martedì 10 giugno 2014

Per un cappello

del Disagiato




(Attenti, racconto come va a finire, o quasi, un lungo viaggio)

Nel film Nebraska di Alexander Payne un anziano signore toccato dalla vecchiaia e anche un po’ dall’alzheimer si convince di aver vinto tantissimi soldi: un milione di dollari. Una lettera lo informa che per ritirarli deve raggiungere un ufficio di Lincoln, nello stato del Nebraska, e così il vecchio uomo, in stato confusionale, si incammina lungo la statale trafficata della sua città. Ma proprio quando il suo lungo viaggio ha inizio, un poliziotto lo intercetta, lo ferma e lo porta tra le braccia del figlio, che cerca di spiegargli che quella lettera in realtà non è un avviso importante e unico ma solo un foglio pubblicitario che chissà a quante persone è arrivato. Ti fanno credere di aver vinto ma in realtà vogliono propinarti un abbonamento, dice il figlio al padre. Ma il padre insiste di aver vinto. No, non hai vinto, invece. Certo che ho vinto e voglio assolutamente ritirare quel milione di dollari, per potermi poi comprare un compressore e un furgone. Contro il parere della madre e del fratello, il figlio decide di accompagnare il padre in questo lontano ufficio, di intraprendere con lui un lungo e inutile viaggio. E in questo viaggio, come in tanti altri film del genere, ai personaggi capiterà di conoscersi un po’ di più, di scoprire il perché di certe scelte, il motivo di certi umori e rancori che durano tutta una vita. Nel frattempo, però, il figlio continua a spiegare al padre che quel milione di dollari non esiste. E il padre insiste che il milione di dollari è là ad aspettarlo. No, non è vero. Sì, è vero. No. Sì, invece. E insomma, l’anziano uomo nonostante l’evidenza si costruisce una sua realtà, fino a quando la segretaria del famoso ufficio di Lincoln non gli dice che il milione di dollari non c’è – “mi dispiace ma il suo numero non è tra quelli vincenti” - ma che se vuole può avere in omaggio un cappello o un cuscino. Rassegnato e silenzioso il padre accetta un cappello. Magra consolazione (ma il film non finisce qui). 

E io, magari sbagliandomi, ho compreso che tutto il film non parla di un vecchio signore ostinato e fuori di testa ma parla di noi e della strada che ogni giorno facciamo per raggiungere un lontano ufficio, il nostro milione di dollari con il quale poi comprarci un nuovo compressore e un nuovo furgone. Gli altri ci hanno avvisato: il milione di dollari non esiste. E noi a sostenere che invece quella cifra c’è, eccome. E il giorno dopo siamo noi a dire all’amico testardo la stessa cosa: guarda che il milione di dollari non esiste. Quando la segretaria offre al vecchio protagonista il piccolo premio di consolazione, mi sono commosso tanto. In quell’esatto momento ho pensato che se ci andrà bene, alla fine, ci accontenteremo di un banale cappello o magari di un comune cuscino. Quella, nonostante le nostre aspettative e convinzioni, sarà la nostra ricompensa per aver vissuto, per aver frequentato gente, per aver stretto mani, per aver detto cose vere o false. E forse dovremo accontentaci, muti e rasseganti, come il vecchio uomo di questo film. Sempre che sia vero che il milione di euro non esiste, come gli altri, con tutti i loro mezzi, ogni giorno vogliono farci credere.