del Disagiato
Non so come siano incominciate le cose (in una videoteca pubblica, mi sembra) ma sta di fatto che qualche anno fa mi innamorai di un regista giapponese che si chiama Takeshi Kitano e che magari anche voi conoscete più o meno bene. Innamorato è un modo dire, naturalmente, ma neanche tanto, visto che in quel periodo di febbrile passione pur di vedere i film di Kitano spesi un po’ di soldi in benzina per andare in una videoteca fornitissima assai distante da casa mia (non avevo una connessione internet, allora). Il primo film di Kitano che vidi fu Sonatine (alla fine del film, ricordo, ero così commosso che sono uscito in balcone e ho urlato) e la cosa che mi impressionò fu la leggerezza con la quale il regista raccontava fatti non leggeri (la violenza, ad esempio). E poi mi piacquero i colori, le musiche e il modo in cui erano disposti gli oggetti e la macchina da presa mai troppo vicina agli attori e la macchina da presa mai troppo lontana. Qualità che apprezzai anche negli altri suoi film, naturalmente. E poi Kitano spesso mette il mare nella pellicola e quando il mare non c’è si vede benissimo che ai protagonisti manca qualcosa e cioè la calma del mare. Ieri ho rivisto Il silenzio sul mare (così l'abbiamo tradotto noi italiani) che parla di un sordo che si mette a fare surf per caso, dopo aver trovato vicino al cassonetto dei rifiuti una tavola. Nel film il protagonista non parla mai e neppure la ragazza che lo accompagna non parla mai e allora, solo dopo aver rivisto questo film, ho capito la cosa davvero strana e originale di tutti i film di Kitano: il silenzio dei protagonisti, che spesso sono innamorati. O meglio: a parlare sono sempre quelli che hanno torto.
Non so come siano incominciate le cose (in una videoteca pubblica, mi sembra) ma sta di fatto che qualche anno fa mi innamorai di un regista giapponese che si chiama Takeshi Kitano e che magari anche voi conoscete più o meno bene. Innamorato è un modo dire, naturalmente, ma neanche tanto, visto che in quel periodo di febbrile passione pur di vedere i film di Kitano spesi un po’ di soldi in benzina per andare in una videoteca fornitissima assai distante da casa mia (non avevo una connessione internet, allora). Il primo film di Kitano che vidi fu Sonatine (alla fine del film, ricordo, ero così commosso che sono uscito in balcone e ho urlato) e la cosa che mi impressionò fu la leggerezza con la quale il regista raccontava fatti non leggeri (la violenza, ad esempio). E poi mi piacquero i colori, le musiche e il modo in cui erano disposti gli oggetti e la macchina da presa mai troppo vicina agli attori e la macchina da presa mai troppo lontana. Qualità che apprezzai anche negli altri suoi film, naturalmente. E poi Kitano spesso mette il mare nella pellicola e quando il mare non c’è si vede benissimo che ai protagonisti manca qualcosa e cioè la calma del mare. Ieri ho rivisto Il silenzio sul mare (così l'abbiamo tradotto noi italiani) che parla di un sordo che si mette a fare surf per caso, dopo aver trovato vicino al cassonetto dei rifiuti una tavola. Nel film il protagonista non parla mai e neppure la ragazza che lo accompagna non parla mai e allora, solo dopo aver rivisto questo film, ho capito la cosa davvero strana e originale di tutti i film di Kitano: il silenzio dei protagonisti, che spesso sono innamorati. O meglio: a parlare sono sempre quelli che hanno torto.
Non so come siano incominciate le cose (in una videoteca pubblica, mi sembra) ma sta di fatto che qualche anno fa mi innamorai di un regista sudcoreano che si chiama Kim Ki-duk e che magari anche voi conoscete più o meno bene. Innamorato è un modo dire, naturalmente, ma neanche tanto visto che in quel periodo di febbrile passione pur di vedere i film di Kim Ki-duk spesi un po’ di soldi in benzina per andare in una videoteca fornitissima assai distante da casa mia (non avevo una connessione internet, allora). Il primo film di Kim Ki-duk che vidi fu L’isola (alla fine del film, ricordo, ero così commosso che sono uscito in balcone e ho urlato) e la cosa che mi impressionò fu la leggerezza con la quale il regista raccontava fatti non leggeri (un uncino infilato nella vagina, ad esempio). E poi mi piacquero i colori, le musiche e il modo in cui erano disposti gli oggetti e la macchina da presa mai troppo vicina agli attori e la macchina da presa mai troppo lontana. Qualità che apprezzai anche negli altri suoi film, naturalmente. E poi Kim Ki-duk spesso mette il mare nella pellicola e quando il mare non c’è si vede benissimo che ai protagonisti manca qualcosa e cioè il grigio del mare. L’altro ieri ho rivisto Ferro 3 che è la storia di un ragazzo che furtivamente va nelle case degli altri per riparare oggetti e, solo dopo aver rivisto questo film, ho capito la cosa davvero strana e originale di tutti i film di Kim Ki-duk: il silenzio dei protagonisti, che spesso sono innamorati. O meglio: a parlare sono sempre quelli che hanno torto.
Non so come siano incominciate le cose (in una videoteca pubblica, mi sembra) ma sta di fatto che qualche anno fa mi innamorai di un regista sudcoreano che si chiama Lee Chang-dong e che magari anche voi conoscete più o meno bene. Innamorato è un modo dire, naturalmente, ma neanche
...?
RispondiElimina(a. Ti piace molto il mare)
(b. Ti piace molto il silenzio)
(c. Ti piace molto la cinematografia del lontano Oriente)
(d. La tua trilogia voleva comunicarci qualcosa che non sono ben riuscita ad afferrare...)
Mi piacciono molto questi tre registi per a/b
Eliminail prossimo step potrebbe essere Wong Kar-wai, perché
RispondiEliminaKar-wai mette sul palco solo i suoi attori. Non ci sono personaggi secondari (o così mi sembra).
Eliminapiù o meno bene.
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