giovedì 21 giugno 2012

Polli

del Disagiato

Ormai è da anni che reputo le librerie e i libri una bella fregatura. E dire che con i libri ci lavoro, accidenti. ”Che bello lavorare in una libreria”, mi dicono spesso. “Per me è come vendere scope”, rispondo ormai da tanto tempo. Per essere meno provocatori, a me sembra di vendere chili di carta e non libri. La mia nausea ha delle ragioni, però, e queste ragioni stanno nella quantità indicibile di volumi che raggiungono la libreria. Tantissimi libri, così tanti che viene da dire che in Italia (o forse in tutto il mondo, chissà) ci sono più scrittori che lettori. E forse è anche vera, questa cosa. Ma le case editrici si rendono conto della quantità di materiale inutile che sfornano giornalmente? Si rendono conto del numero di volumi che ritorna a destinazione? In negozio non sappiamo più dovere mettere la merce. Una volta si creavano spazi, oggi non più. Insomma, a noi commessi o librai vengono gli occhi rossi dalla rabbia e dalla fatica. Come si fa a gestire questa situazione? E poi: che nome posso dare a questa situazione? Saturazione, forse. Sovraffollamento, magari. Sta di fatto che in libreria si lavora male e paradossalmente si lavora male per colpa dei libri, delle case editrici, degli scrittori e dei lettori (ma cosa vogliono i lettori? ma cosa chiedono alle case editrici e agli scrittori i lettori?). 

Io personalmente me la prendo con le case editrici e gli scrittori che per il mio modo di stare al mondo dovrebbero piacermi tanto. Me la prendo in modo infantile con la casa editrice Sellerio, che da qualche anno manda in libreria romanzi di Camilleri che non sembrano neppure più romanzi di Camilleri da quanto sono brutti e da quanto sono invece palesi operazioni commerciali. Me la prendo con chi ci manda il libro riscoperto, rispolverato e chissa quanto utile di Saramago e me la prendo con Baricco che non troppo tempo fa ha scritto un libro che nasce da un altro suo libro. 


Baricco scrive nell’introduzione di Tre volte all'alba: “Nell’ultimo romanzo che ho scritto, Mr Gwyn, si accenna, a un certo punto, a un piccolo libro scritto da un angloindiano, Akash Narayan, e intitolato Tre volte all’alba. Si tratta naturalmente di un libro immaginario, ma nelle immaginarie vicende là raccontate esso riveste un ruolo tutt’altro che secondario. Il fatto è che mentre scrivevo quelle pagine mi è venuta voglia di scrivere anche quel piccolo libro, un po’ per dare un lieve e lontano sequel a Mr Gwyn e un po’ per il piacere puro di inseguire una certa idea che avevo in testa. Così, finito Mr Gwyn, mi son messo a scrivere Tre volte all’alba, cosa che ho fatto con grande diletto. Adesso Tre volte all’alba è scritto e forse non è inutile chiarire che può essere letto da chiunque, anche da coloro che non hanno mai preso in mano Mr Gwyn, perché si tratta di una storia autonoma e compiuta. Ciò non toglie tuttavia che, nella sua prima parte, mantenga ciò che Mr Gwyn prometteva, cioè uno sguardo in più sulla curiosa vicenda di Jasper Gwyn e del suo singolare talento”. 

Si lavora male per colpa di queste idee inseguite e per colpa della voglia di scrivere piccoli libri, mi sono detto l’altro giorno leggendo questa introduzione. Cari lettori, incominciate a scaricare i libri come fate con i dischi e se qualcuno di voi ancora viene in libreria, be’, smetta di farlo. Così vediamo se a Baricco gli viene ancora voglia di scrivere un piccolo libro o di provare piacere puro di inseguire una certa idea che aveva in testa. Gli scrittori bravi, quelli che scrivono per migliorare il mondo, sono in realtà i nostri nemici e noi abbiamo il compito di ammazzarli, di allontanarli una volta per tutte. Io sono disposto a perdere il lavoro pur di vedere su futuri scaffali (o schermi) libri più onesti.     

C’è un marchingegno che si chiama Chicken gun e che sarebbe un cannone che spara polli. Viene usato, detto in due parole, per provare la resistenza della carrozzeria di un’automobile o di una aereo. Qualche anno fa, per esempio, una squadra di ingegneri utilizzò questo strumento per capire cosa potesse aver bucato un’ala del Columbia in fase di decollo. Ecco, scusate il paragone un po’ tirato per i capelli, ma le case editrici è un po’ come se sparassero polli contro di noi. Testano ogni giorno la nostra resistenza per capire con quale libro fare un buco bello grosso per affondarci. Prima o poi trovano il libro giusto per il pubblico giusto, per guadagnare soldi e una cosa molto simile al consenso. Polli contro polli, in realtà.



11 commenti:

  1. Temo che non vedresti libri più onesti, ma solo i soliti nomi che vendono: Volo, Coelho, Kinsella.

    Quando le risorse a disposizione diminuiscono, vincono i più forti. In questo ambito, i più forti sono quelli che vendono di più, ovvero quelli che attraggono una quantità significativa (per le case editrici) di lettori. La classifica letteraria è specchio della società.

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  2. Il video de polli è rivoltante!

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  3. Lo sai che con me sfondi una porta aperta. In biblioteca abbiamo gli stessi drammatici problemi di spazio, che periodicamente risolviamo spostando qualcosa in magazzino per far posto ad altro. Nella fattispecie, ci tocca - per esempio - giubilare Steinbeck e Tobino a favore di Steele, Casati Modignani e Sparks.
    (no, il video dei polli non lo guardo, non sento il bisogno di rivoltarmi di più...)

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  4. Altro che Alberto Sordi, è Baricco che ci meritiamo! Comunque concordo con speakermuto, meno risorse significa scomparsa dei più deboli. Forse si potrebbe puntare sul distribuire certi titoli tramite i pollivendoli, in modo da alleggerire i librai. "Allora, per me quattro quaglie e il libro della Mazzantini con allegato il film del marito, grazie!".

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  5. Quando ho sentito come funzionavano gli invii d'ufficio, mi è sembrata una pazzia. Magari poteva funzionare quando si pubblicavano un quarto dei libri di adesso, ma mi chiedo come faccia un libraio anche solo a capire cos'ha in casa. Per gli editori [discorso molto interessato mode-on], quelli piccoli, che stanno molto attenti a quello che pubblicano è un danno infinito perché l'attenzione e la disponibilità del librai è fondamentale. E' evidente che bisogna cercare un modo per uscire da questo circolo vizioso. Lettori, librai ed editori. Mi spiace sinceramente per la tua amarezza. E' una sconfitta per tutti, credimi.

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    1. Carlotta, ti assicuro che la nostra non è una sconfitta. Semplicemente i tempi e le logiche stanno cambiando. Io non so quali libri ci sono sugli scaffali della libreria, è vero, ma è anche vero che nessuno mi sta chiedendo con insistenza di saperlo.: l'attenzione e la disponibilità dei librai sono una favola ;) Io devo vendere e basta. Questo non toglie che mi senta, come in questi giorni, arrabbiato e frustrato. In questi casi ho il brutto vizio di pensare, per sentirmi meno solo e disperso, a certi miei conoscenti (bravi, competenti, appassionati ed esperti) che hanno o avevano un negozio di dischi. Anche loro non servono più. Semplice.

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  6. epperò io vengo lì e non ci sono I racconti di Malamud e non c'è mai manco Niente di nuovo sull'orient express, di Magnus Mills, che devo fare? E poi sono costretto ad uscire con un sellerino.

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  7. Uhm. Di fatto tu stai giustificando le mie ultime abitudini di approvvigionamento di romanzi, Disagiato.

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  8. Quello che succede nelle librerie è un po' lo specchio di quel che succede ovunque. Da qualche parte qualcuno deve aver deciso che il gioco era urlare (parole, colori, prezzi, odori, emozioni) e quindi è iniziata la gara a chi urla di più. Perchè chi urla di più vince, cioè vende, cioè si guadagna la possibilità di urlare ancora di più e di portare avanti il gioco con le stesse regole.
    In un mondo che urla, e che mentre urla corre, è un po' difficile afferrare quello che per essere afferrato richiede tempo e silenzio.
    E' difficile per la massa.
    Ma non per il singolo.
    Allora io me la sono risolta così: entro in una libreria, sorrido dei colori e dei titoli urlati come se fossero giocattoli con cui ho smesso di giocare da tempo e mi compro e mi leggo qualcosa di più adatto ai miei tempi e ai miei volumi. Perchè mi piace pensare che la manopola del mio volume interno non sia poi così accessibile al marketing.
    Poi ho imparato a parlare ai ragazzini. E' il mio ingenuo tentativo di tirare la leva del freno a questo mondo: parlo con loro uno alla volta, con tono pacato, di quello che mi piace e del perchè mi piace.
    Quello che non mi piace lo tengo per me.
    Perchè neanche a me piace quel che vedo succedere intorno (tu parli delle librerie perchè è quello di cui ti occupi. Io mi sto interessando all'alimentazione e scoprire che gli stessi meccanismi che tu denunci sulla cultura sono applicati identici a ciò che mangiamo mi sconforta molto di più). Ma non è lamentandomi o scoraggiandomi che risolverò qualcosa, anche se fa un po' più figo.
    Per di più ho un figlio. Almeno a lui vorrei essere in grado di dire, un giorno: "Guarda, lo so che non è molto. Ma io ci ho provato così, e non ho mai smesso di farlo."
    Sono un'entusiasta e sono anche convinta di essere contagiosa.

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    1. Grazie per aver scritto questo post.
      Ho adorato le tue parole.

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  9. Anch'io sono un entusiasta. Non lo fossi non avrei mai scritto questo e altri post ;)

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)