Viste da fuori (e cioè: viste da uno che ci sta chiaramente dentro fino al collo, come sono io, ma che non ha affatto le competenze per capire nei dettagli quello che sta avvenendo e quindi si limita, semplicemente, a cercare di comprendere il quadro generale entro cui i dettagli stanno via via prendendo la loro forma), viste da fuori, dicevo, sia la crisi economica sia la cosiddetta riforma del mercato del lavoro, che in questi giorni occupa le prima pagine di tutti i quotidiani italiani, trovano una spiegazione piuttosto semplice e non del tutto, almeno per me, confortante.
Nel senso che, vista da chi non ha molte competenze tecniche oltre al suo banalissimo sguardo curioso, la crisi economica appare niente di più che che una redistribuzione su scala planetaria delle ricchezze del pianeta: che, fino all'altroieri, ci siamo goduti noi, accumulandole – seppure in varia misura – nelle nostre mani e sotto i nostri tetti, e finanche lamentandoci se qualcuno arrivava qui sui barconi a cercare di averne un pezzettino per sé e per i suoi figli: noi italiani intendo, noi europei, noi occidentali, noi che eravamo nel G7 prima e nel G8 dopo.
Le quali G però si stanno nel frattempo pareecchio affollando (e sono diventati G20, infatti) mentre le ricchezze planetarie, essendo il pianeta terra una palla limitata, rimangono, nella sostanza, sempre le stesse. E quindi cominciano a essere divise in parti diverse dalle parti dall'altroieri. E siccome noi siamo sempre stati quelli che si prendevano la fetta più grossa, ecco che improvvisamente la chiamiamo «crisi»: ed è in realtà che semplicemente ci sono altri, molto più numerosi di noi, che vogliono un po' della ricchezza del pianeta anche per loro, un po' di quella che accumulavamo noi. E la reclamano e la pretendono: e noi, volenti o nolenti, gliela dobbiamo dare, perché loro sono tanti e producono merci molto più a buon mercato di noi: e quindi non c'è nulla da fare. E quindi dobbiamo risparmiare.
E come risparmiamo? A me sembra chiaro che abbiamo deciso di tagliare le spese, come si farebbe in una qualunque famiglia. Chi di noi poteva ha delocalizzato, per esempio: che è stato un modo per fare scontenti tutti, tranne se stessi, e di produrre merci allo stesso costo dei paesi emergenti. Noi invece, che non potevamo delocalizzare nulla, abbiamo deciso (chi ci governa e ci rappresenta ha deciso: ma è, nei fatti, la medesima cosa) abbiamo deciso che c'era forse qualcosa che ci costava troppo e ci rendeva poco; ci siamo guardati intorno e abbiamo pensato che ciò che ci costava molto era il cosiddetto stato sociale e quindi abbiamo semplicemente deciso di tagliare quello.
Lo chiamiamo articolo 18, oggi; ieri lo chiamavamo pensioni di anzianità; domani gli troveremo ancora un altro più difficile ed esotico nome (magari i salari che scenderanno di un bel 20%, come paventa qualcuno; o magari le aule delle scuole pubbliche che arriveranno a contenere 50 alunni l'una; o magari gli ospedali pubblici che non si occuperanno più di fornire cure per le malattie troppo dispendiose, non lo so): gli daremo via via nomi sempre diversi ma la cosa che chiamiamo è sempre la stessa ed è semplicemente lo stato sociale (oppure welfare, per quelli che non parlano bene l'italiano).
Abbiamo deciso così, insomma; i nostri governanti, che è la stessa medesima faccenda, hanno deciso così. Che è necessario assomigliare ai paesi emergenti proprio in questo: nelle tutele sempre minori alle parti più deboli della società, perché così risparmieremo e produrremo a costi un po' meno elevati. Ci lasciamo raccontare che è un modo per ridurre il precariato, ma sotto sotto sappiamo bene che è un modo per rendere tutti un po' più precari; e quindi, nei fatti, è un modo per espanderlo, il precariato. Stiamo rinunciando al superfluo, insomma, come si faceva nelle buone famiglie di una volta quando le risorse cominciavano a venire meno. E abbiamo semplicemente deciso (o lasciato decidere) che il superfluo è proprio lo stato sociale e che proprio questa sarà quindi la nostra rinuncia.
Ecco, a me, che ci sto dentro ma lo posso vedere soltanto da fuori, sembra questo. E mi sembra che in futuro, quando saremo giudicati dalle generazioni a venire, saremo giudicati proprio sulla base di questa scelta che oggi stiamo facendo o lasciando fare. Ditemi pure che mi sbaglio, se credete: ne sarò sollevato.
"lasciato decidere" e "lasciato fare" mi sembrano le frasi più appropriate.
RispondiEliminaÈ sconcertante, veramente sconcertante vedere la mancanza di reazione popolare. Però c'è da dire che la preparazione è stata lunga, lunghissima. Il precariato come forma di lavoro predominante esiste ormai da anni, i servizi sociali sono andati in peggio da anni e anni...
La generazione prima della nostra verrà giudicata probabilmente malissimo per aver lasciato correre un modello di sviluppo assurdo ed ecologicamente insostenibile, E per aver permesso la riduzione dei diritti. Noi per aver subito passivamente tutto questo senza riuscire a organizzare opposizioni degne di questo nome.
Alcuni, pochi, potranno dire di essersi opposti: membri di qualche sindacato (non certo tutti), e di gruppuscoli ecologisti o politicamente radicali...ma con influenza zero sulla popolazione, e di questo dovremo chiederci il perchè e rendere moralmente conto, forse. Forse gli unici che si salvano sono i no tav, i soli che stanno conducendo la propria lotta in maniera efficace. Gea li benedica!
Dopo questa "paccata" di provvedimenti, le scorte stima che avevo in questo governo si sono ridotte a zero. Posso dire di averci provato, ad essere ottimista.
RispondiEliminaAnch'io posso dire altrettanto.
EliminaLa tua lettura/interpretazione non spiega però perché questa crisi colpisca in modo diverso paesi come Italia/Grecia piuttosto che Germania/Svezia.
RispondiEliminaLa seconda obiezione riguarda la mancata sollevazione 'popolare'. Non ho ben capito che cosa dovrebbe/dovrei fare per esternare in modo efficace la mia contrarietà. Il problema mi sembra invece che non ci sia alcuna rappresentanza politica in grado di raccogliere e porre in maniera lucida una scelta alternativa.
Nessuna "sollevazione": in realtà io non ne ho proprio mai parlato. (quanto alla Germania/Svezia, non lo so: immagino fossero sempliecemnte economie più solide della nostra)
EliminaGermania e Svezia non è che non sono colpite, ma è normale che durante qualsiasi crisi alcune regioni siano colpite in modo diverso (più-meno pesante) di altre. Come dire: quando l'impero romano stava crollando, era probabilmente meglio vivere nella penisola iberica che ad aquileia, ma la crisi era globale lo stesso no?
RispondiEliminaNon stavo parlando di sollevazione ma di opposizione.
Un paio di idee che mi vengono in mente: sciopero generale ad oltranza, obiezione fiscale di massa...il problema non è che ci manchi un ghandi che dica queste cose, il problema è il popolo che non attua niente di tutto ciò.
La rappresentanza politica è senza dubbio un problema, ma secondo me si inserisce in un contesto molto più vasto in cui è il concetto stesso di democrazia rappresentativa ad essere in crisi. bisognerebbe fare dei passi avanti perchè ogni sistema nasce come tentativo di migliramento del precedente ma se sta fermo ammuffisce...
La nostra Costituzione tutela il lavoro, il reddito commisurato alla qualità e quantità della prestazione, pone le basi dello stato sociale (previdenza e assistenza), non solo e non tanto per appellarsi a bei principi di massima ma perché tutte queste sono le precondizioni della libertà. Libertà politica, innanzi tutto, che è poi un riflesso della libertà individuale, forse, in uno stato organizzato democraticamente, il più importante. L'art. 18 St. Lav. nacque in quest'ottica, quella cioè di non rendere ricattabile nessuno, e di riconnettere la risoluzione del rapporto di lavoro a reali ragioni disciplinari o aziendali, pena la reintegra in caso di loro insussistenza. L'art. 18 St. Lav. è una norma, come si suol dire, di civiltà giuridica. Ora, cosa accadrà in futuro? Con il licenziamento economico, non sindacabile dal giudice quanto ai profili di opportunità che lo hanno determinato, sarà destinato ad acuirsi il divario, molto italiano, e molto terzomondista, tra i fortunati e gli sfortunati, tra coloro che hanno avuto la ventura di nascere dalla parte giusta della strada e quelli che sono nati dalla parte sbagliata. Di fronte a scelte come il licenziamento economico, l'imprenditore starà ancora più attento alla carta d'identità del lavoratore, intesa come appartenenza familiare, di ceto, di referenti politici, di amicizie. E a pagare, ci scommetto, saranno ancora una volta i poveri cristi. Addio mobilità sociale. Altro tema. Con la pensione a 42 anni di contributi ed il licenziamento per motivi economici semplicemente indennizzabile (pare a 2 o tre anni di retribuzione), cosa farà il lavoratore cinquantenne, ormai praticamente un cadavere per il mercato del lavoro, ad arrivare alla pensione? Dietro questa riforma, anzi prima di questa riforma, sarebbe necessario dinamizzare il mercato del lavoro affinché chi lo perde, il lavoro, anche a cinquant'anni, possa trovarne un altro. In Italia questo per ora non accade ed è destinato a non accadere per molto altro tempo. Nei dieci anni che seguiranno la riforma Fornero avremo molti uomini di mezz'età che lavoreranno in nero, dopo essersi spesi i due/tre anni di retribuzione ricevuti dal giudice che ha dichiarato illegittimo il loro licenziamento economico. Tutto questo, insieme alla devastazione delle professioni liberali, ridotte a puro mercimonio o a ruoli socialmente ed economicamente marginali, quali conseguenze porterà sul piano sociale? Difficile dirlo. Cardarelli diceva: "la speranza è nell'opera". Se l'opera è quel che è, penso che ognuno sia capace di tirare le sue conclusioni. Vi saluto, nel modo più amareggiato possibile.
RispondiEliminaEcco, sono d'accordo anche detta così.
EliminaPremetto che ritengo di saperne quanto, se non meno di voi, ma vorrei comunque esporre il mio punto di vista.
RispondiEliminaQualche mese fa mi è capitato di andare a sentire una conferenza informale tenuta da un importante economista italiano.
Tra gli argomenti che più mi hanno colpito c'è quello della "vasca vittoriana". Le crisi/forti oscillazioni economiche degli ultimi decenni, a suo dire, possono tutte essere tutte ricondotte al modello della vasca da bagno vittoriana: una brusca caduta iniziale, un marcato periodo di stagnazione ed un lenta ma graduale ripresa. Questa ripresa non riporta però mai ai livelli di benessere pre-crisi. La perdita più importante è riscontrabile appunto nello stato sociale.
Oltre, purtroppo, non è andato.
A me, caro Scorfano, sembra triste ma molto verosimile che i tagli colpiscano proprio il welfare. Questi però non sono tagli fatti per "risparmiare". Sono dei tamponi applicati nel tentativo di arginare un'emorragia. Il welfare è stata una conquista culturale, sociale ma anche e soprattutto economica. Le condizioni in cui versa la nostra economia non sono più quelle di 10 anni fa. E' quindi logico che non possiamo più permetterci lo stesso modello di welfare. E' come quando si chiude l'acqua ad una casa per poterne riparar le tubature.
Con questo non sto dicendo che questi "tagli" siano corretti, ma che sono necessari.
Il popolo può anche sollevarsi, ma il primo tratto di strada che dobbiamo percorrere è ormai segnato.
La priorità ora, secondo me, non deve essere quella di riattivare questo benessere, ma di ricrearlo. Per ricrearlo non servono però opposizioni, lotte sociali o altro. Servono nuove idee, nuove forze e soprattutto nuovi obiettivi.
Buona giornata!
Io spero che siano tagli come dici tu: "utili". Anche perché non si può sperare altro...
EliminaCaro Alessandro,
RispondiEliminae chiedo scusa anche ai PDC se intervengo forse un poco troppo,
vorrei farti una domanda: com'è possibile che il progresso tecnologico aumenti continuamente in forma sempre più veloce (letteralmente esponenziale, e lo dico nel senso tecnico del termine) e noi invece dobbiamo lavorare sempre di più per mantenere condizioni di vita che peggiorano?
Un po' è quello che dice lo Scorfano, senza dubbio: le risorse calano perchè (per fortuna, in un certo senso) popoli che prima non vi avevano accesso ora l'hanno. Ma a mio parere si tratta soprattutto di scelte politiche.
Si leggono continuamente articoli su tutti i giornali (non parlo di giornali sovversivi, parlo del Corriere per esempio) che denunciano come in tutto il mondo la ricchezza si stia accentrando sempre di più in pochissime mani. In Italia, se non ricordo male, il 5% più ricco della popolazione possiede il 45% delle ricchezze.
Capisci che di fronte ad una cosa del genere, la "necessità" di fare sacrifici appare in un'ottica completamente diversa.
Io sono dispostissimo a vivere con il minimo indispensabile perchè altri popoli possano migliorare le loro condizioni di vita e per essere meno impattante ecologicamente: ma voglio che in quel minimo indispensabile siano comprese cure mediche, possibilità di allevare dei figli, acqua luce e gas a prezzo di costo, scuole pubbliche decenti.
La colletività ha i mezzi per mettere in piedi queste misure, se le risorse sono distribuite equamente. Non ce li ha perchè sono accentrate in pochissime mani, e questo a livello globale e non solo nazionale.
Certo, sto meglio di un contadino messicano medio. Ma io a lui dò la mia solidarietà. Non intendo invece sacrificarmi perchè i miei sacrifici arricchiscano chi è già ricco: ed è questa la direzione in cui stiamo andando, invece. Purtroppo gran parte delle persone non se ne rendono conto. Ciao,
Scialuppe
concordo con scialuppe, come dicevo in un commento ad un mio post (http://varienoneventuali.blogspot.it/2012/02/lessico-specifico.html):
RispondiEliminasecondo i dati OCSE, il coefficiente di Gini* dell'Italia è ben più alto della media degli altri paesi; non solo: è l'unico paese OCSE in cui il coefficiente, invece di diminuire, aumenta
(http://www.insardegna.eu/bozze/diamo-i-numeri-la-disuguaglianza-dei-redditi-in-europa-italia-e-sardegna). mi chiedo: in una situazione di aumento della sperequazione, è giusto/auspicabile che a prendere decisioni economiche fondamentali e difficili siano i ricchissimi? o solo noi siamo così fortunati da avere un governo di filantropi?
* il coefficiente di Gini è un indicatore numerico (elaborato da un economista italiano nella prima metà del 900) che valuta la distribuzione della ricchezza in un paese, per cui 1= massima uguaglianza nella distribuzione della ricchhezza, 0 = massima disuguaglianza.