giovedì 9 ottobre 2014

Farsi poesia

del Disagiato



Qualche giorno fa, subito dopo una partita, un giornalista ha chiesto all’allenatore della Roma Rudi Garcia cosa ne pensasse del nervosismo in campo e della brutta reazione di un suo giocatore (Manolas) a un fallo ricevuto (da Morata). E sul sito che riportava l’intervista ho letto la sua risposta: “Morata ha fatto un tackle pericolosissimo ma Manolas non deve fare la poesia di se stesso”. Ecco, io ho trovato questa risposta bellissima: fare poesia di se stesso. Il giocatore non solo non doveva farsi giustizia da solo ma, soprattutto, non doveva sentirsi così pieno di dignità e umanità e forse anche sentimento da arrivare a farsi giustizia da solo. Come a dire che la poesia, in fondo, è (ha) questa capacità di definire noi in mezzo alla burrasca; la possibilità di indicare l’accaduto, di dire come stiamo. Insomma, la risposta di Garcia mi è piaciuta così tanto che ieri me la sono riletta, scoprendo, con immensa delusione, che la vera risposta dell’allenatore invece è stata questa: “Morata ha fatto un tackle pericolosissimo ma Manolas non deve fare la polizia di se stesso”. 

E allora le cose stanno diversamente, con quel ben più prosaico ”polizia” al posto di “poesia”. Ma nonostante l’errore e la correzione (in questo caso di chi ha trascritto l’intervista, visto che google cache riporta ancora la parola “poesia”) continuo a voler pensare che “fare poesia di se stesso” sia una splendida espressione e metafora (anche se me la sono inventata) per dire…per dire che a volte la poesia - la poesia ombelicale e che non chiede nulla al lettore, la poesia fatta solo per dire che si scrivono poesie – rischia di diventare disperazione, orgoglio, vanità e altre cose che hanno a che fare con la rabbia muta o con lo sfogo o la vendetta. O con la volgarità.