speriamo se ne ricordi, il presidente del Consiglio: dei giovani, intendo. Dei sacrifici — lo abbiamo visto — il governo non s'è dimenticato.
    Ma l'immagine del fiume che, di colpo, prende a scorrere in senso contrario è inquietante. E dovrebbe preoccupare tutti gli italiani adulti, non solo le istituzioni. Creare occupazione «slegando l'Italia» — come auspica Giuseppe Roma, direttore generale del Censis — porterebbe anche a questo: offrire posti di lavoro e retribuzioni che giustifichino anni di studi.
    Lasciare a chi viene dopo di noi solo una montagna di debito pubblico e pensioni da sopravvivenza: non era quello che sognavamo a vent'anni, o sbaglio?

    (caspita, è un po' lunghetto...)

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  9. L'articolo che cerchi è del Corriere di sabato 28 (pagine 2-3) ed è a firma di Severgnini. Il titolo è "Quando i genitori sono più istruiti dei figli". Se mi indichi un metodo di scopiazzamento te lo mando.

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    1. Grazie molte, è quello infatti. Lo ha riportato un'altra commentatrice poco sopra. (Tutti più svegli di me, comunque ;) )

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  10. Scusa, non avevo letto i commenti precedenti: imperdonabile

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  11. Si potrebbero dire un sacco di banalità sul perché ci sia questa sedicente fragilità psicologica. La mia personale visione l'ho messa in un post che non ho ancora pubblicato, ti metto un estratto qui sotto perché credo sia il massimo che posso esprimere a riguardo (e infatti è una banalità).

    Il mondo di oggi è un mondo triste. Noi viviamo in una società triste, in cui tutto ciò che si poteva dire è già stato detto e tutto ciò che si poteva fare è già stato fatto. E per questo motivo ogni novità non è mai strutturale, è un di più, un orpello. Gli uomini primitivi hanno costruito le ossa, i nostri antenati le hanno riempite con gli organi, i nostri padri hanno sigillato il tutto con la pelle.

    E ora noi ci stiamo passando il fondotinta.


    Non so se mi spiego. Forse no.

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    1. La fragilità c'è; o almeno io la riscopntro tutte le mattine e mi sento di dire che c'è, senz'altro. Forse l'unica banalità è pensare che la causa possa essere una soltanto e non un insieme di cause, come è più probabile. Tra cui forse anche il fondotinta, appunto.

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  12. Ma non è che forse, come generazione adulta, abbiamo imparato solo a dare un nome alle cose? Ora sappiamo che si chiama "fragilità psicologica" e che ci sono gli "attacchi di panico", li mandiamo dai dottori che producono certificati e, si spera, terapie o anche solo consigli.
    Ammetto che la società sia un po' diversa - facciamo molto diversa - ma sicuro che anche noi non avessimo le nostre fragilità? Si manifestavano in maniera diversa, magari si abbandonava la scuola più facilmente o ci si perdeva dopo il diploma (per esempio tutta la mia fragilità è venuta fuori proprio in quel momento). E c'era l'eroina - intesa come droga - che ti aspettava nei bagni della scuola, qualche suicidio, quelli ci sono sempre. Quando ti metti a fare la conta adesso, qualcuno se l'è cavata, mi metto tra questi, altri meno, altri no. Ma quanti hanno goduto di una vera attenzione che potesse dare un nome alla loro fragilità?
    Perciò se vedo un po' di fragilità in mio figlio, non voglio sentirmi sempre colpevole e pensare a cosa ho sbagliato. Mi specchio in lui, mi rivedo adolescente, e con il dialogo e l'amore cerco di aiutarlo a superare il suo momento.

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    1. Naturalmente sì, naturalmente è possibile che tu abbia ragione. Io resto un po' perplesso, perché quello che vedevo tra i ragazzi quando io ero ragazzo mi pare molto diverso da quello che vedo oggi, da insegnante. E, come ho scirtto, mi pare che quello che succede oggi (a prescindere dai certificati medici, naturlamente) non succedesse affatto venti o trenta anni fa. Ma i ricordi sono per definizione una menzogna, per cui è possibile che io veda o ricordi male, ovviamente.

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    2. Magari hai solo vissuto esperienze diverse. Tu come insegnante adesso vedi molti più ragazzi di me e hai un quadro più ampio.
      Il discorso è troppo complesso per ridurlo a poche righe di commento. Ci sta dentro tutto, anche il fatto che noi donne siamo oggi madri più consapevoli e per questo molto, a volte troppo protettive. Vale lo stesso per i padri, sia chiaro. E i nostri strascichi di fragilità ci portano a non capire sempre quando è sufficiente la nostra attenzione o quando invece è davvero necessario l'intervento di un esperto (il quale deve aiutare soprattutto noi a capire, sempre per tornare alla nostra di fragilità).

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  13. Deresponsabilizzazione. Li abbiamo messi al riparo da tutto. Dall'errore, dal brutto voto, dal fallimento, soprattutto; li vogliamo tutti bravi e perfetti, ma evitando che camminino (e cadano, e si sbuccino pure il ginocchio..) con le loro gambe. forse è anche colpa della scuola, che li "misura" in un certo modo, non lo so; ma penso che fin dall'asilo si scarica su di loro un'aspettativa di perfezione che non possono reggere. Alle medie vedo "bravi ragazzi" che smettono di studiare; e a volte penso che sia un messaggio, un dire agli adulti il loro "basta". Forse coltiviamo paure, invece di affrontarle.

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  14. Non so... forse non è la deresponsabilizzazione; o meglio lo è ma indirettamente...
    I tempi sono duri, e i genitori ne risentono, e non poco. Loro lavorano e si spingono per mantenere noi lontano dai "pericoli". Questo può generare due casi:
    1- non si è più capaci di prendere le proprie responsabilità, si rimane bambini a lungo, troppo a lungo, e non si riesce a crescere. Le difficoltà non si prendono mai in considerazione e li si banalizza perchè i genitori sono così bravi che non ci rendiamo neanche conto del sacrificio che fanno.
    2- i genitori vanno incontro a stress a loro volta... e ad un figlio pesa più di quel che il genitore pensa, spesso perchè neanche lo sa che il figlio lo vede piangere, arrabbiarsi...

    Appartengono a quest'ultima categoria probabilmente quelli fragili psicologicamente; che capiscono dove si sta finendo, che vogliono aiutare sia i genitori che tutti i loro coetanei, che non si rendono conto che andando avanti così non cresceranno mai. Cercano di aiutarli perchè confidano che prima o poi capiranno... e nel contempo si sentono soli, senza una famiglia alle spalle perchè troppo impegnata, senza amici su cui fare troppo affidamento perchè non in grado di capire quello che passano.
    La fragilità psicologica è secondo me dovuta al rendersi conto tutto di botto della situazione in cui si vive, e dal sentirsi soli...

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  15. E' molto difficile - come diceva qualche commentatore sopra - dare una risposta che non suoni (sia) estremamente banale. Direi che sicuramente avere costruito un mondo a misura di "figlio di" (e aver perso il potere benefico della noia" è una delle componenti. Perché in qualche modo, credo (mi capita di pensare vedendo non tanto o solo i miei alunni, ma anche e soprattutto i miei amici e colleghi genitori), o mi sembra, i figli sentono fin da piccolissimi il peso delle aspettative che si ha su di loro (non ti devi annoiare, devi fare, devi occupare il tempo) e spesso mi viene da dire che tutto questo sia non tanto e non solo per costruire davvero un mondo a misura di bambino e/o di adolescente ma per sanare sensi di colpa o realizzazioni dei loro genitori.
    Insomma, la fragilità psicologica che descrivi mi sembra un po' figlia del vecchio discorso della Miller e del "bambino dotato" (e in questo per esempio io ho fatto in tempo, eccome!, a vederla anche a scuola mia, dove c'erano sicuramente molti casi complicati per classe, proprio come ora - vero è che le classi erano di solito con più femmine che maschi [oplà!]).
    Io credo che dovremmo, noi adulti, lasciare ai ragazzi, da quando sono piccoli, maggiore diritto di autodeterminarsi per davvero, e non di essere nel migliore dei casi dei piccoli tiranni di latta di uno stuolo di 'grandi' apparentemente al loro servizio ma che in realtà insensibilmente riversano su di loro speranze, realizzazione, sogni, progetti e frustrazioni.
    Come farlo? Non ne ho la più pallida idea. Del resto, sono stata abbastanza banale già così (mi consola pensare che anche l'articolo del brillante a tutti i costi Severgnini, lo è).

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  16. ricordo che questo fu uno degli argomenti che trattammo a lezione di scienze dell'educazione il primo anno della SSIS (con professori di tutto rispetto, come Scaparro, Pietropolli Charmet e Mantegazza) e, in buona sostanza, la risposta è contenuta in tutti i commenti: i ragazzi sono fragili proprio perché per la maggior parte di loro è tutto facile/dovuto/scontato. come si temprano i metalli e il vetro? sottoponendoli a degli shock, a dei traumi. insomma, evitando di sottoporre i ragazzi a dei traumi, seppur piccoli (qualche "no" in più, ad esempio), gli impediamo di temprarsi. se a ciò ci aggiungiamo l'ansia e le easpettative dei genitori, siamo a posto, ecco pronti dei piccoli narcisisti fragili e spesso pieni di sé.
    l'ho fatta molto breve, ma ricordo che hai tempi lessi La cultura del narcisismo, di Christopher Lasch (Bompiani) e lo trovai illuminante. tra l'altro,uno dei capitoli parla per l'appunto di scuola.

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    1. Sì, credo anche io che il termine "narcisismo" sia quello da cui si può partire per comprendere qualcosa di quello che sta accadendo.

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  17. Mah ! Io sarò solo un povero cristo, ma ho due figli (21 e 17), anche se un po' particolari (ma vedo per casa i loro amici), e poi li vedo all'università quando mi arrivano al primo anno.
    Tanto per cambiare, mi sembra che la colpa sia sempre dei genitori (anche noi dicevamo lo stesso, io sono del '56). Ma questi benedetti ragazzi, possibile che un poco di responsabilità non ce l'abbiano sulla loro vita ?
    Tanto per dire, la campagna d'Europa, dalla Normandia all'Elba, fu sulle spalle ella generazione che era uscita dalle superiori nel '43, ovvero i nati del '25/26. Ragazzi di 18 anni, che sconfissero i nazisti e riportarono la libertà (sin dove arrivarono) all' Europa. Erano RAGAZZI DI 18 ANNI !
    E ora noi cerchiamo tutte le spiegazioni per giustificare/comprendere i 18 di oggi, che, sia vero tutto quel che si vuole, non affrontano situazioni così tragiche e difficili. Vero è che quella era la generazione che aveva passato l'infanzia e l'adolescenza nel pieno della crisi del '29 e nella faticosa ripresa del New Deal, ed avevano ben chiaro il rapporto tra impegno, fatica, sudore, e premio (che magari era la pura sopravvivenza o poco più). I nostri ragazzi, addestrati dalla pedagogia moderna della scuola dell'obbligo al "fare o non fare è uguale, fare bene o fare male è uguale", tanto si vien sempre promossi lo stesso, son ben diversi, come dicevo sopra ed ho detto molte volte, dalla ns generazione, dove ci si abituava ad esami, bocciature e materie a settembre sin dalla prima elementare.
    Io ho imparato che, se ci si impegna a fondo, prima o poi i risultati vengono, anche se con vera pena, a volte. Questi ragazzi di oggi, come la vedono ? Comunque, la vita li rimetterà in riga, ma quanto spreco di ingegno e risorse, quante sofferenze e quanti rimpianti, tra 10 o 20 anni, per le occasioni sprecate.

    Anonimo SQ

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  18. Con tre figli, di cui due adolescenti, e insegnando quando mi convocano per qualche supplenza, alla fragilità psicologica ci penso da un po'...
    Credo che i bambini e i ragazzi si aspettino da noi adulti un solo messaggio: che NE VALE SEMPRE LA PENA...perchè la felicità è possibile sempre, perchè tutte le nostre fatiche sono volte a cercare la gioia più semplice e autentica.
    Purtroppo gli adulti che circondano i nostri ragazzi troppo spesso non sono esempi di gioia di vivere: siamo maestri nel trasmettere loro delusione nei confronti della vita, precarietà e poco impegno nelle relazioni familiari, sconforto verso il mondo del lavoro, diffidenza verso il prossimo...Forse si tratta di trovare davvero la serenità del vivere pur con i tanti problemi che incontriamo.
    L'uomo è nato per essere felice.
    I nostri giovani meritano di sentirsi dire che la felicità esiste e meritano di osservare noi adulti nel nostro percorso di vita fiducioso verso tale meta.
    Hanno bisogno di vederci sorridere.

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  19. La discussione è interessante e i contributi tanti.

    Non sono d'accordo sul mondo che gira intorno a loro. O meglio, sarà pur vero che ora c'è un servizio strutturato per tutto, ivi compreso il miniclub dei villaggi (dove tutto è strutturato, peraltro), ma il fatto che siano così ansiosi (e in ogni caso qui parliamo degli ansiosi), sta a significare non tanto che sono narcisisti (il che potrà ben essere vero), ma che passano il tempo a preoccuparsi.

    Io lavoro in uno scientifico privato che raccoglie molto di quel che la scuola pubblica non vuole tenersi. Vedo gente devastata dalla paura, anche più di quanto non fossi io (e lo ero tanto). Il sistema scolastico secondo me c'entra: oggi devi preoccuparti dei decimali, altrimenti poi non hai il credito, se non hai il credito non hai bonus, se non hai bonus il voto di maturità diminuisce. Una follia, mitigata solo dal fatto che ormai le università, per fortuna, non se ne fregano niente del voto dell'Esame di Stato. E i genitori sono nella media degli ansiosi che riversano sui figli tonnellate di aspettative fuori da qualsiasi ragionevolezza.

    Poi, al termine di questa odissea, scoprono che molti dei loro sforzi non sono valsi a nulla e che il lavoro e i soldi dipendono da come si sveglia un sindacalista, da qualche botta di culo, da una conoscenza, dalle riforme della pensione.

    E in questo sono immerso anche io, precario da sette anni, e infatti sono arrivato a 34 anni e mi sento più vicino ai miei studenti che ai miei colleghi (quelli di ruolo, almeno. Con quelli precari generalmente litigano perché sono completamente capponizzati).

    Nicola Rossi sulla sua generazione ha parlato di cavallette: sono d'accordo. Solo una cosa nell'articolo di Sevegnini, mi sembra una mezza fesseria: la questione di quanto studino i figli rispetto ai padri. Un tempo c'era un progressione evidente ed ora non più, ma mica si poteva andare avanti indefinitamente: prima si arrivava alle superiori, poi i figli sono andati all'università, poi i nipoti hanno fatto i dottorati. Che altro bisognerebbe fare?? E siamo già in un clima di lifelong learning (che a me peraltro piace molto come cosa)!

    Uqbal

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  20. Ciao Scorfano, è da molto tempo che mi pongo questa domanda e credo che la risposta reale sia che la colpa di tutto ciò è della famiglia.
    Oggi i ragazzi, i nostri figli, sono abituati ad avere tutto, come si è soliti dire, "in un piatto d'argento", e non faticano veramente per avere le cose (tralasciando i maggiorenni), diversamente da come era il mondo nel secolo scorso, dove tutti i ragazzi (o quasi), faticavano per raggiungere i loro scopi, dove anche noi che adesso siamo qui a guardare l'evoluzione di questo mondo, abbiamo faticato.
    Io penso che la colpa di tutto questo sia della famiglia, infatti, capita spesso che i genitori o i parenti cerchino di aiutare i figli, e questo, da un lato è una cosa buona, ma da un altro cattiva, perchè in tutto ci vuole moderazione. E' come quando a pranzo da un amico assaggi per caso una cosa che ti piace immediatamente, ma poi appena la compri e la mangi in maggior quantità ti stufa. Il troppo stroppia.
    Non si può dare troppo importanza ad ogni "fesseria" che accade al proprio figlio, ma si deve lasciare che cresca e si crei un modo di vivere, che si faccia il carattere, perchè il mondo, là fuori, non aspetta che un pollo da spennare. Con questo non voglio dire che non bisogna dare attenzioni ai figli, ma credo che bisogni trovare un limite a tutto.
    Ciao,
    Antonio.

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  21. Non ho mai commentato in questo blog, ma mi sento leggermente chiamata in causa, vista l'età (ho venti anni).
    La nostra è semplicemente ansia da prestazione. In fondo voi adulti siete quasi ossessionati da noi, pensate continuamente che noi abbiamo energie, forze e dinamiche a disposizione e che non siamo capaci di sfruttarle, e quindi, per evitare di essere anche insultati da voi, cerchiamo di gestire le nostre emozioni, fino a consumarci, a disintegrarci, a polverizzarci con il solo scopo di un sorriso, un bacio o un abbraccio sinceri. E invece al posto di sorrisi, ci date in cambio I-cosi, social-cosi, PC, vestiti all'ultima moda e cavolate varie. Caramelle, insomma.
    Noi abbiamo fame d'amore, e voi ci date in pasto oggetti.
    E quindi proviamo rabbia, una rabbia che si accumula nella pancia e non riesce ad uscire, visto che ormai siamo abituati a celare i nostri sentimenti dietro lo schermo di un PC, visto che un abbraccio o un bacio sono solo segno di fragilità. Poi d'un tratto ci cade addosso una crisi mondiale, e voi date la colpa a noi, e noi sentiamo ancora più fame, e proviamo ancora più rabbia, ma non sappiamo come esprimerla, in un eterno circolo vizioso che ci porta alla staticità emotiva e sociale, alla fragilità psicologica di cui parli nel post.
    Scusa per averti dato del tu, scusa pure la lungaggine, ché forse ho scritto solo una marea di baggianate, e forse sono andata anche fuori traccia. Però, non prendertela, io mi sarei pure un po’ stufata di sentir parlare di giovani da chi giovane non lo è più. Perché poi sono io quella che non riesce a parlare con il ragazzo che mi piace, è lui quello che si barrica dietro lo schermo di uno smartphone senza parlarmi, e sono poi io quella che soffre come un cane, barricandomi anch'io dietro lo schermo del mio cellulare.
    Scusa per il disturbo.

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    1. Grazie per il tuo commento, Margherita, grazie per avermi dato del tu, grazie per avere provato a spiegarti e a spiegarmi.
      Una cosa sola devo puntualizzare: a un certo punto scrivi "voi date la colpa a noi"... Ecco, no: questa è l'unica cosa che non ho fatto nel post (anzi: il post è stato scritto per fare esattamente il contrario; e il finale lo dice chiaramente) ed è atteggiamento che non ho mai preso, non a riguardo della "fragilità psicologica"; e il post non voleva parlare di voi, che avete ventanni, ma di noi, che ne abbiamo quaranta e qualcosa abbiamo fatto perché voi viveste così. Lo risrirvo, perché forse non era chiaro come avrei desiderato che fosse.
      Poi sarebbe bello discutere di molte altre cose che tu scrivi e sulle quali sarebbe molto interessante approfondire. Però ci sono cose che è molto difficile fare per iscritto: bisognerebbe farlo a voce e farlo a lungo. Non io e te, che non ci conosciamo, ma ognuno con i ventenni e i quarantenni che conosce. Questa era appunto una delle altre cose che volevo dire con il post di oggi.
      Ciao, e grazie di avere commentato.

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    2. Scusami, c'è stato un equivoco. Non volevo criticare ciò che hai scritto tu nel post. Quel "voi date la colpa a noi" non è rivolto a te, ma è semplicemente un'accusa che sento spesso dagli adulti che mi circondano, soprattutto da quei professori universitari che all'esame, dopo tanto lavoro e tanta fatica, senza nemmeno guardarci negli occhi ci insultano chiamandoci sgualdrine e buoni a nulla (non scherzo). Nella foga del discorso ho generalizzato e non precisato, scusami.

      Comunque di niente. E' sempre un piacere leggerti/vi, scrivete veramente bene. :)

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    3. Nessun problema, effettivamente si capiva cosa volevi dire. Ciao ;)

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    4. > al posto di sorrisi, ci date in cambio I-cosi, social-cosi, PC, vestiti all'ultima moda e cavolate varie

      Gli I-cosi, i social-cosi e tutto il resto sono strumenti, e il male non è mai nello strumento ma nel come lo si usa (con i coltelli si tagliano sia le salsicce che le giugulari, per capirci). Se proprio ti danno noia, spegni il PC, esci e vai in piazza. Dover scansare ubriachi molesti che spaccano bottiglie contro i muri alle 4 di notte potrebbe essere un ottimo modo per recuperare il contatto con la realtà.

      E poi sono convinto che alla fine, per quanto si possa essere stati plasmati dal "mondo esterno" (espressione abbastanza insensata) e dalla generazione precedente, arriva un momento nella vita in cui bisogna realizzare di essere artefici di sé stessi e smetterla di frignare. Possiamo dare ai quarantenni di oggi la colpa per la situazione economica, per la musica di merda che passa in radio, per un sacco di altre cose, ma sicuramente non per quello che succede nella nostra testa. Questo perché, alla fine, nella tua testa sei tu che decidi cosa succede, per quanto molti preferiscano pensare il contrario, dato che -come sappiamo bene in Italia- è molto più facile scaricare la colpa sugli altri che prendersi a schiaffi e cambiare qualcosa, fosse puro uno stato mentale.

      Un tuo coetaneo.

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    5. In genere non passo la mia vita davanti a un computer, li ho visti anch'io gli ubriachi e i drogati alle 4 di notte. E poi seguo lezioni in un policlinico universitario, ogni tanto ho a che fare con persone che soffrono. Insomma, il "mondo esterno" credo di conoscerlo, anche se solo un po'.
      Hai ragione, non bisogna scaricare la colpa sugli altri, è stupido e infantile, lo so, però mi risulta difficile non farlo quando sento in TV: "I giovani che non si laureano entro i 28 anni sono degli sfigati", quando sento il mio professore che, dopo che ha fatto un'ora di ritardo, entra in aula e dice a una platea di ragazzi: "Voi giovani non avete proprio voglia di lavorare", quando a un esame un altro professore mi fa una domanda, e io sto lì, parlo, parlo, parlo, dico anche cose sensate e intelligenti, inerenti alla materia, e lui non mi ascolta perché è più interessato a leggere i messaggi sul suo I-phone che a guardarmi negli occhi e farmi capire dove sto sbagliando, e alla fine ha anche il coraggio di dirmi che io non sarò una brava professionista.
      Non so, forse sbaglio, anche perché sono e sono stata la ragazza timida che a scuola non fiatava e aveva paura di dare la propria opinione. Ho un nodo alla gola anche adesso che sto scrivendo questo. Mi viene anche quando scrivo un sms a una mia amica, sperando che non lo interpreti male.
      Però sono stanca, smt1033, sono stanca di tutto ciò che mi circonda. Vedo troppa ipocrisia, troppa, vedo troppa apatia, una necessità continua di vomitare parole e non dire nulla. Ecco, tu scrivi: "dato che -come sappiamo bene in Italia- è molto più facile scaricare la colpa sugli altri che prendersi a schiaffi e cambiare qualcosa". E allora perché non ci diamo una mossa? Perché rimaniamo impantanati nel nostro piccolo con le mani in mano?
      Io vorrei agire, fare qualcosa, ma mi sento stanca e delusa, vedo che certe volte i miei sforzi sono vani, e allora mi arrendo, versando l'arresa anche nelle piccole intimità quotidiane. E’ vittimismo, lo so, e spero che tanti altri ragazzi siano, invece, il mio opposto.
      Ti ringrazio, infine, per la risposta. La parte finale era ciò che mi volevo sentir dire da molto tempo. :)

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    6. scusami, Margherita. Blogger aveva messo il tuo commento nello spam, non so come mai; appena me ne sono accorto te l'ho pubblicato. Mi dispiace)
      Non abbatterti così, comunque. Ci vorrà del tempo, forse molto, ma io continuo a pensare che il lavoro e l'impegno paghino sempre. Non farei il mio come lo faccio e non chiederei agli studenti di studiare tanto, se non pensassi così.

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    7. Scorfano, ti dirò una cosa piuttosto triste: tu sei un eccezione.
      Invidio i tuoi alunni, perché avrei desiderato anch'io un professore come te, al posto della mia prof. di Italiano degli ultimi 3 anni del liceo, che era di un'ignoranza abissale, ma non mi va proprio di descrivertela.
      E' vero, forse è solo un periodo. Spero passi in fretta. :)

      (Forse avrò scritto troppo nel commento precedente, per questo Blogger mi avrà cestinato il commento... si sarà scocciato pure lui, a un certo punto. Non ti scusare. ;) )

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    8. >Hai ragione, non bisogna scaricare la colpa sugli altri, è stupido e infantile, lo so, però mi risulta difficile non farlo quando[...]

      Mah, sarà che io sono un'inguaribile testa di cazzo che non si fa problemi a mandare affanculo la gente, ma secondo me è solo una questione di tirare fuori le unghie.


      >Io vorrei agire, fare qualcosa, ma mi sento stanca e delusa, vedo che certe volte i miei sforzi sono vani, e allora mi arrendo

      It's a long way to the top, if you wanna rock 'n' roll. No, seriamente, fosse stato un gioco online avrei risposto con un secco "stop whining". La soddisfazione nel riuscire in qualcosa sta proprio nella frustrazione del non esserci riusciti.


      >avrei desiderato anch'io un professore come te, al posto della mia prof. di Italiano degli ultimi 3 anni del liceo

      Ah, la mia era una troietta snob col marito con le mani in pasta, e infatti è stato odio reciproco a prima vista dal primo giorno in cui è entrata in classe. Però, secondo me, lei di me aveva paura. L'irriverenza con certi soggetti è la prima forma di rispetto verso sè stessi.

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    9. Leggendo il tuo commento ho riso. Tanto.
      Non penso, visto che siamo di due città diverse, ma... non è che abbiamo avuto la stessa professoressa? ;)

      Ok, basta, la smetto, altrimenti lo Scorfano e il Disagiato mi bannano dal blog.

      Grazie a entrambi, comunque. Ciao...

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    10. Dubito, in ogni caso il liceo l'ho fatto a Cerignola.

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    11. Allora vedo che è proprio un problema del sud Italia, bene così.

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  22. Io, sinceramente, tutto questo idillio dalle elementari al liceo non l'ho visto, anzi. Io stesso ho passato momenti non proprio "psicologicamente forti". Forse oggi c'è più attenzione per certi segnali. Forse.

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  23. Io, sinceramente, tutto questo idillio dalle elementari al liceo non l'ho visto, anzi. Io stesso ho passato momenti non proprio "psicologicamente forti". Forse oggi c'è più attenzione per certi segnali. Forse.
    ilcomizietto

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  24. Nelle società primitive c'erano i riti di iniziazione;
    in particolare il passaggio dall'infanzia al mondo adulto
    era denso di implicazioni cinestetiche, emotive, sociali, alimentari.
    Oggi i ragazzi vengono sollecitati soprattutto per il
    loro cervello (quando va bene). Scuola, genitori,
    società chiedono cervelli sempre più sviluppati.
    Per il resto non c'è più tempo, competenza o pazienza.
    Forse gli attacchi di panico o l'ansia sono un tentativo
    più o meno consapevole di recuperare, purtroppo in solitudine,
    parte di queste conoscenze che altrimenti andrebbero
    definitivamente perdute; con buona pace della nostra
    corsa evolutiva.
    mapuche.

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  25. Che bella discussione, mi rivedo come madre e come figlia in molti dei commenti, trovo molti spunti di riflessione e approfondimento. Personalmente la vedo un po' come l'anonimo delle 13.48 di ieri e come Margherita poco sopra. Trovo che ci sia un mix di entrambe le letture.

    Una forma di luciditá che spaventa: intuire come possa essere il futuro, dall'osservazione di ciò che si ha intorno. Capire di botto (sbagliando, intendiamoci, perché non è vero, ma la lucidità non è supportata dall'esperienza, ancora) che non ci siano speranze.

    L'altro elemento di fragillità sono le schiaccianti aspettative di chi ci ama e amiamo. I genitori di questa generazione sono maggiormente consapevoli del mondo e del proprio ruolo educativo e forse, involontariamente, hanno passato parte di questa loro impaurita consapevolezza, parte delle loro ansie per il futuro, anche ai loro ragazzi.

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  26. Sì, Carmen, approfitto del tuo commento per ringraziare un po' tutti. Perché la discussione è stata bella e, mi pare, costruttiva. E mi è servita pure a capire qualcosa di più di quello che pensavo e non sapevo di pensare. Bene così, grazie...

    RispondiElimina
  27. Scusa, scrivo solo ora. Ripensando a questa discussione (che anche a me è sembrata interessante) oggi che sto finendo di correggere compiti, mi sono accorta che il varco che mi si è aperto adesso è allora anche più grande. Anche io nelle classi, in proporzione, scorgo sempre più ragazzi fragili e ansiosi. E d'altra parte ho sempre ritenuto di voler essere una prof esigente, che dà tanto e chiede tanto.
    Ma allora, cosa mi chiede l'aver messo "il dito nella piaga"? (perdonami, non ti chiedo risposte facili, o preconfezionate, ma vorrei capire meglio che cosa intravvedi tu dopo questa discussione...).

    Per me, per esempio, essere prof è ribadire che non esiste solo la scuola. E allora, esigere da me e dagli altri, deve per forza cambiare di tono... (scusa se ti faccio parte di queste mie ansie di maggio!)

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    1. Io ti scuso molto volentieri, ma non ho niente da scusare in realtà. Però, scusami tu, non ho mica capito se stai chedendo qualcosa o ponendo una questione o qualcos'altro... (il giorno di festa mi stordisce un po', mi sa)

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  28. Eh, la confusione è certo anche mia (è che sto cercando di capire quanto mi manca al 10 giugno...)
    Mi piacerebbe sapere che sviluppi e conseguenze intravedi tu nel nostro lavoro di prof, dopo questa discussione (dopo aver sviscerato responsabilità della società, delle famiglie, degli studenti, dei prof...).
    Le analisi mi sembrano tutte valide, e mi sembra propendano per l'effettiva maggior rilevanza della fragilità degli studenti di oggi.
    Quindi, se è così, domanda: cosa chiede a noi prof? :-)
    NB: lo scrivo a te, proprio perché nei tuoi post ho sempre visto un prof esigente (giusto ed esigente).

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    1. Credo ci chieda un po' più di cautela, semplicemente.
      Almeno per me, che insegno in una scuola superiore, non si tratta in nessun modo di intervenire: ché non sono preparato e farei soltanto danni. Si tratta di tenerne conto, mentre cerchiamo di avvicinarli alla belezza delle nostre discipline. Di sapere che certe spinte, che noi giudicheremmo amichevoli, per loro potrebbero essere violenti spintoni.
      Così penso io, senza ovviamente esserne affatto sicuro.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)