sabato 6 settembre 2014

Hai scritto un libro

del Disagiato

Provo ad immaginare il motivo, l'urgenza, che ci spinge a scrivere un libro: per migliorare il mondo, per spiegare alla gente che quello che conta non è il successo ma la serenità, non l'apparenza ma l'interiorità. Oppure: per togliere un peso o per sbrogliare un nodo che sta in noi, e ciò implica che non si vuole migliorare il mondo ma migliorare noi stessi. Ancora: si scrive per migliorare noi stessi per poi, di conseguenza, trovare il modo per migliorare il mondo. Vi immagino a pensare e a stendere vite e personaggi (se è un romanzo) o ad allineare idee, concetti, nozioni e sillogismi (se è un saggio) di sera, dopo cena, dopo una giornata di lavoro. Le ore buie ve le prendete per rendere chiaro quello che avete da dire, per raccontare direttamente o per vie traverse quello che vi è capitato dieci anni fa o ieri. Fate il punto della situazione, con il vostro libro, per saper affrontare tutti interi il domani, il dopodomani. Scrivete per dare trama a ciò che rischia di diventare, se già non lo è, caos. Date trama per fare ordine. Certo, il rischio è quello di raccontarsi una propria verità (ci si racconta sempre una propria verità) ma quando posate la penna e vi preparate ad indossare il pigiama, lo scrivere vi sembra uno dei modi più saggi e intelligenti per spiegare o solo raccontare. Voi non siete come gli altri. Sapete pensare, sapete parlare e sapete scrivere (vi dite questa verità più volte nell’arco di un anno) quindi perché non scrivere un libro? Perché non mettere su carta personaggi che vi circolano in testa da troppi anni? Tutto questo, ripeto, per migliorare voi e magari anche chi legge. 

Poi succede che vi pubblicano e che per la pubblicazione non avete dovuto spendere neppure un euro per il correttore di bozze e per la stampa. La vostra casa editrice non è una di quelle che vi frega, è seria e forse anche famosa, ha un suo progetto culturale. Ed è a questo punto, subito dopo la pubblicazione, che dovete pubblicizzare il vostro libro su facebook, sul vostro blog (vi ricordate quando eravate solo dei blogger sfigati?), su twitter e via dicendo. Partite col dire a tutti che avete scritto un libro. Poi dite a tutti, più volte nell’arco di un mese, di mettere un like sul profilo facebook del libro che avete impiegato mesi se non anni a pensare, scrivere, correggere e ricorreggere e ancora correggere. Poi citate emozionati l’amico che vi ha citati in un suo post sul suo blog (lui è ancora fermo ai blog). Poi pubblicate la recensione che un sito di letteratura ha scritto sul vostro libro o un pezzo davvero tosto che l’Espresso o Tv Sorrisi e Canzoni vi ha dedicato. Mettete link e cercate link da mettere. A forza di link e pubblicità il mondo che con il vostro libro per qualche ora era migliorato, anche solo un poco, sta ricominciando ad essere brutto. Poi incominciate a pubblicare i commenti intelligenti che i lettori hanno scritto su Ibs o Amazon o altrove. Ne andate fieri e anche questo lo dite a tutti. E il mondo che volevate migliorare intanto continua a peggiorare. Forse era meglio stare fermi, non scrivere nulla, uscire con il cane più spesso, al giardinetto, dove ci sono quelli che non scrivono libri. 

Poi, non sapendo più cosa dire, pubblicate i commenti agghiaccianti e sgrammaticati che i lettori del vostro libro hanno scritto su Ibs o Amazon o altrove, e ridete insieme ai vostri amici di quei lettori analfabeti. Ridete e parlate del vostro libro in continuazione per migliorare il mondo. La casa editrice vi scrive per dirvi che le vendite “sono soddisfacenti”, che del vostro romanzo o del vostro saggio se ne occuperà anche Panorama, il mese prossimo. Intanto, a forza di avere a che fare con la gente, voi state peggio di prima, siete talmente stanchi che non siete stanchi, e il mondo ora diventa lo specchio sporco di questa situazione. Forse era meglio non scrivere, vi dite ancora, di nascosto da voi stessi, in bagno, mentre vi lavate i denti tra un link e l’altro, tra un like e l'altro.