L’altro giorno, mentre giustamente gonfiavamo palloncini per festeggiare l’allontanamento di Emilio Fede da quel brutto telegiornale che è il Tg4, è successa una cosa a dir poco sorprendente e cioè è successo che Marcello Dell’Utri, grande bibliofilo oltre che grande compagno di viaggio di Silvio Berlusconi, ha comprato all’asta un lotto di volantini scritti dalle Brigate Rosse, tra i quali ci sono anche quelli che chiusero il processo politico ad Aldo Moro e ne stabilivano la condanna a morte. Non stiamo parlando di pizza e fichi, quindi. L’acquisto è stato fatto con una semplicissima telefonata da casa dalla Biblioteca di Via del Senato di Milano che, senza fare tanti giri di parole, appartiene a Marcello Dell’Utri.
A me, lui, non ha mai fatto niente di male, però il fatto che questi volantini siano in mano a un privato mi lascia un pochino perplesso. Sì, è vero, è una fondazione privata, però c’è da dire che questa fondazione è aperta al pubblico, ha ribattuto Dell’Utri per difendersi dall’Associazione delle Vittime del terrorismo che, come me, è rimasta un po’ così per questo acquisto.
Il rischio, poi, era quello che un altro privato acquistasse questi documenti decisivi per capire un pezzettino del ‘900 e poi invece di mostrarli al pubblico li mettesse tutti quanti in un cassetto della scrivania. E poi la sua Fondazione ha tantissimi altri documenti importanti sul ’68. Tutto regge: c’è un’ asta, un privato mostra parecchi soldi e se li compra. Anche se, come dice lo stesso Dell’Utri, “è sempre difficile stabilire il prezzo congruo di queste cose: è il prezzo che è disposto a pagare il compratore, poteva essere 7mila come 17mila o 37mila: non c'è un prezzo giusto”. Adesso, e questo è l’importante, i documenti potranno vedere la luce del sole ed essere studiati. Essere studiati grazie a Marcello Dell’Utri.
E da oggi in poi, noi che non siamo proprietari di una fondazione, noi che non abbiamo diciassette mila euro da spendere in volantini delle Brigate Rosse, noi che non possiamo sempre stare lì a controllare se per davvero questi documenti sono bene in vista e non stati sporcati da macchie di caffè, noi, dicevo, da oggi siamo costretti a fare questa cosa per niente facile: dobbiamo fidarci di lui, di Marcello Dell’Utri.
Dobbiamo sperare che non li alteri, che non li rovini, che non li arrotoli per non fare traballare il tavolo, che non li usi per farsi sigarette e che non li usi per suoi scopi precisi. Ma quali scopi? Non lo so, però fidarsi costa parecchia energia. E se invece di volantini avesse per davvero acquistato quelle famose pagine di Pasolini, vi giuro che non starei qui a battere sulla tastiera. Ma peccato che non stiamo parlando di Pasolini e neppure stiamo parlando dei diari di Mussolini venduti in libreria come “presunti diari di Mussolini”.
Davvero le Brigate Rosse hanno nascosto Aldo Moro e, dopo avergli fatto un processo politico, lo hanno ammazzato? Sì, ne abbiamo le prove. È vero che i brigatisti erano i cattivi e lo Stato il buono? Sì, ne abbiamo le prove. Anzi, a dir la verità noi cittadini abbiamo a disposizione dei documenti che dimostrano che lo Stato, durante il rapimento di Aldo Moro, non si è comportato poi così bene. Questi documenti, che meno male che sono anche nostri e non solo del mio vicino di casa che siccome è uno distratto poi se li perde sotto il letto, sono lettere scritte da Moro durante la prigionia. E sono state studiate, come membro della Commissione parlamentare d'inchiesta sull' "affaire", da Leonardo Sciascia e poi pubblicate in quel libro che s'intitola L'affaire Moro.
Sciascia ci ha dimostrato che le lettere, e le sue interpretazioni, fanno quello che fanno tutti quei documenti che noi reputiamo (non a torto) freddi, noiosi, complicati e quindi secondari: fanno luce, anche solo una piccola vena di luce, là dove c’è il buio. Lo scrittore interpreta meticolosamente le lettere di Moro e nelle sue congetture si finisce per dire che Moro accusava lo Stato di averlo abbandonato: Perché mi state abbandonando? Perché non liberate ostaggi politici in modo tale che questi uomini cattivi e armati lasciano poi libero anche me? Sciascia, sia chiaro, lavora con la pietra, con una materia che prende la forma che gli si vuole dare facendo grande resistenza. Però, per mezzo di criticabili interpretazioni linguistiche, ha portato a galla sfumature, interpretazioni e brani di grande intelligenza interpretativa che, volendo esagerare, ci rendono uomini meno banali e più consapevoli dell'esistenza di quelle rotelline che appartengono ai meccanismi che hanno mosso e muovono il nostro paese.
E questi documenti sono a nostra disposizione. Sappiamo, nonostante ce ne siano delle copie, dove stanno gli originali (in un archivio dello Stato o della famigli Moro, spero), sappiamo che domani possiamo studiarli ancora e sappiamo che nessuno può macchiarli di caffè. I diritti stanno dalla nostra parte. Così come avevamo diritto, secondo me, di avere quei volantini per poter interpretare senza ansie e scomodità un piccolo brano del novecento.
Magari ci sono delle riposte facili e plausibili ma la domanda la faccio ugualmente: perché una fondazione statale non ha partecipato all’asta? Perché abbiamo lasciato che un privato si mettesse in tasca quei documenti? Sta di fatto che ora, tutti i giorni, dovrò spendere le mie energie per fidarmi, senza alcun granello di complicità, di una fondazione privata ma, come sottolinea Dell'Utri, aperta al pubblico. Però, anche solo per una misera questione di principio, quei volantini dovevano essere nostri. E non di uno solo.
Niente, volevo solo dire che è quello che ho pensato anch'io leggendo la notizia.
RispondiElimina...sono mere fotocopie. Gli originali sono in mano allo Stato. C'e' una lettera, mi sembra dall'archivio di stato, su La Repubblica cartacea di oggi.
RispondiEliminaInsomma il buon Dell'Utri ha comprato carta buona per altri usi.
anche se quelli fossero in effetti gli originali, non vedo il problema. Viviamo nell'era della riproducibilità. Che differenza ci sarebbe se avessimo a disposizione in un museo una copia scansionata a 2400dpi? Che non possiamo studiare il tipo di carta usata per scrivere i volantini?
RispondiEliminaObiezione che regge e obiezione che ho messo un centinaio di volte sulla scrivania mentre scrivevo questo post. Però. Magari sbaglio, però quelli mi sembrano documenti importanti non solo da studiare ma anche da condividere. Io, te e il tuo vicino di casa (e il mio immancabile vicino di casa) avevamo una cosa in comune, un senso comune, documenti autentici nostri e che in qualche modo ci rappresentano. E poi penso che uno studio filologico o anche solo interpretativo abbia bisogno di documenti puri e originali. La mia non è una risposta esauriente, perdonami.
RispondiEliminaNon essendo un filologo non posso dare una risposta definitiva: però dal mio punto di vista il salto qualitativo (per documenti del XX secolo, almeno) è tra l'immagine originale e il testo corrispondente. Detto in altro modo: da un'immagine ad alta risoluzione del volantino si può studiare per esempio se ci sono correzioni, o magari se il testo dattiloscritto ha delle parole incise più pesantemente - il che significa che il redattore le sentiva più sue; dalla trascrizione no.
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