martedì 29 gennaio 2013

... ci saremo anche sbagliati

del Disagiato


Che cosa vede uno scanner? Vede dentro la testa, vede dentro il cuore, vede dentro di me, dentro di noi. Vede in modo chiaro e oscuro. Spero che veda in modo chiaro perché io non riesco più a vedere dentro di me. Io vedo solo tenebre. Spero per il bene di tutti che gli scanner vedano meglio, perché se lo scanner vede solo in modo oscuro così come me, allora sono dannato, dannato per sempre. E in questo modo finiremo per morire tutti, conoscendo poco o niente, e sul quel poco che conosceremo ci saremo anche sbagliati. Cita a memoria, lasciandomi di pietra, il cliente esperto di libri di fantascienza. “Lo riconosci?”, mi chiede. E io riconosco la citazione. La riconosco per pura fortuna, per puro miracolo, e non tanto perché di libri di fantascienza ne ho letti tanti, ma perché di libri di fantascienza ne ho letti pochi. E quei pochi mi sono rimasti appiccicati addosso. E poi, a dirla tutta, questo è un brano tratto dal film "A scanner darkly", che a sua volta è tratto da un romanzo di Philip Dick. Al cliente dico tutto quello che so, e ora è lui a rimanere di sasso. Ci stiamo parlando addosso, siamo patetici. In libreria capita che cliente e libraio si riducano a darsi pacche sulle spalle, a passarsi la palla fino allo sfinimento. Il cliente e il libraio s’intendono, a volte, molto raramente; e la giornata, allora, è fatta. Racconto al cliente che ho cominciato a leggere i libri di fantascienza dopo aver visto quel film che lui ha tirato fuori dal nulla. “Mi sono innamorato di Philip Dick”, ammetto con gli occhi rossi. E lui, che lo conosce bene, dice che sì, che è un grande scrittore, uno con la vista lunga. Allora gli racconto di aver appena terminato "Cronache del dopobomba" e di essermi accorto che in quel romanzo Dick aveva già in mente internet, la rete, le connessioni. “Vero", mi conferma il cliente, “è stato profeta”.

Non so se "Il mondo nuovo" di Aldous Huxley sia fantascienza ma a me sembra di sì. E anche questo lo dico, lì, in negozio, con "Il mondo nuovo" in mano. E pontifico su quel romanzo che prevede una società in cui non si soffre, e per non soffrire ci si appiglia a una droga distribuita dallo Stato, chiamata Soma. Perché lo Stato vuole che il popolo sia felice, che non soffra, che non si lamenti, che non metta bastoni tra le ruote. Però un personaggio che soffre c’è, ma è la pecora nera del romanzo. “Ci stiamo avvicinando a quel mondo?”, chiedo. “Per me sì”, mi risponde il cliente. A questo punto, visto che in negozio non c’è gente, possiamo ancora celebrare la lungimiranza della fantascienza. "1984" di Orwell è un libro di fantascienza? Certo che lo è: predice, annuncia, minaccia, profetizza. Orwell è uno scrittore che si è messo in punta di piedi per vedere oltre il presente, al di là. Ecco, io e il cliente ci diciamo queste cose con una competenza ancora tutta da calcolare e stabilire. Elogiamo e celebriamo la fantascienza e stabiliamo che la fantasia funge da binocolo: si guarda lontano, si prevedono le nuvole nere che porteranno tempesta. Quante cose ha azzeccato Philip Dick? E Orwell? Poi, visto che abbiamo ancora energia e non siamo stati abbastanza sbrodoloni, cerco di ricordarmi una frase di Huxley: “Tra il desiderio e il suo soddisfacimento ci stanno di mezzo i sentimenti”. Insomma, più è corta la distanza tra il desiderio e il suo soddisfacimento, meno sentimenti proviamo. “Un giorno sarà cosi, non proveremo più niente. E avremo paura dei sentimenti”, mi dice il cliente prima di stringermi la mano e andarsene. Il cliente che sa a memoria un bellissimo monologo tratto da un film magnifico.

Adesso, però, vorrei sapere il suo nome e cognome. Vorrei conoscere il suo numero di telefono. Vorrei chiamarlo per riferirgli che ieri ho letto una citazione di Neil Gaiman che dice che la fantascienza non parla del futuro. E questa citazione mi ha inquietato, ha portato disordine: 

Ci sono due fraintendimenti alla base della narrativa di fantascienza. Il primo è che la fantascienza [...] si occupi del futuro, che essa sia, fondamentalmente, profetica. [...] Il secondo fraintendimento, una sorta di fraintendimento al quadrato, facile da credere una volta che si sia dato per scontato che 'la fantascienza si occupi di prevedere il futuro', è questo: la fantascienza riguarda un presente che non c'è più. In particolare, la fantascienza riguarda solo il periodo in cui è stata scritta [...] Questo è vero, in linea generale, ma lo è sia per la fantascienza che per ogni altro genere narrativo: i nostri racconti sono sempre il frutto dei nostri tempi. La fantascienza, così come ogni altra forma d'arte, è un prodotto della sua epoca, che riflette o reagisce o illumina i pregiudizi, le paure e i presupposti del periodo in cui è stata scritta. Ma la fantascienza è qualcosa di più [...] La cosa importante nella buona fantascienza, quella che produce la fantascienza destinata a durare, è il modo in cui essa ci parla del nostro presente. Cos'è che adesso ci dice? 

E allora? E se Philip Dick avesse temuto il presente e non il futuro? Lo dico a voi: vorrei chiamarlo, il cliente, per dirgli che molto probabilmente abbiamo sbagliato tutto, che abbiamo perso un sacco di tempo a metterci in punta di piedi per guardare lontano. Perché ho paura che Gaiman abbia ragione: gli scrittori di fantascienza hanno paura del presente, fissano il presente. Non usavano il binocolo, usavano la lente d’ingrandimento. Che fesso che sono stato, che ingenuo. Da cosa nasce il fraintendimento? Dalla struttura narrativa, forse. Dal fatto che nei romanzi di fantascienza ci sono cose che non esistono. O almeno penso. O forse esistono. Non lo so. Così come non so più di cosa ho pura io. Perché stai a vedere che pure io ho paura del presente e non del futuro. Ancora il presente. Non riusciamo a liberarci del presente. Neppure la consolazione di un genere narrativo che ci parli del futuro. 

E gli storici? Scrivono e parlano di storia per capire il presente? Sì, questo l’ho sentito dire. E allora anche il lettore di storia in realtà non sta guardando indietro. E l’aver memoria è un movimento fatto su un tapis roulant: ci si muove stando fermi. Agli scrittori e ai lettori non importa il passato e non importa il futuro: importa sempre il presente, come un'ossessione, fissa, immobile. Non ci si libera di lui. Siamo dannati, dannati per sempre. E lo saremo anche in futuro come già lo siamo stati in passato.

9 commenti:

  1. Le tue riflessioni fanno bene al cuore, illuminano la mente.

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  2. IL concetto che ti manca in merito alla fantascienza è DISTOPIA, genere letterario che lega tutti i romanzi che hai citato (e molti altri meravigliosi, come IL TALLONE DI FERRO di London e tanti, tanti, altri). Per la storia il classico è Carr e le sue SEI LEZIONI SULLA STORIA, ormai si trova antologizzato sui libri di scuola. E, comunque, il tempo non esiste, esiste solo la coscienza umana.
    DIck è sempre uno dei più grandi. Prova UBIK.

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  3. Ubik l'ho già provato e finora è l'unico romanzo di Dick che non mi è piaciuto o che non ho ben compreso.

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  4. A proposito di distopia, da libraio avrai sicuramente letto "Fahrenheit 451" di Ray Bradbury :^)

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  5. Bellissimo Un Oscuro Scrutare. Per puro caso lo sto leggendo in questi giorni. Secondo me è uno dei più bei romanzi sulla droga che siano mai stati scritti. Anche il film non è male, con quell'effetto "cartoon" allucinato e comico (e tragico) allo stesso tempo. Proprio come la percezione di un tossico.

    Comunque sì, la fantascienza parla del presente. È abbastanza ovvio. Ed è questo il suo bello! Un presente spesso esasperato, ingigantito, come sotto una lente d'ingrandimento. Ogni epoca ha la sua fantascienza. Fin da Metropolis (anno 1927) che parlava di gigantesche macchine a vapore, sfruttamento e lotte di classe. La fantascienza anni '50, piena di invasori spaziali, catastrofi e guerre atomiche, parlava della guerra fredda. Quella anni '60 di Star Trek, dove gente di tutte le razze e nazionalità viaggia insieme grazie alla scienza, verso mondi curiosi ed affascinanti. Un futuro ottimista, cosmopolita e globalizzato. Poi la svolta, con Dick nasce la fantascienza destabilizzante, indecifrabile. I personaggi non si fidano nemmeno di loro stessi, delle proprie percezioni. È l'America di Nixon, doppia e ingannevole. Lo stesso Bob Arctor non è altri che Nixon, a detta dello stesso Dick. Un personaggio doppio, simulatore ma al tempo stesso pateticamente umano. In Dick è centrale il tema del replicante, che finge e spesso si illude di essere umano. Inquietante, ma al tempo stesso misero nella sua condizione. Una specie di pinocchio postmoderno. Infine il cyberpunk, di cui Dick è un precursore, è l'incubo no-global degli anni '80 e '90. Un far west ipertecnologico, dove mafie e multinazionali governano il mondo senza scrupoli. Ma la rete (ancora non si chiamava Internet) è la nuova frontiera, dove il talento informatico può bastare a ribaltare le sorti, e a sconfiggere la più grande delle multinazionali.

    Sempre e comunque si parla del presente. Una letteratura che parlasse veramente del futuro sarebbe troppo realistica e noiosa. Mancherebbe di conflitto e di dramma. I conflitti da cui emergono le narrazioni si svolgono sempre nel presente.

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  6. E dire che Dick mi è piaciuto, da subito, per il suo essere attuale. Da poco, invece, ho capito che è la fantascienza ad essere attuale, vicinissima a me.

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  7. ...e comunque, bentornati! mi siete mancati.

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  8. oh, che bello, quando si parla bene della fantascienza sono contento.
    bau bau arf arf mia mia roar cip bau.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)