venerdì 20 aprile 2012

lei

di lo Scorfano


Poi, come è abbastanza normale che sia, a volte vorresti mandare tutto alla malora, e non tornare più indietro, addio.

Gli alunni, prima di tutto, che fai fatica a sopportare, che non riesci più a capire, che ti guardano e non ti vedono e non capiscono niente di quello che dici, che a volte hai quasi paura a interpellare: alla malora anche loro, soprattutto loro. Insieme ai loro genitori, naturalmente: con i quali non ti comprendi più, anche se sono tuoi coetanei, che ti pare che vogliano dalla scuola (da te) cose troppo diverse da quelle che tu hai imparato e sei capace a dare, che ti chiedono soltanto di chiudere un occhio, di chiuderli entrambi, di promuovere e di non rompere, tutto sommato, le palle.  
Alla malora, anche loro. E così anche i colleghi, con cui non sai mai che lingua parlare, che non capisci perché parlino con certe parole, dove le abbiano trovate, certe parole, quando le abbiano cambiate e adottate a tua insaputa, mentre tu cercavi solo di fare bene il tuo mestiere e invece ti stavi semplicemente perdendo, in un labirinto fatto di mattine, tutte le mattine, sempre uguali. E anche il preside, naturalmente, che bisogna chiamarlo dirigente scolastico ma che pur sempre preside è, che non hai mica ancora ben capito cosa voglia da te e perché e fino a quando e a che scopo. Alla malora tutti, anche i bidelli, anche i tecnici di laboratorio, anche gli addetti alle pulizie e gli insegnanti di sostegno e gli assistenti ad personam, anche quelli che hanno l'unico torto di abitare nelle vicinanze della scuola, a pochi passi dall'edificio, alla malora tutti quanti, senza distinzione né discrezione, senza nessuna eccezione di nessun tipo mai.

E torni a casa di questo umore, quindi. E ti chiedi che cosa ti ha portato fino a qui, fino a oggi, fino a questi passi di fine mattina, sempre uguale a tutte le mattine.

Ed è allora che la pensi e la ricordi e sai che è stata lei. Che è lei, se c'è una colpa (e sì, c'è la colpa), il colpevole: la letteratura, non altro: è da lì che sei partito ed è sempre lì che in qualche modo, anche in uno dei più imprevedibili e tortuosi, finisci per tornare. Non si va a scuola per la certificazione delle competenze, non ci si va per le famiglie, non ci si va per i progetti, non ci si va per la Costituzione della Repubblica e nemmeno per il Pof (piano dell'offerta formativa): alla fine ci si va(o almeno ci vai tu) per la letteratura, perché è da lì che sei partito ed è lì che, ogni volta, inevitabilmente torni.

È come un amore giovanile in fondo, un giovanile errore a cui tutto viene scusato, da cui non ti sei mai ripreso. È come una donna bellissima a cui hai sacrificato tutto di te, le tue notti insonni a leggere libri improponibili, le giornate di sole chiuse in casa a finire il romanzo russo che forse non leggerai mai più, le sere passata ripensare a un verso, una parola, una sillaba soltanto... È lei il tuo primo amore, la letteratura. Ed è sempre lei che, in fondo, non hai mai tradito: mentre il resto passava, mentre le donne vere ti lasciavano o si facevano lasciare, mentre la squadra del cuore si popolava di individui impresentabili, mentre le amicizie si sbiadivano dietro qualche strada e i soldi li perdevi da qualche buco delle tasche, mentre tutto il resto trovava sempre il modo di farsi tradire nella più imprevedibile e crudele delle maniere, la letteratura era sempre lì, sul fondo di te, che ti aspettava, senza incertezze.

E ti aspetta anche oggi, infatti, in questa mattina che finisce. E a volte la odi, la detesti proprio per questo; e allora la guardi e le vorresti dire che è diventata brutta, flaccida e invecchiata. Ma lei quelle volte ti sorride, anche se a bassa voce glielo dici davvero, che fa schifo; lei ti sorride e non ti dice che tu sei diventato più brutto e flaccido di lei, che sei invecchiato peggio di come è invecchiata lei. Ti sorride e non ti dice niente, ti aspetta, come oggi, come un'infinità di altre mattine passate e, chissà quante, future da ancora passare. E tu da lei riparti; da lei, come ogni volta, come trent'anni fa, quando ti sei innamorato e non sapevi nemmeno, quindicenne, che non l'avresti mai più tradita.

10 commenti:

  1. C'è quel tocco di sociopatia che mi piace.

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    1. Scrivo qui perchè non mi fa rispondere, più sotto. E poi perchè condivido pienamente la spia sociopatica intravista da Speaker (se non addirittura intellettualmente misogina :). Ma si fa per scherzare, eh. Nel senso, in questo autoritratto, ci stava. Ci stava tutta.
      E in ogni caso,
      "Non ch’io gli uomini abborra, e che in me stesso
      mende non vegga, e più che in altri assai;
      né ch’io mi creda al buon sentier più appresso:

      ma, non mi piacque il vil mio secol mai:
      e dal pesante regal giogo oppresso,
      sol nei deserti tacciono i miei guai."
      Non so, mi hai fatto pensare a lui.
      E alla corrispondenza d'amorosi sensi, vabbè, ovvio.
      Cmq grande post,
      Laura.

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    2. Sociopatia sì, un bel pizzico. E senz'altro anche misantropia, mi tocca ammetterlo. Misoginia, invece no, francamente. Vittorio Alfieri senz'altro sì, grazie ;)

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  2. Avrei preferito leggere il suo nome proprio: Beatrice o Laura, per esempio.

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  3. ah, come va con il fumo?
    (il nome proprio? Chiara, mi sa)

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  4. Il nome invece può essere, per quanto mi riguarda, solo Laura. Beatrice no, perché c'è troppa grazia salvifica in mezzo e io non ci sono per niente portato. Chiara nemmeno, perché è la storia della mia giovinezza ed è nome legato a una persona, troppo vera per essere anche una metafora. Il nome è Laura, in effetti; avevo provato a spiegarlo qui, in parte:
    http://sempreunpoadisagio.blogspot.it/2011/02/non-credere-laura.html
    E anche qui:
    http://sempreunpoadisagio.blogspot.it/2011/04/erano.html

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  5. stamattina, dopo una notte durata troppe poche ore, mi sono trascinata in una stanza di una città lontana e piovosa e immersa nello sciopero e tutto avrei voluto fuorché stare lì. Poi, seduta a fianco a fianco di una ragazza vhe probabilmente non capisce che una parola su venti di quelle che dico, e ha lo sguardo vacuo e lo sbadiglio facile, ad un certo punto mi sono messa lì e senza uno straccio di voglia ho detto dai, apriamo sto orlando furioso e leggiamolo insieme. E lascio immaginare a te cosa è successo, poi. Era Lui; quel mio Lui come la tua Lei, più bello che mai. E poi, in treno, mi trovo questo post sotto gli occhi e penso: evviva!

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    1. Evviva davvero, Tinni. Questi sono i pochi prodigi che ancora ci sono concessi, tutto sommato.

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  6. Evviva! Davvero, anch'io. Un amore di quelli che ti fregano ma non ti lasciano mai.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)