mercoledì 13 marzo 2013

Modi di raccontare



del Disagiato

Asghar Farhadi è il regista iraniano di due bellissimi film, Abou Elly e Una separazione, che raccontano di come oggi  l’Iran sia incapace di essere un paese libero, sincero e trasparente. Le vere vittime sono le donne, che non devono, secondo una morale in ostaggio della religione del paese, superare un certo grado di libertà. E quindi, per avere la libertà, le donne mentono. Queste parole rischiano di girare a vuoto (di essere aria fritta, anche), oltre che essere riduttive, quindi vi consiglio, se già non l’avete fatto, di vedere uno dei due film se non tutte due. Non fatevi spaventare da “iraniano” : iranianio in questo caso non significa lento, noioso, criptico e tutto ciò che spesso, e non a torto, attribuiamo al cinema che non ci è famigliare. In Una separazione le tre protagoniste mentono o non dicono per non far sapere a qualcun altro come stanno le cose. Ecco, guardando questo film ambientato in Iran ho capito (e spero di aver capito bene) che i diritti di cui spesso parliamo coincidono con la visibilità, con il detto. Insomma, cosa significa avere un diritto? Avere un diritto significa avere una vita, una società, che ci permetta di non nascondere noi, il nostro pensiero e i nostri sentimenti. Cosa succede quando invece viviamo una vita segreta? Bene, guardate i film di Asghar Farhadi. 

Una delle protagoniste di questo film deve nascondere al marito il suo lavoro (badante di un anziano signore con seri problemi comportamentali  e motori). Il marito, dopo una drammatica vicenda, viene a scoprire il tutto e da qui parte la riflessione del regista iraniano. La vera forza dei film e della riflessione di Farhadi sta quasi tutta nell'universalizzare la storia, nel rendere la sceneggiatura una vera e propria parabola. Ho fatto delle ricerche e non mi sembra che il regista abbia mai avuto delle grane per via delle sue pellicole. Ovviamente posso sbagliare e quindi attendo una secca smentita. Però, intanto, mi chiedo: come mai un film come Argo ha fatto infuriare Teheran e i film di Farhadi no?


O la notizia è falsa, e cioè nessuno si offeso per l’immagine distorta che Ben Affleck ha dato dell’Iran, oppure ho una risposta da spettatore imparziale: perché i film di Farhadi sono fatti bene e cioè raccontano una storia per mezzo di una metafora. Ma non solo. I suoi film si fermano a metà strada perché l’altra metà dobbiamo percorrerla noi spettatori. E i film belli, i film che funzionano, secondo me anche questo devono fare: devono lasciare spazio a noi, che stiamo spendendo il nostro tempo prezioso per guardare un film, magari un po’ stanchi dopo le nostre ore di lavoro. Il 12 ottobre di due anni fa "Il sole 24 ore" ha pubblicato un'intervista, in questo caso illuminante, a Fahradi sulla censura, i registi iraniani e il cinema. Alla domanda "In che cosa il cinema iraniano si differenzia da quello occidentale", il regista ha risposto: "Nella fiducia che nutre verso gli spettatori. Molto cinema, soprattutto americano, crede che vada spiegato tutto per filo e per segno. Io credo invece che il pubblico meriti maggior rispetto e che gli si debba lasciare il tempo di capire da solo quello che sta succedendo sul grande schermo. Il mio cinema è come una partita di scacchi in cui uno dei due scacchisti è lo spettatore".

Vorrei anche che voi foste d’accordo con me sul fatto che Argo non è più – diciamo così – forte di About Elly o Una separazione. Anzi, i film di Faharadi lo sono di più, però raccontando quello che capita a persone molto simili a noi, in luoghi che assomigliano tanto a casa nostra e lasciando così che il film sia un po' diretto e interpretato da chi sta davanti allo schermo. E ai censori, e al potere, tutto ciò non sembra essere pericoloso. Anzi, sembra più pericoloso e diffamatorio un film diretto ed esplicito come Argo.

                                                                 

3 commenti:

  1. Trovo che siano imparagonabili, non rientrano nella stessa categoria proprio perché l'uno iraniano (nel senso positivo del termine, anche se sempre più ultimamente mi sfugge quale possa essere) e l'altro americano. Mi sono comunque piaciuti tantissimo entrambi, rappresentano due modi di fare cinema diversi ma altrettanto forti.

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  2. È vero, sono due produzioni diverse, ma secondo me dovremmo fare lo sforzo di mettere in paragone due pellicole che cercano di denunciare le aberrazioni di uno stesso paese. Solo così, penso, possiamo giudicare il cinema di questi anni che stiamo vivendo.

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  3. Mi è piaciuto molto "Una separazione" ed ora, grazie alle tue parole, ho capito perchè mi è piaciuto: "perché i film di Farhadi sono fatti bene e cioè raccontano una storia per mezzo di una metafora. Ma non solo. I suoi film si fermano a metà strada perché l’altra metà dobbiamo percorrerla noi spettatori. E i film belli, i film che funzionano, secondo me anche questo devono fare: devono lasciare spazio a noi, che stiamo spendendo il nostro tempo prezioso per guardare un film, magari un po’ stanchi dopo le nostre ore di lavoro." Grazie.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)