Non servono le liste ma servono, forse, le motivazioni. Perché si lavora? Per guadagnare. Perché guadagnare? Per pagarsi l’affitto, per pagarsi la pagnotta, per pagarsi un maglione di lana e per tanti, tantissimi, altri motivi. Perché andare al cinema? Per avere un punto di vista, una visione delle cose, risponderebbe Max Weber. Per divertirmi e svuotare la testa, risponderebbe mio cugino, che di punti di vista non sa cosa farsene. Bene, allora perché viaggiare? Perché fare le valigie, chiudere la porta di casa a chiave, avvisare la signora del piano di sotto che staremo via qualche giorno (cosa che solitamente faccio, non si sa mai) e prendere un aereo o un treno o un’automobile per andare a Barcellona o a Palermo o ad Acapulco? E qui si potrebbe cominciare a fare una lista. Viaggiare per: conoscere posti nuovi, per fare nuove conoscenze, per aprire la mente, per farsi una cultura, per mangiare piatti che non abbiamo mai mangiato, ad esempio.
Calvino è più sofisticato e, non ricordo dove (saggi sul Giappone? Calvino ha scritto così tanto che non appena ci si avvicina a lui la bussola impazzisce), ha detto che viaggiare serve per dare all’occhio geometrie diverse. Da casa nostra al luogo di lavoro le rette, le parallele, le intersezioni, i cerchi, i rettangoli, i quadrati sono sempre gli stessi: le stesse case, le stesse tangenziali, le stesse rotonde, gli stessi capannoni, gli stessi semafori e poi, ecco, le stesse facce, che a un certo punto l’abitudine trasforma in figure geometriche.
Di fronte alla mia scrivania sta appesa alla parete una piccola bacheca di legno (rettangolare) e attaccata a questa bacheca, tra fotografie e disegni, c’è una cartolina che regge una frase un po’ sconnessa e sicuramente tradotta male (questa frase l’ha scritta un certo T. Wilson), ma che a me piace molto: “C’è chi viaggia per conoscere persone nuove. Io viaggio per dimenticare quelle che già conosco”. Che quelle “che già conosco” a me non mi hanno fatto nulla di male, sia chiaro, però l’allontanamento da quelle che “già conosco” mi sembra ancora oggi un buon movente. Movente viscerale e interiore ma sensato.
Sì, ma le nuove geometrie di Calvino? E la mente che si apre? E la cultura e i cibi e le donne (e gli uomini) da conoscere e scoprire e imparare? Viaggiare non significa forse tornare a casa un pochino arricchiti? Non vuol dire ritornare nel trito quotidiano con in testa qualche figura geometrica in più? E magari ritornare a casa innamorati, non si sa mai, la vita è imprevedibile. E poi chissà l’amore che forma ha. Secondo me l'amore è esagonale. Ma non ne sono sicuro.
Recentemente ho fatto un viaggio. Come mi sento? Mi sento come una persona che ha qualcosa in più? Ho visto la cattedrale di Valencia e poi ho mangiato piatti tipici di Valencia e poi ho conosciuto un amico di un mio amico che abita poco distante da Valencia e che ci ha guidato per le strade e le chiese e i musei di Valencia. Nuove geometrie, nuovi odori, nuove facce. Allora, mi sento arricchito?
Forse. Ancora non lo so, ancora non l’ho capito bene. C’è una cosa di cui sono sicuro, però. Sono sicuro che quando viaggio riscopro “materia” che era sepolta. Il viaggio, il mio modo di viaggiare, riporta alla luce ciò che mi è naturale e seppellisce per qualche giorno ciò che mi è innaturale. Quando viaggio mi accorgo che sto bene senza internet, senza cellulare, senza libri (non ho nessuna voglia di leggere romanzi) e senza cose che non sono altro che tic, nevrosi. Insomma, scusate la brutta immagine, ma è come se più che farsi una pelle nuova ci si levasse quella vecchia e morta. Ecco, per me viaggiare è comprendere con un briciolo di stupore cos’è che ci è innaturale.
E la frase di T. Wilson che sta sulla bacheca, in casa mia? A Valencia ho incontrato una studentessa che qualche mese fa ha fatto un’esperienza Erasmus (si dice esperienza?) in Italia, a Milano. E mi ha raccontato, la ragazza, che l’Italia è fantastica, che Milano è una città bellissima, piena di opportunità e che vorrebbe venire nel nostro paese a vivere, che qui da noi, a differenza che lì da lei, la gente è fantastica, aperta e solare. E io le ho detto, sorridendo, che mi piacerebbe tanto fare le valige e venire in Spagna, che la Spagna è bella e la gente è più aperta e solare e che magari Valencia, a differenza di Brescia e Milano, dà più opportunità di essere felici o anche solo sereni
“Vedi”, ho continuato noiosamente, “secondo me vogliamo solo partire, staccare la spina. E solo quando partiamo e stacchiamo la spina da tutto e da tutti siamo felici. O almeno ci sembra di essere felici”. Poi le ho citato la frase della cartolina che sta sulla bacheca, a casa mia, a Brescia, in Italia: “C’è chi viaggia per conoscere persone nuove. Io viaggio per dimenticare quelle che già conosco”. “Chi l’ha scritta questa frase?”, mi ha chiesto lei. “Un certo T. Wilson”, ho risposto. “E chi è T. Wilson?” Chi sia questo T. Wilson non lo so. Scusami, ma proprio non lo so.
E poi l'hai baciata.
RispondiEliminaDopo un discorso così è già bello che non mi abbia mollato un ceffone proprio qui, in faccia.
EliminaDovevi baciarla, comunque.
Elimina(Ah, lo scrivo anche se già so che tu già sai che io lo penso: ha ragione lei. L'Italia è meglio.)
Io sono un po' d'accordo con te.
RispondiEliminaLe persone e i luoghi danno il meglio di sé quando si esperiscono per un breve periodo.
Io parto, e parto davvero, tra poco e per molto tempo, principalmente per essere un volto nuovo per tutti, e perché tutti siano un volto nuovo per me.
Solo questo.
Sono indiscreto se ti chiedo la destinazione o le destinazioni?
EliminaNo, figurati.
EliminaVado a lavorare in Mali, per sette mesi, poi forse Kenya, non so.
Altro che staccare la spina. In bocca al lupo.
EliminaCrepi!
Eliminaio agli Erasmus facevo sempre raccontare dei loro Paesi, ma soprattutto dell'Italia vista con i loro occhi
RispondiEliminaDimenticavo: spero tanto tu l'abbia fatta innamorare almeno di Brescia
RispondiEliminaNon ho avuto il tempo materiale per parlarle della mia città.
RispondiElimina