martedì 9 luglio 2013

Le nostre vite punk

del Disagiato

Una passione che non vuole andarsene, quella per il gruppo rock/grunge/punk Nirvana. Ancora oggi, nonostante siano passati poco meno di vent’anni da quando per la prima volta ascoltai uno dei loro dischi, in casa tengo appeso un piccolo poster della band, e ancora – ma lo ammetto, era da qualche tempo che non lo facevo – leggo loro biografie. E infatti poco fa ho finito di leggere Nirvana, La storia vera (Mondadori 2008), del giornalista musicale Everett True. La biografia del gruppo che ho letto più volentieri. Ma ho una teoria: è l’età. Ho letto queste 530 pagine sì, d’un fiato, ma con più distacco, con meno foga adolescenziale, senza alcun sottofondo musicale e con più senso critico. I miei trentatre anni è come se avessero costruito un filtro o una nuova lente con la quale guardare: ho guardato le cose da un’altra angolazione, come si suol dire. E detto con presunzione, mi pare che questa angolazione sia migliore di quella di ieri, che era eccessivamente appassionata e coinvolta. Ad esempio. Nel 1992 il gruppo deve presentarsi negli studi del famoso programma Saturday Night Live e il loro manager riferisce che una limousine li attenderà sotto l’hotel. No, risponde Kurt Cobain al telefono, veniamo con il nostro camioncino, quello che usiamo sempre per i concerti. Ecco, anni fa, davanti a questo aneddoto, gli angoli della mia bocca si sarebbero alzati. Così si fa, avrei pensato allora, bisogna rimanere sempre umili. L’altro giorno, quando ho letto l’aneddoto, ho pensato invece che io, fossi stato in loro, mi sarei fatto venire a prendere dalla limousine. Magari non l’avrei fatto, però lì, con il libro in mano, ho pensato che una limousine è più comoda di un furgoncino che sa di birra e rutti. 

Everett True scrive sia perché sa di poter raccontare bene e dettagliatamente la storia dei Nirvana – allora scriveva per la rivista britannica Melody Maker - sia perché era amico dei componenti dei Nirvana e quindi il grado di veridicità e di particolari si alza notevolmente. Fu lui che fece conoscere Kurt Cobain a Courtney Love, fu lui a spingere fino a microfono, nel 1992 al Reading Festival in Inghilterra, la famosa carrozzina sulla quale, scherzosamente, Cobain era seduto, e fu sempre True a scrivere, ai tempi del loro primo disco, che i Nirvana stavano facendo qualcosa di assolutamente innovativo e che sarebbero diventati importanti per la storia della musica contemporanea. Everett, poi, contestualizza, e questo è quello che cercavo, soprattutto, dalla biografia: come spiegare la creatività musicale di Seattle e dintorni di quel periodo (fine anni ottanta)?, come viveva la classe medio bassa in quelle zone?, come è nato quello che volgarmente si definisce "movimento grunge”? e più che altro, che cosa ha da dire e lamentarsi il grunge?



Siccome sono diventato un lettore esigente, volevo che l’autore mi sapesse spiegare le origini del fenomeno e mi sapesse descrivere le zone buie, quelle che stanno un poco più in là dei riflettori. E l’autore le ha soddisfatte, queste esigenze, con una scrittura che lotta per mantenersi equilibrata, grazie e nonostante molti fatti li abbia vissuti in prima persona: nonostante lui fosse di parte. Il libro, insomma, parla della musica dei Nirvana ma facendo anche della geografia. Come ho detto prima, le situazioni vengono contestualizzate. Ciò che in questi anni si è gonfiato fino a diventare mito o caricatura, la controllata biografia di Everett l’ha reso cronaca, raccontata anche - perché mai dovrebbe essere diversamente? - con passione, emozione e sottile nostalgia. 

                                                                         
                                                                           *          

Dei Nirvana mi piacciono, come penso a tutti i loro fan, la distorsione sonora e la voce disperata di Kurt Cobain. Poco prima di morire, un medico disse al cantante, che si stava facendo visitare alla gola, che se non avesse imparato a cantare avrebbe di lì a poco perso la voce. Cobain non cantava, urlava e ringhiava. La trasandatezza fu la prima cosa che io e gli amici imitammo. Quello che conta è la sostanza, pensavamo. Il gruppo rifiutò di suonare con gli U2 perché erano dei venduti e più volte negarono complicità e amicizia ad Axl Rose, cantante dei Guns N'Roses, perché era uno scemo omofobo. Stavano dalla parte dei più deboli, che secondo loro, in quel momento, erano le donne, gli omosessuali, i ragazzi con genitori divorziati, i drogati e tutti quelli che non accettavano di rincorrere il successo per essere uomini felici. Un bambino nell’acqua che insegue un dollaro attaccato all’amo è la più bella fotografia del mondo per me e dovrebbe esserlo anche per voi. Il successo è l’altra faccia della persecuzione scrisse Pier Paolo Pasolini, e questa persecuzione molto probabilmente compresse anche la vita di Cobain, fino a farlo morire. Un successo che nessuno del gruppo voleva degenerasse fino a togliere lo spirito punk degli inizi, l’entusiasmo di chi sta per dire molte cose. Everett True scrive che secondo tutti i componenti dei Nirvana, l’ultimo loro momento davvero felice e spensierato fu durante una serie di concerti europei nel 1991, poco prima dell’uscita di Nevermind, l’album che li renderà famosi in tutto il mondo. Poi sarà il buoi. Come si può vivere così infelici fino al 1994, quando cioè il gruppo smise di esistere? Ma io amo acriticamente anche queste contraddizioni, queste tormentate infelicità.

Poi, puntualmente, sul finire delle loro esibizioni sfasciavano gli strumenti, e ancora adesso sorrido quando li guardo impegnati nella demolizione. Lo trovo un gesto liberatorio. Come trovo liberatori i “vaffanculo” lanciati alla stampa commerciale e ai cantanti ricchi e potenti. Amo tutto questo e me lo sono ricordato leggendo il libro di Everett True. Una passione che dura da tanti anni, quindi, quotidianamente e inconsciamente rinnovata. Durante la lettura di questo libro guardavo casa mia e la sua tranquillità: il gatto acciambellato sulla sedia, la televisione, l’ordine delle stoviglie, i libri nella libreria, i vetri puliti, le ciabatte ai miei piedi. Guardavo il divano, che è il mio regno. E mi sono chiesto cosa c’entrasse tutto questo con il disordine creato dai Nirvana. Quale fosse la corda tesa tra i piatti puliti e la chitarra demolita da Kurt Cobain, e poi i suoi “vaffanculo” e la droga e l’alcool e le urla disperate. Dov’è, nella mia vita così bene educata e organizzata, questo? E ho pensato che tutto quanto sta in quel divano e nel breve spazio che gli sta attorno. Nel non desiderare molto altro: solo qualche film o libro, la cassettina del gatto da pulire, gli amici da vedere nei dopo cena, gli amori da centro commerciale. La disperazione, le urla e il caos stanno in questa serena e totale assenza di ambizioni. Nessuna voglia di inseguire il dollaro.